Adesso anche nel nostro Paese è possibile affidarsi alla fecondazione eterologa (cioè con ovociti o spermatozoi esterni alla coppia) per diventare genitori. Abbiamo chiesto lumi agli specialisti di San Martino ed Evangelico per comprendere meglio la situazione a Genova e in Italia. L'inchiesta integrale su Era Superba #57
Da aprile 2014 è possibile sottoporsi a fecondazione eterologa anche in Italia. Dopo anni di polemiche adesso è possibile utilizzare ovociti o spermatozoi di donatori anonimi esterni alla coppia per concepire.
Qui non vogliamo porre alcun giudizio di tipo morale, riteniamo che la coscienza di ognuno possa svolgere il suo compito. È stato chiaro da subito però, parlando dell’argomento con istituzioni e ospedali pubblici sul nostro territorio, che ci sono ancora problemi concreti da risolvere e non solo dal punto di vista organizzativo. Problemi che nello specifico riguardano Genova e la Regione Liguria, ma che ritroviamo anche sull’intero territorio italiano.
Da un lato manca completamente la cultura della donazione, è tutta da costruire. Dall’altro, non emerge un numero così grande di coppie che ha bisogno dell’eterologa o la cui richiesta immediata riguardi questa tipologia di fecondazione assistita. «Nella maggior parte dei casi si tratta di donne fra i 39 e 43 anni che hanno già affrontato diversi cicli precedenti di fecondazione omologa senza successo», racconta la Dottoressa Paola Anserini, referente del Centro pubblico attrezzato per fare la fecondazione eterologa presso l’Ospedale San Martino.
Prima della sentenza sentivamo parlare di turismo procreativo, quando le coppie cioè erano costrette ad andare all’estero per poter utilizzare semi altrui, ora non è più necessario, possiamo trovare i donatori in Italia.
Ma li troveremo? In una situazione in cui non è ancora chiaro cosa sarà a carico del Servizio Sanitario Pubblico e allo stesso tempo cosa sarà gratuito per il donatore/trice è molto difficile reperire donatori. Chi paga il farmaco per la donatrice? Chi gli esami a cui devono sottoporsi i donatori? Sarà possibile rimborsare i donatori?
Ma oltre ai dubbi sul pagamento di esami e prelievi (al momento al donatore viene garantito solo il rimborso della giornata di lavoro persa), il fattore di difficoltà in più rispetto all’estero è che in Italia i donatori e donatrici non sono per così dire “incentivati”. Detto in maniera più esplicita: in altri paesi è più facile reperire donatrici o donatori perché questi, oltre ad avere garanzia del rimborso delle spese, vengono direttamente pagati in denaro.
Ma se i problemi amministrativo-burocratici troveranno prima o poi una soluzione, rimangono dubbi sugli aspetti prettamente culturali. Genovesi, liguri, italiani… siamo pronti a donare?
Le difficoltà maggiori, stando ai dati in nostro possesso, riguardano il reperimento di donatrici, rispetto ai già rari donatori. È chiaro che la stessa donazione implica un coinvolgimento diverso e meno “invasivo” per l’uomo. Per la donatrice, oltre alla serie di esami iniziali a cui si deve sottoporre anche il donatore uomo, segue un intervento con anestesia per il prelievo degli ovociti.
Tuttavia, come detto, fino a che lo Stato non si deciderà a prendere posizioni chiare sul tema, questi percorsi rimarranno incerti. Il primo passo è stato fatto poco dopo il pronunciamento della Corte Costituzionale, la Conferenza delle Regioni e delle Provincie Autonome ha infatti emesso un documento con lo scopo di risolvere le problematiche relative alla fecondazione eterologa e che potesse essere sottoscritto da tutte le Regioni. In questo modo si è tentato di coprire un vuoto di linee guida statali. Il documento contiene i requisiti di chi può accedere all’eterologa, ovvero coniugi o conviventi di sesso diverso sterili e infertili e propone, dal punto di vista finanziario, che l’accesso a carico del servizio sanitario segua i criteri della fecondazione omologa cioè solo fino ai 43 anni per la donna e con un massimo di 3 cicli.
Quale è la situazione ad oggi nei due centri genovesi specializzati?
Sia a San Martino che all’Evangelico i medici si stanno occupando della primissima fase (detta “fase ambulatoriale”), cioè stanno illustrando alle coppie che la possibilità concreta di eseguire la fecondazione eterologa (escludendo le questioni ancora nebulose che riguardano il ticket) è vincolata al reperimento di donatori e donatrici. Le coppie ad oggi vengono inserite in una lista d’attesa e verranno contattate nel momento in cui ci saranno i donatori. A questo proposito è importante ricordare che presso il Centro dell’Ospedale San Martino è attivo un servizio che fornisce tutte le informazioni necessarie a chi voglia intraprendere il percorso di donatore o donatrice (010 5555840 dalle 11,30 alle 13,30).
La Liguria dunque ha i mezzi, le strutture e presto avrà anche l’assetto burocratico per avviare il processo di fecondazione eterologa. Ma non esiste nessun programma per quanto riguarda la diffusione delle informazioni sul territorio, indispensabili per una sensibilizzazione sul tema. Non è difficile ipotizzare che se la situazione dovesse rimanere quella odierna fra qualche anno i numeri di richiedenti e donatori continueranno ad essere molto bassi. Da un lato è fondamentale incentivare le persone alla donazione e dall’altro sensibilizzare la comunità su un tema così ampio e delicato. Perché, non dimentichiamolo, la fecondazione eterologa potrebbe ovviamente aprirsi anche alle coppie omosessuali, cosa che da anni è più che normale in alcuni paesi europei come ad esempio Spagna e Gran Bretagna.
Il futuro non si può fermare, ma pensare di non investire idee e risorse sulla sensibilizzazione e di demandare al caso l’istruzione sui temi legati alla fecondazione sarebbe un gesto profondamente incosciente. E, purtroppo, è quanto sta accadendo.
Claudia Dani
L’inchiesta integrale su Era Superba #57