Operazioni immobiliari utilizzate come strumento finanziario, oltre 400 alloggi vuoti che società a partecipazione pubblica utilizzano per l'accesso al credito. Se una parte di questi alloggi venisse riproposta sul mercato a prezzi calmierati, l'emergenza abitativa potrebbe essere in parte assorbita. A Genova i due casi più eclatanti riguardano il Gruppo Iren e Poste Italiane
Quasi 4000 cittadini genovesi in lista per una casa popolare, senza contare il numero di sfratti che ogni anno colpisce sempre più famiglie. L’emergenza abitativa, che investe la nostra città ma anche l’intera penisola e tanti altri Paesi europei, oggi non è più sintetizzabile con “non ci sono alloggi” quanto piuttosto con “ci sono troppi alloggi vuoti che non vengono dati a chi ne ha bisogno”. Nella prima parte della nostra inchiesta (leggi qui) ci siamo soffermati sull’analisi dei dati e delle politiche degli enti locali, Comune e Regione in primis.
A complicare ulteriormente un quadro piuttosto desolante e con scarsissime probabilità di ripresa, ci si mette una nuova tendenza che negli ultimi anni sta prendendo sempre più piede: molte operazioni immobiliari non trovano più soddisfazione all’interno del real estate tradizionale ma vengono utilizzate come un vero e proprio strumento neo-finanziario. Gli immobili, cioè, non vengono più costruiti o acquisiti per essere abitati ma come strategica voce di bilancio per grandi aziende da sfruttare per un più facile accesso al credito nel confronto degli istituti bancari o per riequilibrare situazioni economiche altrimenti fallimentari. Per le grandi imprese, dunque, avere nel proprio patrimonio alloggi vuoti non rappresenta un gravoso onere finanziario ma diventa piuttosto un pass par tout per l’accesso al credito. Operazione, tra l’altro, che in un certo qual modo sembra essere stata avvallata dai piani alti della politica nazionale dato che le imprese edili sono state risparmiate da una serie corposa di oneri fiscali sugli invenduti.
La questione diventa ancora più grave se ad essere chiamati in causa sono soggetti pubblici o aziende partecipate dallo Stato e da enti locali che sacrificano alla divinità immobiliare beni patrimoniali che potrebbero altrimenti essere impiegati per ben più nobili scopi sociali. Politica e istituzioni segnano così una decisa migrazione da ruolo di mediatori sociali a vero e proprio supporto e assistenza al mercato finanziario. Se, infatti, una parte di questi alloggi venisse riproposta sul mercato a prezzi calmierati, la domanda abitativa potrebbe essere in buona parte assorbita. E gli incentivi per intraprendere questo cammino non sarebbero così complicati: basterebbe, infatti, una politica fiscale che punisse chi detiene alloggi vuoti per un certo numero di anni.
Una situazione da cui anche Genova non è immune. Secondo stime approssimative, gli addetti ai lavori parlano di almeno 400 alloggi che potrebbero essere messi in circolo se si puntasse a valorizzare in chiave sociale questa categoria di immobili vuoti e proprietà di enti che hanno qualcosa a che fare con il settore pubblico. Nella nostra città, i due casi più eclatanti riguardano il Gruppo Iren e Poste Italiane: nel primo caso, si parla di un’azienda che chiama in causa per quasi la metà della sua proprietà i Comuni di Genova, Torino e Reggio Emilia, e che rappresenta l’élite della trasmissione dell’energia nel nostro Paese con grandi escursioni nei mercati emergenti; nel secondo caso, invece, il controllo pubblico avviene attraverso Cassa Depositi e Prestiti.
Per quanto riguarda il Gruppo Iren, bisogna risalire a dicembre 2013 quando il Consiglio comunale diede il via libera all’operazione di liquidazione di Sportingenova, la partecipata del Comune che aveva in gestione i principali impianti sportivi della città. Per far fronte a circa 10 milioni di debito maturati nella gestione, il Comune ha sostanzialmente “riacquistato” gli impianti coprendo l’esposizione nei confronti dei creditori attraverso una significativa operazione di permuta immobiliare. Sono così passati da mano pubblica a mano para-privata i seguenti immobili: il mercato di Pontedecimo, un complesso ex industriale nella zona dell’Eridania a Sampierdarena, una palazzina a Nervi, alcuni appartamenti nella zona del Lagaccio e di Brignole, un ex asilo comunale a Trasta, un’ex scuola in via Pagano Doria e il famoso palazzo delle Poste di Borgo Incrociati. I creditori hanno un’identità ben precisa: si tratta di Cae, Mediterranea delle Acque e Iren Mercato, tutte appartenenti al Gruppo Iren. Che, a circa un anno e mezzo dall’ottenimento, si è fin qui dimostrato indisponibile a qualsiasi ipotesi progettuale volta a riutilizzo in chiave abitativa sociale di questi edifici, anche quando le proposte sono giunte da aziende pubbliche. Una tendenza confermata anche dalla mancata partecipazione di Iren all’ultimo bando regionale che elargiva fondi per la riqualificazione di immobili esistenti da convertire a edilizia sociale fino a un massimo di 500 mila euro.
Un’accusa che il professor Luca Beltrametti, presidente di Mediterranea delle Acque e noto uomo di sinistra, rispedisce sostanzialmente al mittente: «Non sono assolutamente in grado di rispondere per conto di tutto il gruppo Iren ma, per quanto ci riguarda, il fenomeno è molto circoscritto. Abbiamo ricevuto dal Comune 3 immobili a saldo del credito di Sportingenova ma non ci siamo mai inoltrati deliberatamente nel settore immobiliare per fini speculativi». Di questi ci risulta facciano parte l’ex scuola di via Pagano Doria e una porzione dell’ex palazzo delle Poste di Borgo Incrociati: «Effettivamente – ammette Beltrametti – questi immobili avrebbero anche una valenza residenziale ma li abbiamo ricevuti in condizioni pessime e non certo abitabili. Sono stati messi in sicurezza ma ci vorrebbero investimenti nell’ordine del milioni di euro per edificio per una ristrutturazione completa. E non si può chiedere a un gruppo che si occupa di acqua e depuratori di investire queste cifre in questioni non solo non riguardano il nostro business ma neppure obiettivi statutari o sociali: se decidiamo di fare un intervento nel sociale, lo facciamo nei nostri settori».
«Ci sono poi altri immobili nella nostra dotazione patrimoniale – conclude il docente universitario – ma derivano da vicende industriali del passato che avevano a che fare con le attività tipiche dell’azienda e che non riguardano edifici con uso abitativo».
A destinazione residenziale o meno, nel frattempo gli edifici restano vuoti e i genovesi assistono impotenti al depauperamento di strutture fortemente insediate nel tessuto urbano e il cui recupero creerebbe riqualificazione del territorio oltre, naturalmente, a fornire un’opportunità per alleviare la domanda abitativa locale, laddove possibile.
Il secondo capitolo, come detto, fa riferimento a Poste Italiane. Oltre a una serie di patrimoni sparsi in città, la società è proprietaria di circa un centinaio di alloggi in via Linneo, al Cige di Begato, in un complesso unitario vuoto ormai dal 2001 e prima destinato a scuola professionale con foresterie per gli impiegati in arrivo da fuori città. Rifiutata la proposta di affitto da parte del Comune tra fine 2011 e inizio 2012 per convertire la struttura a esigenze abitative sociali, Egi (partecipata di Poste italiane che ne amministra il patrimonio) ha più volte richiesto invano a Palazzo Tursi una variante urbanistica per riconvertire l’immobile a uso abitativo privato, destinazione al momento esclusa dal Puc, e quindi avere il via libera all’ennesima speculazione edilizia.
A nostra precisa domanda circa un chiarimento su questa totale mancanza di sensibilità sociale da parte di aziende almeno parzialmente pubbliche, l’assessore alle Politiche della Casa del Comune di Genova, Emanuela Fracassi, risponde: «A me questa cosa non risulta. Ne prendo atto». Commenti e riflessioni, ai lettori.
Simone D’Ambrosio
L’inchiesta integrale su Era Superba #59