La lettera dei due bambini invecchiati, due mele fra tante, cadute dall'albero e lasciate lì, a seccare al sole, a marcire alla pioggia. "Forse è solo tempo che passa, illusione che evapora"...
Caro amico arrabbiato, cosa vuoi che ti dica? Cosa vuoi che ne sappia io? So più o meno quello che ci hanno raccontato, a me come a te, so quello che ho letto e quello che ho visto e toccato, so quello che ho immaginato e che non ho trovato e forse quello che immagino e non troverò. È pochissimo amico mio, lo sai bene anche tu, è proprio poca roba quello che so.
Anche io conosco il significato della parola apolide, so cosa significa non avere scelta e mi confondo come te quando si parla di libertà. Non lo so se alzare le spalle sia utile o meno, e poi utile a chi? Come conosco il significato della parola democrazia, so cosa significa potere e mi confondo come te quando si parla di popolo. Non so se farsi da parte sia davvero o no, non so se sia dignitoso o meno, forse non ho nemmeno idea di cosa voglia dire farsi da parte.
Caro amico irritato, io non ne so nulla delle persone. Faccio fatica a ricordare più della metà degli abitanti del mio caseggiato, faccio fatica a immaginare più della metà dei luoghi del mondo, non mi sento di dirti nulla, se non che secondo me scappare non è mai una colpa. Corri amico furioso, corri se ti va ancora di correre. Ti voglio bene. Forse intendo a cosa ti riferisci quando parli con tono entusiastico di esistenza da espletare, come fosse una specie di epifania meravigliosa. Tu sei sempre stato quello delle epifanie meravigliose. Mi ricordi Sartre. Bisogna meritarla la meraviglia, tu lo sai bene caro mio quanto sono lunghi i tempi morti.
Che altro vuoi che ti dica? Dovrei tornare su cose dette e ridette e che tu conosci meglio di me. Non dimora più in noi il vigore che ci portava a discorrere per ore sulle nostre collezioni private di stupori, disordini, compensazioni, sentenze, inibizioni, vergogne. Ricordo anche io le serate a giocare sulle vite possibili guardando le luci accese delle case, ricordo soprattutto l’impegno che mettevo nel ricamare i pensieri per cercare di racchiuderli il meglio possibile nelle parole. Oggi le luci delle case mi sembrano tutte uguali e la vita possibile una sola, è così da quando ho smesso di uscire la sera e mi sono abituato troppo a quella della mia cucina. Del resto non faccio altro che dipingermi su l’altrui vetro, era così anche allora, ero diverso io. È solo tempo che passa, illusione che evapora. Ultimamente ho letto su un libro che vivere sarebbe come una retromarcia. Non ho ben capito cosa volesse dire l’autore, ma forse anche per lui è solo tempo che passa, illusione che evapora. Te lo mostrerò al tuo ritorno, se mai farai ritorno e se io non sarò partito. Noi nel frattempo continueremo a resistere e a lasciare perdere le chat e le faccine, non fanno per noi. Conserviamo la dignità che in tutti questi anni ci ha aiutato a rimanere buoni amici, due amici che ancora sanno scriversi lettere confuse, parlarsi di rado e pensarsi felici, nonostante tutto, felici.
Gabriele Serpe