Non solo musica ma anche formazione alle scuole, tour itineranti e molto altro, per aiutare famiglie bisognose, dal Medio-Oriente a Genova. Dal 1994 ad oggi, vent'anni di solidarietà e concerti. Andiamo a conoscere da vicino i "Creativi della Notte"
Il Che Festival! è un mondo perfetto, quello che tutti vorremmo idealmente: una sorta di Utopia. Ce ne siamo innamorati appena siamo arrivati lì, nel cuore di San Benigno qualche sera fa. Lo trovi soffocato da capannoni industriali, WTC, Torri Faro, nuovo complesso MSC, ma quando arrivi in Via Balladyer si apre un mondo nuovo. Il gruppo di Music for Peace è una delle organizzazioni più attive in città, è noto ai più il loro lavoro per portare aiuti umanitari in quelle parti del mondo particolarmente problematiche: da decenni organizzano eventi a Genova, prima itineranti poi da 4 anni stabili con il Che Festival!, per aiutare i più bisognosi. Si occupano di diritti umani e hanno messo in piedi una squadra di volontari che tutto l’anno si occupa di aiutare famiglie all’estero ma anche a Genova, formare giovani studenti sul tema della solidarietà, raccogliere generi di prima necessità. Il Che Festival! di giugno, insomma, è solo la punta dell’iceberg.
Rapiti da tutto questo fermento, abbiamo deciso di tornare qui con#EraOnTheRoad per intervistare Claudia D’Intino, membro dello staff dell’organizzazione.
Tanto per cominciare, raccontaci un po’ di voi: chi siete, cosa fate?
«Siamo un’associazione umanitaria particolare, probabilmente l’unica nel panorama nazionale a lavorare come facciamo noi. Abbiamo 4 punti fermi, capisaldi attorno a cui ruota il nostro impegno: il primo, non raccogliamo denaro da privati ma generi di prima necessità. È una scelta difficile da mantenere, soprattutto quest’anno, ma per noi è importante che resti così: sia per dare un segnale di trasparenza alle persone che decidono di contribuire e aiutare la nostra causa, sia perché vogliamo accrescere la consapevolezza tra i soggetti che decidono di collaborare. Venire qui con un sacco della spesa o con oggetti di cancelleria, ad esempio, richiede uno sforzo diverso dal semplice andare a un concerto e pagare un biglietto. Il secondo punto, molto importante, è che i beni che raccogliamo vengono distribuiti personalmente da noi: diamo sostegno a famiglie bisognose sia in zone particolari come la Striscia di Gaza, sia a Genova (ogni anno aiutiamo oltre 250 famiglie). Inoltre, vogliamo sottolineare che, nel caso in cui non fosse possibile completare la distribuzione personalmente, non affidiamo la merce nelle mani di terzi ma torniamo indietro con tutto il materiale».
«Ad esempio, ci è capitato lo scorso anno di restare bloccati tra Egitto e Striscia di Gaza, all’altezza del Valico di Rafah, per 35 giorni ma non abbiamo voluto abbandonare la “merce” perché abbiamo scoperto in questi anni che c’è un vero e proprio business nei territori di confine che vale milioni di euro: spesso le associazioni abbandonano il materiale alla frontiera, ma non arriva mai a destinazione e viene rivenduto o ridistribuito in modo arbitrario da chi controlla questi luoghi. Per quanto ci riguarda, invece, collaboriamo direttamente con associazioni partner, ospedali, ecc. e ci assicuriamo che la distribuzione vada come previsto. Insomma, seguiamo tutte le fasi, dalla raccolta alla consegna. Infine, quarto punto: il nostro obiettivo è la sensibilizzazione. Chiediamo alle persone un atto pratico, quello di donarci beni di prima necessità, solo per obbligarle a riflettere. Cerchiamo di sensibilizzare le persone grazie alla sinergia con arte e divertimento, per coinvolgere tutti, al di là dei gusti, delle preferenze, dell’estrazione sociale. Ad esempio, il 2 giugno 2013 ricordo che qui al Che Festival! c’era su un palco Zulu dei 99 Posse e sull’altro un gruppo che faceva liscio: è l’unico festival di musica dove puoi venire con tua nonna, insomma».
Un approccio diverso al volontariato e al mondo degli aiuti umanitari. Se non ricordo male anche i vostri esordi sono stati particolari…
«Vero. Siamo partiti dalle discoteche, luoghi che tradizionalmente non vengono associati al volontariato e alla solidarietà. L’associazione Music for Peace nasce da un’idea di Stefano Rebora nel 1988. All’epoca, con un gruppo di amici, lavorava come direttore artistico in locali notturni tra Italia, Francia, Corsica e, con lo scoppio della Guerra del Kosovo, ha maturato l’idea di mettere il suo lavoro al servizio degli altri. Così nel 1994 da vita al gruppo dei “Creativi della Notte” e inizia a organizzare eventi particolari, in un momento in cui le discoteche iniziano a diventare luoghi controversi di divertimento sregolato (uso di droghe, ecc.). La prima proposta di Stefano è quella di far pagare per dieci giorni l’ingresso in discoteca con beni di prima necessità da inviare alle persone che vivevano negli scenari di guerra: un successo. È la stessa logica applicata al Che Festival!, in fondo: se vieni coinvolto facendo una cosa che ti piace e che ti diverte, sei più predisposto ad ascoltare. Non è vero che certe tipologie di persone (i giovani delle discoteche, i ragazzi con i dreadlocks) non sono solidali, è solo che le associazioni del terzo settore non gli parlano nel modo giusto e parlano solo a chi è già predisposto ad ascoltare. Da subito sono partite le prime missioni, ma non c’era una vera e propria associazione costituita: siamo diventati una Onlus solo nel 2002, quando Stefano, in partenza per l’Afghanistan, è stato obbligato dalla normativa di quel Paese a costituire una associazione di questo tipo. Music for Peace è stata fondata all’Aeroporto Cristoforo Colombo, poco prima della partenza. Anche il nome è stato scelto su due piedi: Stefano ha deciso di chiamare l’associazione come l’ultimo evento che aveva organizzato in discoteca. In seguito, la strada dei locali notturni è finita e gli eventi si sono spostati da lì ad altri luoghi: è nato il festival itinerante Zena Zuena, che è andato avanti per 10 anni. Da 4 anni, però, siamo diventati stabili, abbiamo trovato questa sede a San Benigno e abbiamo dato vita al Che Festival!».
Se vieni coinvolto facendo una cosa che ti piace e che ti diverte, sei più predisposto ad ascoltare. Non è vero che certe tipologie di persone (i giovani delle discoteche, i ragazzi con i dreadlocks) non sono solidali, è solo che le associazioni del terzo settore non gli parlano nel modo giusto
Logisticamente come fate ad andare avanti? Cosa comporta la scelta di offrire un festival come questo gratuitamente?
«È una scelta molto dura, anche se abbiamo aiuti: ad esempio, abbiamo deciso di pagare l’affitto di questo spazio che occupiamo a San Benigno, di proprietà dell’Autorità Portuale, ma abbiamo un canone agevolato al 90% stabilito dal Demanio. Quando siamo arrivati qui, molti di noi erano disperati: non c’era nemmeno l’asfalto, non c’era niente. Abbiamo fatto tutto da soli, grazie al lavoro dei volontari: qui non è mai entrata una ditta esterna, a meno che non fosse partner. Per il resto, abbiamo asfaltato, costruito il campetto aperto e gratuito tutto l’anno, il magazzino, gli infissi, le aule e i locali che usiamo per le nostre attività durante tutto l’anno. Non c’era nemmeno l’elettricità. Fino a 4 anni fa non avevamo una sede, solo un piccolo ufficio a Borgoratti 2 metri per 2, e ci appoggiavamo al VTE per il trasporto delle merci: la logistica non era delle migliori, ma abbiamo realizzato lo stesso oltre 20 missioni. Poi finalmente siamo arrivati qui, e anche se il lavoro è stato duro eravamo felici. Ora riceviamo, per fortuna, contributi da enti pubblici e privati, da sponsor, istituzioni e media partner, con i quali c’è un rapporto di cambio merci. Per esempio, da dieci anni collaboriamo con il gruppo Messina, che mette a nostra disposizione container per le missioni ed effettuano il trasporto fino al porto più vicino. Tutto quello che vedete qui è “spazzatura”, materiale di recupero: i tavoli vengono da una vecchia nave di Costa Crociere, poi ci sono pallet, una vecchia libreria che fino a qualche anno fa era al Palazzo della Borsa, parti recuperate dal mercato di Via Bologna. Le piante sono state donate da un commercialista e da un vivaio di Savona. Anche la copertura del palco è stata donata dal nostro sponsor, la birra DAB. E soprattutto: gli artisti si esibiscono gratuitamente e non percepiscono nemmeno un rimborso per il viaggio (alcuni vengono dalla Calabria o dalla Lombardia, per esempio)».
Chi aiutate? Dove svolgete le vostre missioni umanitarie?
«Dal 2009 ci siamo concentrati sulla Striscia di Gaza perché abbiamo lasciato il cuore qui. È un contesto particolare: un’area grande come Genova, con 1,7 milioni di abitanti e sotto assedio, il che vuol dire che le merci non possono né entrare né uscire e non è possibile lo sviluppo economico. Sono negati tutti i diritti umanitari e proviamo a restituire loro qualcosa che hanno perso, anche se questo non è assolutamente comparabile al valore di quello che, umanamente, riportiamo indietro al termine della missione: queste persone ci insegnano molto. Prima siamo stati un po’ ovunque: Kosovo, Afghanistan, Su Sudan, Sri Lanka, Bosnia».
Come si svolgono le missioni a livello pratico?
«Siamo ospitati a casa di amici diversi di volta in volta, a seconda del Paese in cui operiamo. Restiamo circa 20, 30 giorni e abbiamo un referente sul posto che ci aiuta a trovare un magazzino in cui depositare le merci, e collaboriamo con associazioni locali e partner che si occupano di disabili, o ospedali, asili ecc. Le associazioni vengono al magazzino a prendere il materiale di cui hanno bisogno e lo distribuiscono direttamente all’interno della loro sede: i palestinesi hanno le merci direttamente dalle mani di altri palestinesi, non da noi occidentali perché si sta sviluppando una sorta di razzismo nei confronti degli attivisti…».
Siete attivi anche a Genova, vero?
«Sì, anche in città collaboriamo con associazioni attive sul territorio. Da due anni abbiamo firmato un patto di sussidiarietà con il Comune di Genova e abbiamo partner attivi su tutto il territorio che ci inviano schede con i dati di famiglie bisognose, che noi aiutiamo preparando loro la spesa e sostenendoli in vari modi. Il progetto si chiama “Dalla gente per la gente”».
In città siete conosciuti soprattutto per il Che Festival! e per le vostre missioni, ma non siete solo questo, vero? Quali altri progetti seguite?
«I nostri progetti si raggruppano sotto un grande contenitore che si chiama “Solidarbus”: al suo interno c’è Che Festival! da quattro anni, le missioni, Dalla gente per la gente, il tour solidale itinerante e Solidarscuola. Tutto l’anno, infatti, il lavoro qui prosegue, siamo sempre in movimento qui all’interno della sede di San Benigno: da gennaio a maggio lavoriamo con le scuole liguri (l’anno scorso c’era anche una di Milano) dalle elementari alle superiori, con un progetto gratuito per insegnare i diritti umani. Ogni giorno vengono qui, nella nostra Aula Vik, un centinaio di bambini e ragazzi. Prima ci occupiamo di una parte teorica, attraverso giochi o spunti di approfondimento; poi passiamo alla pratica: i ragazzi lavorano, fanno pacchi, confezionano materiale e preparano anche disegni e lettere per le persone che riceveranno il materiale. Ogni scuola apre un proprio punto di raccolta all’interno del proprio quartiere/città e ci consegnano il materiale da inviare alle popolazioni che aiutiamo. Durante il Che Festival! si esibiscono con recite, cori, balli per far vedere quello che hanno imparato».
A proposito di San Benigno, come mai la scelta di stabilirvi qui?
«Una scelta impopolare, ma c’è un motivo intanto logistico (siamo vicini ai container e al porto per l’imbarco delle merci), e poi simbolico: quello di ridare slancio a una zona tristemente nota per altre attività che non sono la solidarietà e schiacciata da attività portuali, industriale e uffici. Riuscire a far arrivare ogni giorno qui centinaia di ragazzi, ad esempio, è stata una scommessa: è difficile portare gente qui, ci si deve venire apposta, e ora in molti frequentano quest’area. Per esempio gli abitanti di Sampierdarena approfittano del nostro campetto per venire a giocare a calcio qui, e anche gli spazi interni sono tutti aperti alla cittadinanza. Inoltre, è stata una scelta anche simbolica: i primi camion diretti in Afghanistan nel 2002 sono partiti da qui».
Le scorse edizioni e la presente: una previsione prima della fine?
«Nel 2013 abbiamo raggiunto le 60 mila persone, ma quest’anno sta andando molto meglio e abbiamo fatto un vero salto di qualità. Non ci facciamo tanta pubblicità perché è un investimento che non possiamo permetterci, ma grazie al passaparola c’è stato un incremento e i liguri si sono affezionati a quella che è una manifestazione popolare dove ognuno può trovare una propria dimensione, affine ai propri gusti».
Elettra Antognetti
Complimenti ragazzi . Quest’anno è uno spettacolo!!!!
Peace and love