Cancellata l’ipotesi di realizzare impianti a caldo (inceneritori o termovalorizzatori), il piano prevede il potenziamento della differenziata, sempre che il consiglio regionale non stravolga il testo adottato e Amiu confermi le linee di indirizzo del piano industriale
Si profila all’orizzonte un cambio di rotta decisivo nella gestione del ciclo dei rifiuti in Liguria, così come nel capoluogo ligure. Le premesse ci sono tutte ma occorre ricordare che saranno necessarie successive conferme affinché gli orientamenti delineati da Regione Liguria e Amiu Genova si trasformino in realizzazioni concrete. Il 21 dicembre scorso l’azienda municipalizzata di igiene urbana ha presentato le “Linee guida del nuovo Piano industriale” – già approvate dalla Giunta Doria (e proprio ieri, 8 gennaio, illustrate anche ai consiglieri comunali di Palazzo Tursi) – che sarà formalmente pronto nei primi mesi del 2014, presumibilmente entro la primavera, mentre la Giunta Burlando, il 27 dicembre 2013, ha adottato il nuovo “Piano regionale dei rifiuti e delle bonifiche”, in discussione nell’aula consiliare della Regione a partire dal 10 gennaio.
Partiamo da Amiu. Il disegno, particolarmente ambizioso, è quello di trasformarla in un’azienda che – non solo raccoglie i rifiuti – bensì li trasforma allo scopo di immettere nel circuito produttivo le materie prime così ottenute, dunque, gestendo anche specifici processi di filiera per la trasformazione dei materiali riciclabili: carta, plastica, vetro, ecc. «Bisognerà individuare i processi più redditizi e poi valutare, se e quali filiere, gestire da soli o con specifici partner industriali – dichiara il presidente di Amiu, Marco Castagna – Già nel corso del 2014 dovrebbe essere individuato un partner istituzionale o industriale-finanziario del Comune, che consenta ad Amiu di uscire dai vincoli ai quali è sottoposta in quanto società in “house”, per poter espandere la sua attività».
Per quanto riguarda lo scenario regionale, invece, la notizia più rilevante è il definitivo addio all’ipotesi di chiudere il ciclo dei rifiuti con impianti a caldo, ovvero con gli inceneritori (o gassificatori, o termovalorizzatori, che dir si voglia). Nel contempo, si profila un ruolo sempre più marginale per le discariche nel territorio ligure, a vantaggio di un sistema che si pone l’obiettivo di produrre meno rifiuti e riciclarne di più, trasformandoli in prodotti vendibili sul mercato.
In occasione della presentazione delle “Linee guida del nuovo Piano Industriale” di Amiu, l’assessore all’Ambiente di Palazzo Tursi, Valeria Garotta, ha affermato «La scelta è quella di puntare sul recupero di ogni rifiuto. Il conferimento in discarica deve diventare sempre più residuale. Grazie alle tecnologie evolute si può fare, ma Amiu nello stesso tempo deve affrontare un processo di riconversione e differenziazione del suo business».
L’indirizzo strategico prefigura un deciso riposizionamento dell’azienda municipalizzata alla luce degli importanti cambiamenti che verranno promossi dal “Piano regionale dei rifiuti e delle bonifiche”, dalla legge regionale sull’Ambito Territoriale Ottimale (ATO) per i rifiuti che dovrebbe essere presentata al consiglio regionale nei primi mesi 2014 (lo strumento con cui porre un freno alla frammentazione dei soggetti gestori: oggi su 235 Comuni sono 52) e soprattutto dagli stringenti indirizzi che l’Unione Europea ha stabilito sulla gestione dei rifiuti.
«Dobbiamo abituarci a pensare che nel mondo di oggi e di domani non esistono rifiuti – sostiene Marco Castagna, presidente di Amiu – Esistono materia ed energia da raccogliere, da trasformare e da re-immettere nel ciclo produttivo locale. Noi vogliamo diventare, per il nostro territorio, il soggetto cardine di un sistema intelligente capace di operare in tutte quelle che sono, e saranno, le filiere dell’economia circolare locale».
Il direttore generale di Amiu, Pietro D’Alema, spiega nel dettaglio «Le attività di cui si occuperà l’azienda nei prossimi anni saranno estremamente varie: raccolta dei rifiuti urbani anche oltre gli attuali confini, gestione di impianti di trattamento dei rifiuti, produzione di CDR (combustibile da rifiuto) e CSS (combustibile solido secondario), produzione e vendita di energia da impianti propri e da quelli gestiti con partner, gestione di specifici processi di filiera per la valorizzazione di materie prima seconde, manutenzione del territorio e valorizzazione, ad esempio, della filiera bosco-energia, bonifiche locali e nazionali, gestioni ambientali di sistema per i porti».
Per sostenere tale strategia, la municipalizzata genovese si accinge a lanciare una nuova struttura, “AMIU SmartLab”, composta da personale interno e da una serie di soggetti provenienti dal mondo dell’innovazione, della ricerca, dell’impresa e della formazione, che lavoreranno a fianco dell’azienda con l’obiettivo di fare in modo che essa diventi il punto di riferimento – a livello ligure – dell’innovazione di prodotto e di processo, applicata all’intero ciclo dei rifiuti.
«Entro il mese di febbraio organizzeremo in un grande evento pubblico per presentare questa prospettiva di sviluppo intorno alla quale intendiamo aggregare le migliori forze della nostra regione – conclude Marco Castagna – ci rivolgeremo anche a comitati e associazioni che in passato hanno espresso toni critici nei confronti di Amiu e che auspichiamo diventino dei soggetti attivi».
Come detto sopra, il piano regionale sancisce l’addio agli inceneritori per lasciare spazio a impianti di trattamento meccanico biologico, di compostaggio e per la produzione di rifiuti secchi ad alto potere calorifico. Inoltre, tramite il potenziamento della raccolta differenziata (RD) – con l’obiettivo di raggiungere la percentuale del 65% entro il 2020 – si cercherà di ridurre drasticamente la quantità di rifiuti depositati in discarica.
«Il piano è stato adottato solo dalla Giunta perché, riguardo ai tempi, c’era un obbligo di legge da rispettare – spiega l’assessore regionale all’Ambiente, Renata Briano – Abbiamo rinviato la discussione in Consiglio al 10 gennaio e successivamente si apriranno i termini per presentare le osservazioni. Già prima dell’adozione, comunque, io ho avuto una serie di incontri con i rappresentanti delle associazioni ambientaliste, dell’Anci Liguria e della Province; mi sembra che tutti abbiano riconosciuto il lavoro che abbiamo fatto per impostare su basi diverse la gestione del ciclo dei rifiuti».
Dopo la pubblicazione del piano, probabilmente a fine gennaio, dovrebbero aprirsi i termini di 60 giorni nei quali chiunque potrà presentare osservazioni nell’ambito della procedura di valutazione ambientale strategica (VAS). Una volta chiusi questi termini, la Giunta e gli uffici vaglieranno le osservazioni e i pareri dei vari soggetti competenti, decidendo quali accogliere e come rispondere. Infine, la Giunta varerà il testo del piano – eventualmente modificato – da proporre al Consiglio regionale per l’approvazione definitiva, che potrebbe avvenire entro la prossima estate.
Il testo adottato parte dall’analisi delle diverse criticità esistenti sul territorio ligure: produzione di rifiuti più alta rispetto alla media nazionale (582 Kg per abitante all’anno, rispetto ai 504 Kg nazionali); livello di RD inferiore alla media nazionale (32,02% rispetto al 39,90%, nettamente al di sotto dell’obiettivo di legge del 65% che si sarebbe dovuto raggiungere nel 2012), situazione dovuta alla scarsa diffusione di modelli di raccolta domiciliari (vale a dire sistemi di RD porta a porta o di prossimità); alta frammentazione nella gestione del ciclo dei rifiuti; una chiusura del ciclo che si affida ancora prevalentemente alle discariche (per il 60% nel 2012); costo medio di gestione del ciclo più alto rispetto alla media nazionale (185 euro per abitante, rispetto a 156).
Il piano individua due tappe temporali – 2016 e 2020 – entro cui raggiungere progressivamente i principali obiettivi, vale a dire: riduzione dei rifiuti prodotti, aumento RD, trattamento finale e modalità di gestione dell’intero ciclo. La novità più importante è l’eliminazione di qualsiasi ipotesi di impianto a caldo (inceneritore, gassificatore o termovalorizzatore) per il trattamento finale – di conseguenza anche il progetto inceneritore a Scarpino – ma pure un significativo ridimensionamento dell’utilizzo delle discariche che dovrebbero servire a raccogliere solo una frazione minima dei rifiuti (l’obiettivo è passare dalle 685.145 tonnellate del 2012 ad un massimo di 120 mila tonnellate nel 2020).
Per quanto concerne la chiusura della gestione del ciclo, invece, il documento indica delle strade multiple, attraverso la realizzazione di impianti per il trattamento separato della frazione organica e di quella secca dei rifiuti che restano dopo la RD dei materiali riciclabili e dopo l’eliminazione dei metalli. Con l’organico si dovrebbe produrre compost – utilizzabile in agricoltura – e FOS (frazione organica stabilizzata) – impiegabile per i ripristini ambientali (dal riempimento di cave alla copertura di discariche, fino al ripristino di frane) – mentre la frazione secca dovrebbe essere trattata per produrre CSS (combustibile solido secondario) utilizzabile per la produzione di energia in impianti come cementifici e inceneritori.
«Sono almeno 20 anni che mi impegno contro l’inceneritore a Scarpino (ma anche sotto la Lanterna) – afferma il consigliere comunale (Fds), Antonio Bruno – quindi, saluto con favore la definitiva cancellazione di un simile progetto. Nel piano regionale, però, emergono alcune criticità. In particolare, non si prevede di ottemperare alla legge, visto che l’obiettivo di raggiungere la percentuale del 65% di RD è stato spostato al 2020. Sette anni per arrivare al 65% di raccolta differenziata, vuol dire sette anni durante i quali bisognerà pagare l’ecotassa. In due anni, invece, si potrebbe costruire l’impianto di compostaggio della frazione umida (circa il 35% dei rifiuti prodotti) raggiungendo così la fatidica soglia del 65%. Inoltre, si prevede di utilizzare in impianti esistenti (cementifici, inceneritori, centrali termiche a carbone) la quota residua avanzata dalla RD. Ovviamente c’è il rischio che questo disincentivi la RD, aggravando una situazione già critica per motivi di sostenibilità, inquinamento ambientale, tutela della salute, creazione di posti di lavoro. Sullo sfondo rimane l’ingresso di privati nell’azienda, adducendo i limiti imposti dal patto di stabilità. Più volte ho ricordato che, dopo il referendum e i pronunciamenti della Corte Costituzionale, questo non sia vero».
Sul fronte opposto, il senatore Luigi Grillo (Ncd), manifesta parecchio scetticismo al quotidiano locale il “Corriere Mercantile” «In Italia la regione fanalino di coda in tema di rifiuti è proprio la Liguria. Siamo l’unica regione che porta il 100% dei rifiuti in discarica, siamo tra gli ultimi nella percentuale di RD e, dopo tanti discorsi e promesse, ancora non è stato progettato né un termovalorizzatore, né un gassificatore per creare un’alternativa alla schiavitù delle discariche […] Come è possibile giudicare credibile questo nuovo strategico piano dei rifiuti fondato su scelte che, allo stato attuale, non si riscontrano in nessuna altra regione? Chi ha governato per tanti anni la nostra regione, e tuttora la governa, dovrebbe spiegare il motivo di un pregiudizio che esiste nei confronti delle più moderne tecnologie, adoperate nel resto d’Italia e d’Europa, che consentono di bruciare i rifiuti, produrre energia e non inquinare l’ambiente […] Il piano della Liguria sembra poggiare su due previsioni: ridurre la produzione di rifiuti; portare la RD alla percentuale del 65%. Per quanto mi risulta, ad oggi, in Italia la produzione dei rifiuti è in costante crescita da vent’anni a questa parte, e non è chiaro con quali strumenti si pensa di invertire questa tendenza. Sulla RD è difficile dare credito ai nostri attuali amministratori regionali quando si pongono l’obiettivo di diventare in pochi anni i primi della classe […] Per quanto riguarda il governo del settore, è condivisibile l’idea di superare la frammentazione esistente, infatti, sono troppi i soggetti gestori che incidono in maniera rilevante sui costi di gestione».
In merito ai possibili cambiamenti nello scenario ligure e genovese, Era Superba ha chiesto un giudizio al professor Federico Valerio, per lungo tempo responsabile del Laboratorio di chimica ambientale dell’Ist di Genova, ambientalista ed esperto di questioni relative al trattamento dei rifiuti, delle quali si occupa da molti anni (anche sul proprio blog “Scienziato preoccupato”).
L’aspetto positivo è che non si parla più di inceneritori, gassificatori e affini, in tutta la Liguria?
«Sì, certamente. E non posso fare a meno di sottolineare come, finalmente, sia stata riconosciuta la bontà di chi ha sempre sostenuto che si potevano trovare soluzioni migliori rispetto agli impianti a caldo. Detto ciò, probabilmente anche il fattore economico, ovvero i costi proibitivi di simili strutture, ha giocato a favore dell’eliminazione di tale prospettiva. Forse è merito pure di una sensibilità nuova che tutti, compresa l’azienda Amiu, iniziamo a respirare. La municipalizzata genovese, per esempio, ha scoperto che vendendo cartone riesce ad ottenere utili. E lo stesso può avvenire con gli altri scarti (questa è la definizione corretta dei rifiuti)».
Innanzitutto occorre adoperarsi per il trattamento della frazione organica dei rifiuti, quella più importante ai fini di una raccolta differenziata di qualità? «Assolutamente sì. Questo è il primo passo da fare. Attualmente, la frazione organica raccolta a Genova viene spedita in provincia di Alessandria con notevoli costi (vedi il nostro articolo sulla chiusura dell’impianto di compostaggio in Val Varenna). È necessario realizzare un nuovo impianto per trattare la frazione umida. Il problema è individuare un sito adatto, visto che nessun sindaco pare disposto ad accoglierlo sul proprio territorio. Eppure con le tecnologie odierne non sussisterebbe alcun problema di mali odori o quant’altro. Ogni provincia ligure dovrebbe ospitarne almeno uno».
L’aspetto più critico è l’aver spostato l’obiettivo 65% di raccolta differenziata al 2020?
«In effetti, bisogna spingere per un più incisivo aumento di una raccolta differenziata che sia di qualità. Ad esempio, con il sistema porta a porta, che garantisce delle percentuali di RD molto alte e di qualità. Certo, prima è necessario investire in iniziative di informazione e comunicazione capillare affinché i cittadini si impegnino in tal senso. Ma sono investimenti che si ripagano velocemente. In Liguria ci sono una decina di Comuni che hanno già raggiunto l’obiettivo del 65%. Consiglio all’assessore regionale Briano di organizzare un incontro con i sindaci di queste realtà. Qualcuno potrà obiettare: “Si tratta di piccoli Comuni”. Sì, però, parliamo anche di contesti difficili, in cui spesso le abitazioni non sono facilmente raggiungibili. L’intera Liguria, a livello morfologico, presenta numerose difficoltà. Nelle grandi città, invece, l’ostacolo principale è l’investimento necessario per modernizzare la tipologia di servizio. Tuttavia, pure le metropoli scelgono di puntare sulla RD spinta. Basta vedere la vicina Milano, dove hanno puntato sul porta a porta. Un sistema, quello milanese, che si sta estendendo progressivamente a fette di 300 mila abitanti per volta. Insomma, con step progressivi, secondo me si può fare anche a Genova. Qui si è colpevolmente dimenticata la positiva esperienza del cosiddetto “progetto pilota” di Sestri Ponente e Pontedecimoche, soltanto pochi anni fa, aveva dato buonissimi risultati. Nonostante ciò, il progetto è stato lasciato morire. Invece, si doveva insistere, magari estendendo il progetto ad altre aree della città. La mia sensazione è che non si sia voluto dimostrare appieno la bontà dell’esperimento. In ballo, infatti, c’era ancora il discorso dell’inceneritore a Scarpino».
Per quanto riguarda la produzione di CSS (combustibile solido secondario), sono diverse le perplessità del mondo ambientalista …
«Una volta si chiamava CDR, ovvero combustibile da rifiuto, oggi è diventato CSS, ma si tratta pur sempre di combustibile da rifiuto, con qualche regola in più sulla qualità. È un escamotage letterale della Regione (ma anche a livello nazionale si punta ad incentivare questa pratica) che rende appetibile, soprattutto per i cementifici, la frazione secca dei rifiuti, in particolare le plastiche miste. Il problema è: chi ci guadagna? Probabilmente non Amiu (o gli altri soggetti gestori) perché – se il combustibile da rifiuto non è di buona qualità – i cementifici, per smaltirlo, si faranno pagare. Dunque, l’unico vantaggio è dovuto al fatto che non sarà necessario costruire nuovi impianti. Gli svantaggi, invece, ricadono tutti sull’ambiente, viste le problematiche legate alla qualità del CSS. Nelle plastiche miste finisce di tutto. Con inevitabili conseguenze in termini di emissioni inquinanti dei cementifici. Già oggi degli studi dimostrano che, dove il CSS è stato utilizzato come combustibile, si verifica un peggioramento della qualità delle emissioni inquinanti. Dal mio punto di vista, questo non è accettabile».
La soluzione, secondo il prof. Valerio, consiste nel puntare sulla maggiore separazione dei rifiuti. L’esempio lungimirante è l’impianto Amiu di Bolzaneto (via Sardorella) inaugurato, alla presenza del sindaco Marco Doria, nel marzo 2013. Il nuovo centro per la lavorazione dei materiali provenienti dalla raccolta differenziata, considerato il più innovativo del Nord Ovest, è un impianto moderno – dotato di macchinari all’avanguardia – capace di separare, trattare e ridurre in balle pressate, facilmente trasportabili, imballaggi in plastica, alluminio,acciaio, carta, cartone e tetrapak. Tale struttura «… permette all’azienda municipalizzata genovese di essere più che autosufficiente nel trattamento dei materiali raccolti – si legge in una nota ufficiale di Amiu – con l’obiettivo di aumentare in breve tempo le quantità inviate al riciclo […]il sistema è stato ideato per operare alternativamente sul multi materiale leggero (ovvero plastica e metalli) e sulle frazioni cellulosiche (carta, tetrapack e cartone). Qui i materiali vengono accatastati: carta e cartone da una parte, plastica e metalli dall’altra e, a seconda della lavorazione, appoggiati sui nastri trasportatori, separati meccanicamente attraverso passaggi specifici a seconda che si tratti di plastica, contenitori ferrosi, alluminio, cartone, oppure carta mista a cartone».
«Nell’impianto di Bolzaneto, in pratica, viene separata la plastica dal cartone, il ferro dall’alluminio, ecc. – spiega il prof. Federico Valerio – Con la stessa tecnologia è possibile separare i vari tipi di plastica. Così facendo si può seguire la filiera che si sta sviluppando in questo campo. In Italia esistono alcune aziende che utilizzano plastiche miste idonee per produrre svariati manufatti, quali ad esempio i componenti dei motocicli. Le plastiche, se selezionate tramite impianti adeguati, diventano materiali con un valore commerciale da sfruttare. Stiamo parlando della frazione secca, ovvero di circa il 15% del totale dei rifiuti (la maggior fetta, infatti, è rappresentata dalla frazione umida). Noi non siamo obbligati ad alimentare i cementifici, peggiorando la qualità delle loro emissioni. Al contrario, dobbiamo seguire le filiere che si sviluppano a partire dal trattamento meccanico dei rifiuti, è questa la strada maestra, come peraltro indica la stessa Unione Europea. La mia proposta è quella di implementare l’impianto di Bolzaneto e realizzarne altri con la stessa filosofia, in modo tale da aumentare il recupero e la trasformazione di ogni materiale».
Ma prima di tutto, conclude Valerio «Iniziamo a realizzare gli impianti di compostaggio. Mi pare assurdo che il compost raccolto a Genova vada a finire ad Alessandria, con una notevole spesa a carico di Amiu e dunque dei genovesi. Ciò vale anche per la carta, per le plastiche, per altri materiali, a Genova non abbiamo praticamente nulla in questo senso, ad eccezione del sopracitato centro di Bolzaneto. Per limitarci al capoluogo ligure, occorre che Amiu proponga una precisa strategia industriale che ambisca, per i prossimi anni, a recuperare e destinare al riuso, ovvero alla vendita, il più possibile degli scarti raccolti. Il trattamento meccanico biologico come quello di Bolzaneto permette di eseguire ulteriori separazioni (rispetto alla differenziazione richiesta ai singoli cittadini). Con un costo che trova giustificazione nel valore della merce che si riesce a produrre. L’investimento per l’impianto di Bolzaneto in circa 2-3 anni sarà già ammortizzato. La situazione, a livello europeo e mondiale, così si evolve e noi, nel nostro piccolo, dobbiamo aggiornarci al più presto».
Matteo Quadrone