Diminuiti anche gli incidenti: l'unica cosa ad essere cresciuta sono i pedaggi e relativi ricavi di Autostrade per l'Italia
Mentre la strutturazione viaria del nodo di Genova è in una fase di profonda trasformazione, mentre aspettiamo quel 15 agosto che non è mai sorto, prepotente sul tavolo del dibattito politico è il tema della Gronda, scosso oggi dal progetto alternativo della cosiddetta mini gronda, che potrebbe rimescolare le carte del mazzo. Lo scontro politico nazionale sulle concessioni ha aggiunto una variabile emotiva e comprensibilmente rivendicativa verso il progetto, il cui peggior nemico, però, rimane essere sé stesso, e le sue contraddizioni fondative.
Ma andiamo con ordine, e facciamo qualche passo indietro, tornando al 2009, quando dopo un acceso dibatto pubblico si arrivò alla scelta del progetto, poi divenuto esecutivo e oggi fermo al Mit in attesa del via libera definitivo. Alla base delle cinque proposte di Autostrade per l’Italia c’era la necessità di intervenire con nuove infrastrutture per evitare il collasso del nodo genovese. Un collasso generato da aumento del traffico, la cui crescita veniva calcolata attraverso diversi panorami temporali di breve, medio e lungo periodo. Nella presentazione del progetto era tracciato un generico aumento del 30% di traffico in trent’anni, mentre nei documenti di supporto le cifre erano meglio specificate: entro il 2015 un aumento del 16,6% del traffico leggero, e un 35,6% di quello pesante, nel 2025 rispettivamente +32% e +73,5% e nel 2035 previsioni di crescita di 42% e 101%.
Oggi siamo nel 2019 e abbiamo quindi valicato la prima soglia, quella del breve periodo, e confrontando i dati ufficiali raccolti e pubblicati da Aiscat possiamo dire che ad oggi quelle previsioni, per qualsivoglia motivo, si sono rivelate sbagliate. E non di poco.
Nel 2009 i veicoli medi giornalieri per l’A10, nel tratto Genova-Savona, erano 127.474 quelli leggeri e 23.539 quelli pesanti; per il 2018, stando all’ultimo report pubblicato, le cifre sono rispettivamente 101.466 e 22.708 con un calo quindi del 20% e del 3,5%. Dati su cui pesa senza dubbio la tragedia del Morandi: per avere un confronto quindi in situazione di normalità prendiamo anche i dati registrati al primo semestre 2018: 105.255 la media giornaliera dei veicoli leggeri e 24.055 per i pesanti, con quindi un delta percentuale di -17,4% e +2,2%. Numeri decisamente lontani da quelli previsti: con 21.160 veicoli leggeri e circa 7.700 pesanti “fantasma” che mancano all’appello rispetto ai calcoli modellistici di Aspi.
Una situazione che non è solo peculiare per l’A10, tratta che sarebbe “doppiata” dalla Gronda, ma che è simile anche per le altre tre autostrade genovesi. Per l’A7, nel tratto Genova-Serravalle, nel 2009 si contavano 118.598 veicoli leggeri al giorno e 22.017 pesanti, mentre nel 2018 i numeri registrati sono stati 95.417 e 20.077, con un calo rispettivamente del 19,5% e 8,8%. Per l’A12, nel tratto Genova – Sestri Levante nel 2009 i veicoli medi giornalieri erano 89.692 quelli leggeri e 13.686 quelli pesanti, mentre nel 2018 rispettivamente 83.373 e 12.497, cioè il 7% e il 8,7% in meno. Stesso andazzo anche per l’A26, che nel 2009 registrava nel tratto Pra’ – Alessandria 49.765 mezzi leggeri e 13.490 pesanti, mentre nel 2018 il conto si è fermato a 44.188 e 13.950, avendo in parte assorbito il traffico dell’A10 interrotta, con differenze di -11.2% e un +3,4%.
Sommando tutti i valori assoluti nel 2009 sul tronco di Genova circolavano mediamente al giorno 385.529 mezzi leggeri e 72.732 mezzi pesanti, mentre nel 2018 i numeri registrati sono stati 328.233 per il traffico leggero e 70.579, con un calo quindi rispettivamente di 57.296 e 2153 unità, cioè -14,8% e -2,9%. La diminuzione del traffico non ha risolto ovviamente tutti i problemi dei tracciati che attraversano Genova e che essenzialmente sembrano derivare dalla arretratezza degli svincoli, vero tallone d’Achille delle nostre autostrade: le code ci sono lo stesso, praticamente quotidiane. Ma il sistema non è collassato: l’unico collasso che abbiamo visto è quello del Morandi.
I dati di cui sopra ci restituiscono, quindi, una previsione errata, totalmente smentita dai fatti. Ma i dati sul traffico non sono gli unici ad essere stati ‘sbagliati’: anche le considerazioni sulla sicurezza stradale in questi dieci anni hanno visto la realtà superare la ‘fantasia’, per fortuna. In dieci anni gli incidenti sono fortemente diminuiti, arrivando quasi ad essere dimezzati. Per l’A10, nel 2009 si contavano un totale di 227 sinistri nella tratta Genova – Savona, mentre nel 2018 il conto si è fermato a 146. Sulla A12, tra Genova e Sestri Levante, dai 153 del 2009 si è passati ai 141 del 2018, sulla A7 (Fino a Serravalle) dai 166 a 98 e sulla A26, tra Voltri e Alessandria da 135 a 71. Statistiche che sconfessano quindi l’altra “necessità” alla base del progetto presentato nel 2009 come soluzione necessaria anche dal punto di vista della sicurezza di chi viaggia sulle nostre autostrade: durante la recente visita del neo ministro, Camera di Commercio di Genova ha consegnato alla De Micheli un ‘dossier’ da toni allarmanti sulla pericolosità delle nostre autostrade, che sono tra le più alte in classifica in termini di incidenti (dato vero), dipingendo uno scenario in peggioramento (dato non verificato, anzi smentito), cosa che renderebbe, secondo questa lettura, la costruzione della Gronda, come sempre più necessaria e impellente.
Guardando ai report di Aiscat, però emergono altri due dati decisamente interessanti, che aggiungono una prospettiva ulteriore alla lettura del contesto: nel 2009 sulle tratte gestite da Autostrade per l’Italia, quasi tremila chilometri di tracciati, hanno viaggiato un totale di 48.729.713.463 veicoli, mentre nel 2018 un totale di 48.002.477.881 unità, con un calo di oltre 727 milioni di unità, ovvero un -1,4% in termini percentuali. Nonostante ciò, però, i ricavi di Aspi (dati scorporati da tasse e accise varie) sono aumentati passando da 2,4 miliardi a 3 miliardi, cioè un +20%. Non male, soprattutto in virtù del fatto che gli aumenti di pedaggi sono concertati con il concedente, cioè lo Stato. In un recente dossier, Anac (Autorità nazionale anti corruzione) ha stimato che per le autostrade italiane i concessionari hanno speso solo il 2,2% di quello preventivato per le manutenzioni: in particolare Aspi, dal 2008 al 2017 ha speso 249.131.000 milioni su oltre dieci miliardi previsti. Dieci miliardi che sarebbero comunque stati ammortizzati ampiamente dai ricavi di esercizio.
Un altro punto delicato del progetto del 2009, e presentato definitivamente nel maggio del 2018, è la liberalizzazione della tratta urbana della A10, che diventerebbe una sorta di “tangenziale” gratuita. Ma c’è un nodo che non è ancora stato sciolto: stando al progetto di Aspi, il tratto interessato a questo declassamento è quello compreso tra Genova Pra’ e Genova Aeroporto, con il casello di Cornigliano/Sestri Ponente che quindi diventerebbe casello di testa. E il tratto fino a Genova Ovest? Mistero. Lo stesso Bucci si era detto contrario (e un po’ spiazzato) rispetto a questa ipotesi; in un’intervista aveva infatti dichiarato: “No way, assolutamente impossibile, questo non lo concederò mai altrimenti il Ponte Morandi non lo percorrerà più nessuno”. Poi è arrivato il 14 agosto, e il Morandi non lo ha percorso più nessuno per davvero, ma il progetto di Autostrade per l’Italia, che in molti vorrebbero partisse immediatamente, tra cui anche lo stesso Bucci, non è cambiato: stando così le cose il ponte “dell’orgoglio” e del “riscatto” di Genova sarebbe destinato ad una vita di solitudine. Per la precisione, mille anni di solitudine.
Alla luce di questi dati, l’attuale progetto della Gronda sembra quanto meno superato: le premesse di scenario sono state smentite largamente, e nel frattempo sono state costruite e aperte nuove strade “concorrenti”. Una buona condotta amministrativa, quindi, fermerebbe un attimo la macchina, prima di buttarsi a capofitto in una mega opera dalle pesanti ricadute economico-ambientali per i territori che attraversa. Forse sarebbe il caso di aspettare e vedere cosa succede: quando sarà operativo il nuovo ponte, oltre a riavere il vecchio assetto autostradale, avremo a disposizione una nuova viabilità a mare, per la quale si dovrà intervenire per tutelare le persone che vi vivono attorno. Per questo motivo il progetto presentato in questi mesi dal Mit (versione Cinque Stelle) mette sul tavolo una alternativa, anche se un buona parte ancora non progettata (metà però lo è, visto che riprenderebbe il raddoppio del tratto di A7 fino a Bolzaneto, come previsto, disegnato, progettato e approvato per il progetto di Aspi), prendendosi il merito di mettere in discussione il faraonico progetto del 2009. Non è quindi un caso che si sia alzata immediatamente una cortina fumogena contro questa eventuale ipotesi, tra interpretazioni non corrette, come la fantomatica distruzione del lungomare di Pegli, e critiche di metodo prima che di merito: l’argomentazione del tempo che si perderebbe a riprogettare, non regge perché appunto, metà del lavoro è già fatto, e soprattutto proviene da coloro che paradossalmente hanno dimostrato che, con la gestione bis-commissariale dell’emergenza Morandi, se si vuole, si può fare presto e bene. E’ il mantra che ci accompagna da mesi, ma vale per tutto però. E poi, in ultimo ma non per importanza, l’alternativa permetterebbe di “risparmiarci” lo scavo di due mega tunnel da 20 chilometri l’uno, che ci obbligherebbero a gestire diverse milionate di metri cubi di detriti ad alto contenuto amiantifero, e che sono la voce di spesa più importante del progetto della Gronda, che vale 5,4 miliardi di euro, finanziati con anni di aumenti dei pedaggi, quindi da noi. Ma forse il vero business sta proprio lì.
Nicola Giordanella