Note su green pass, capitalismo della sorveglianza e quarta rivoluzione industriale
“La maggior parte di noi probabilmente non ha ancora capito, e lo farà presto, che le cose non torneranno alla normalità dopo qualche settimana, o addirittura dopo qualche mese. Alcune cose non torneranno mai più”. Così si apriva un articolo di Milano Finanza firmato il 18 marzo 2020[1], appena due mesi dopo lo scoppio ufficiale della pandemia, che riportava un’analisi di Gordon Lichfield, direttore della “MIT Techonology Rewiew”, il magazine della prestigiosa università americana. Analizzando le varie ipotesi di contenimento del virus, Lichfield ipotizzava esattamente quanto abbiamo visto realizzarsi nei mesi successivi e suggeriva che tutto ciò non avrebbe rappresentato un’interruzione temporanea della normalità ma “l’inizio di uno stile di vita completamente diverso”. In un momento in cui i vaccini erano una pura ipotesi e di green pass ovviamente non parlava nessuno, l’autore profetizzava che “verrà ripristinata la capacità di socializzare in sicurezza, sviluppando modi più sofisticati per identificare chi sia a rischio di malattia e chi no, e discriminando legalmente chi lo è” e che “in futuro potrebbero chiedere una prova di immunità, una carta d’identità o una sorta di verifica digitale tramite il vostro telefono, che dimostri che siete già guariti o che siete stati vaccinati contro gli ultimi ceppi del virus”. Queste previsioni venivano accompagnate dalla cinica considerazione che “ci si adatterà anche a queste misure, così come ci si è adattati ai sempre più severi controlli di sicurezza aeroportuale in seguito agli attacchi terroristici. La sorveglianza invasiva sarà considerata un piccolo prezzo da pagare per la libertà fondamentale di stare con altre persone”. La chiusura dell’articolo metteva in guardia dai processi di esclusione che questo modello di società avrebbe ampliato nei confronti delle fasce deboli della popolazione e dal pericolo che essa avrebbe potuto prendere la direzione del credito sociale, un sistema presentato come distopia nella serie tv Black Mirror (nell’episodio Caduta libera del 2016) ma già concretamente operativo in Cina da alcuni anni. Basandosi su tecnologie per l’analisi algoritmica dei big data relative alle informazioni possedute riguardanti la condizione economica e sociale di tutti i cittadini, il governo cinese assegna a ciascuno di essi un punteggio rappresentante il suo “credito sociale”, una sorta di classificazione della reputazione personale, sulla base del quale stabilisce la relativa possibilità di accedere o meno ad alcuni servizi essenziali.
La sorprendente capacità di previsione del futuro mostrata da Lichfield si spiega con la conoscenza delle nuove tendenze economiche a livello globale. Due sono i testi di riferimento che permettono di tracciare con sufficiente precisione questa cornice: La quarta rivoluzione industriale di Klaus Schwab e Il capitalismo della sorveglianza di Shoshana Zuboff[2].
La quarta rivoluzione industriale, teorizzata dal fondatore e direttore esecutivo del World Economic Forum, consiste in una accelerazione tecnologica e digitale già in atto, destinata a modificare radicalmente il nostro modo di vivere, lavorare e relazionarsi gli uni agli altri. Flussi di big data, intelligenza artificiale, automazione, smart cities, cyborg, internet delle cose, sanità digitale, 5G: il transumanesimo, che rappresenta il sostrato politico e filosofico della quarta rivoluzione industriale, mette in discussione il significato stesso di “essere umano” attraverso una nuova configurazione del rapporto tra le sfere fisica, biologica e digitale. Schwab individua e analizza nel dettaglio ventiquattro innovazioni tecnologiche che si dovrebbero plausibilmente verificare entro il 2025 e che creeranno questo nuovo ordine economico e sociale, secondo un processo ineluttabile di fronte al quale egli paventa un unico grande pericolo:
L’altro lato oscuro di questa rivoluzione è la paura che genera nelle persone. Soprattutto contro i leader e contro le élite, che sono ritenute le prime responsabili di questi cambiamenti. Se nel mondo stanno crescendo tante forze di opposizione che demonizzano le élite, sia politiche che economiche, è perché il timore aumenta. È una reazione simile a quello che fu il luddismo nella prima rivoluzione industriale, ovvero la risposta violenta all’introduzione delle macchine. Tuttavia, questa rivoluzione c’è e non si può fermare. Si può solo indirizzare nel modo migliore possibile[3].
Il capitalismo della sorveglianza descritto dalla Zuboff si presenta come il complemento economico reso possibile dalla quarta rivoluzione industriale. Il capitalismo della sorveglianza – scrive la Zuboff – si appropria dell’esperienza umana usandola come materia prima da trasformare in dati sui comportamenti. Alcuni di questi dati vengono usati per migliorare prodotti o servizi, ma il resto diviene un surplus comportamentale privato, sottoposto a un processo di lavorazione avanzato noto come “intelligenza artificiale” per essere trasformato in prodotti predittivi in grado di vaticinare cosa faremo immediatamente, tra poco e tra molto tempo. Infine, questi prodotti predittivi vengono scambiati in un nuovo tipo di mercato per le previsioni comportamentali, che io chiamo mercato dei comportamenti futuri. Grazie a tale commercio i capitalisti della sorveglianza si sono arricchiti straordinariamente.
Attraverso l’utilizzo delle informazioni che le persone ricercano e riversano nella rete in modo compulsivo, elaborate dai calcoli potentissimi dell’intelligenza artificiale e sviluppate attraverso la teoria di finanza comportamentale del nudge – la “spinta gentile” che induce determinati comportamenti attraverso una serie di stimoli informativi e che è valsa al suo creatore, Thaler, il premio nobel dell’economia del 2017[4] – il capitalismo della sorveglianza mette a profitto ogni aspetto della vita umana (“le nostre voci, le nostre personalità, le nostre emozioni”) con lo scopo di creare quel “mercato dei comportamenti futuri” che, in termini di margini di profitto, è il corrispettivo del petrolio del XX secolo.
Già nel 1956, Philip K. Dick, nel racconto Rapporto di minoranza (da cui il famoso film Minority Report), aveva immaginato un futuro in cui la polizia Precrimine sarebbe stata in grado di sventare crimini prima che potessero essere commessi grazie a un sistema di predizione dei comportamenti. Ma lo scopo del capitalismo della sorveglianza non è il controllo sociale. Totalmente integrato nella quarta rivoluzione industriale – gli algoritmi dell’Intelligenza artificiale sono il corrispettivo dei “precognitivi” dell’universo di Dick – il capitalismo della sorveglianza è totalmente impersonale, autoreferenziale, indifferente alla persona che sorveglia ed interessato esclusivamente ai flussi di dati che genera: “tramite l’automazione e un’architettura computazionale sempre più presente, fatta di dispositivi, oggetti e spazi smart interconnessi”, esso si prefigge lo scopo di “automatizzarci”, prefigurando una rivoluzione economica, sociale e antropologica di cui la Zuboff denuncia la pericolosità “per il futuro dell’umanità”.
Se questo era a grandi linee lo scenario economico in cui ci stavamo muovendo al momento dell’esplosione della pandemia, come quest’ultima si è inserita in esso?
La prima risposta ce l’ha data lo stesso Klaus Schwab pubblicando, nel luglio 2020, The Great Reset[5], un testo in cui ci viene spiegato perché la gestione della pandemia rappresenti un’occasione imperdibile per dare uno slancio decisivo alla quarta rivoluzione industriale: approfittare dell’emergenza per resettare il mondo, come si resetta un computer. Contemporaneamente altri analisti hanno notato come sia ragionevole interpretare alcuni strumenti introdotti in questi mesi possano fungere da acceleratori delle logiche e delle infrastrutture del capitalismo della sorveglianza:
Per valutare il senso di una misura come il green pass – si nota per esempio in una interessantissima analisi di un filosofo del diritto -, occorre allora capire il tipo di tecnologia di potere all’interno della quale essa funzionerà, sarà innestata. Da questo punto di vista, temo che il green pass, più che come dispositivo di esclusione di determinati cittadini dalla vita sociale, finirà per funzionare come uno dei tanti dispositivi che, oggi, sono funzionali ad assicurare un “sapere” – sotto forma di flusso di dati – che consenta di anticipare i comportamenti dei cittadini, in modo da determinarne il futuro[6].
La stucchevole discussione che imperversa da ormai due anni su dove cominci e finisca la libertà personale e di scelta in una situazione di emergenza frana di fronte all’evidenza che gli unici bisogni che dettano ogni scelta nella gestione della pandemia sono di ordine economico. Oggi come ieri sono sempre le esigenze della megamacchina capitalista a dettare le regole e stabilire le strategie all’interno delle quali le libertà individuali e i diritti sono variabili accessorie, erogabili, modulabili e sospendibili a seconda della criticità di una situazione. La prima evidenza di ciò è che, dopo due anni di pandemia, qualsiasi riflessione iniziale sulle criticità del modello di sviluppo economico mondiale è stata abbandonata nel nome della necessità del mantra del “ritorno alla normalità”. Che il virus sia nato da uno spillover o da un laboratorio di Wuhan (come in realtà pare ormai certo) cambia poco in questa prospettiva. È universalmente acclarato, ma opportunamente taciuto, che la pericolosità sanitaria del covid e la diffusione della pandemia derivino dall’intero apparato delle nocività strutturali della società mercantile e industriale: stili di vita dannosi, urbanizzazione selvaggia, inquinamento, distruzione dell’ecosistema e dei sistemi sanitari pubblici. Così come è stato rapidamente oscurato il fatto, sottolineato viceversa già da Lichfield nel suo articolo sulla “MIT Techology Rewiew”, che quella in corso sia non una pandemia ma una sindemia, ovvero una malattia che colpisce gli strati più deboli delle popolazioni.
Cosa è stato messo in campo per porre rimedio a queste nocività strutturali ed endemiche? Nulla, nessun investimento cospicuo è stato previsto per questioni strategiche essenziali riguardanti sanità, scuola e trasporti, mentre la soluzione per tornare alla normalità della produzione e del consumo è stata demandata ad una tecnologica sperimentale pagata profumatamente alle multinazionali di Big Pharma e scaricando la responsabilità di un eventuale fallimento sui comportamenti delle persone, cittadini trattati da sudditi sempre potenzialmente irresponsabili e, per questo motivo, meritevoli di un bombardamento continuo di propaganda a senso unico, fatta di varie forme di colpevolizzazione prima e ricatti sociali e lavorativi sempre più restrittivi poi.
L’aspetto della gestione della pandemia che ne ha svelato la logica intrinseca in un’ottica di ristrutturazione sistemica del futuro economico, sociale e politico è stato l’introduzione del green pass. Mentre perfino autorevoli voci mediche filo-governative hanno sottolineato come questa misura non abbia alcun valore di prevenzione sanitaria, ma semplicemente di incentivo a convincere i riluttanti a vaccinarsi, le autorità governativo hanno affermato di essersi ispirati nella sua elaborazione alla teoria del nudge, la stessa spinta gentile che abbiamo già visto essere tra le strategie fondamentali del capitalismo della sorveglianza. Al di là dell’evidenza che in un mondo che ruota intorno ai bisogni dell’economia il fatto che le scelte politiche derivino dalle teorie di marketing non può stupire, va detto che, fuori dalle belle parole del mondo accademico e della rassicurante neolingua anglofona, la logica del green pass sia riassumibile in quella molto più volgare del ricatto: ti consiglio vivamente di fare una cosa, sei libero di non farla, ma se non la fai ne paghi le conseguenze. Quindi la libertà di scelta di non vaccinarsi è soltanto apparente; il green pass la trasforma da diritto, quale allo stato legislativo attuale ancora è, in un dovere morale[7] (come ha recentemente ricordato perfino il presidente della Repubblica Mattarella) il cui non assolvimento comporta pesanti penalizzazioni.
Il 20 luglio scorso l’autorevole economista Tito Boeri, sulle pagine di Repubblica[8], spiegava perché, in termini economici e di diritto, sarebbe giusto che chi decide di non vaccinarsi dovrebbe “pagare i danni che provoca alla società”. Sul principio economicistico delle “esternalità negative” il soggetto in questione si configura infatti come un peso insostenibile per la sanità pubblica e per la comunità. Questo ragionamento, sempre più sostenuto da un coro variegato di voci autorevoli e di governo, sottende il fatto che, una volta sfondata questa linea gotica del diritto riguardante la salute, quello che vale oggi per il vaccino potrà valere per qualsiasi altro aspetto sanitario che il legislatore stabilirà domani. Questa rivoluzione copernicana in atto dell’esternalizzazione delle responsabilità sull’individuo apre potenzialmente alla futura ricattabilità di stili di vita considerati non consoni che è già insita nei discorsi di alcuni politici e che prelude ad un ulteriore smantellamento della sanità pubblica in stile neoliberista americano o, peggio ancora, all’approdo al credito sociale cinese. D’altronde quest’ultimo è basato sulla semplice estensione delle regole che regolano l’accesso al credito finanziario nel mondo bancario (mutui e prestiti) allargato all’intera sfera sociale. Nel suo articolo Boeri, da economista, fa una serie di affermazioni utilissime a capire le connessioni tra l’attuale gestione della questione sanitaria e le sue implicazioni strutturali future. Egli afferma che il principio per cui la libertà individuale finisce dove iniziano i diritti degli altri “non è una questione costituzionale o etica, ma pragmatica”, laddove il pragmatismo è rappresentato dalle necessità dell’economia neoliberista. In nome dello stesso pragmatismo, egli mette in discussione il diritto alla privacy, che, come ricorda la Zuboff, è non a caso anche il più grande ostacolo da rimuovere per lo sviluppo dei profitti del capitalismo della sorveglianza.
Se ricordare che la storia insegna che gli strumenti introdotti nei periodi di emergenza non vengono mai abbandonati (vedi le leggi antiterrorismo post 11 settembre) può far storcere il naso a qualcuno, il fatto che l’introduzione del green pass non abbia nessun carattere transitorio ma che anzi esso verrà implementato per la gestione dei dati sanitari delle persone come una sorta di passaporto digitale viene confermato da voci autorevoli del mondo medico:
Cosa succederà una volta finita l’emergenza? Sicuramente ci si attende che non si torni più indietro e che le tecnologie digitali di cui stiamo usufruendo in questo momento rimangano tali… Anche il “Green pass”, lo strumento che la Comunità europea ha deciso di adottare per consentire la mobilità cross frontaliera dei cittadini per concedere le autorizzazioni a una serie di eventi, rappresenta uno strumento molto semplice a supporto delle persone e che ci consente di gestire lo scambio di informazioni in modo trasparente e sicuro. IBM ha supportato lo sviluppo di questo strumento che è già in uso negli Stati uniti, in Israele, in Cina e in Islanda. Il Green pass rappresenta sicuramente un esempio di come le tecnologie digitali continueranno a supportarci in futuro[9].
D’altronde lo stesso Schwab affermava con certezza già nel 2015:
Un’altra innovazione che nel 2025 prevedo diventi comune riguarda il modo in cui ci prendiamo cura della nostra salute. Molti di noi indosseranno dispositivi in grado di misurare immediatamente ogni deviazione dai nostri normali parametri di salute e ci faranno capire in tempo reale che azioni intraprendere per non stare male. Sarà un modo di vivere completamente nuovo… E ancora, gli impianti sottopelle: sarà molto più frequente vedere persone che si fanno inserire nel corpo dei chip che sostituiranno alcune funzioni che adesso abbiamo nei nostri smartphone o computer[10].
Per cogliere poi la connessione coerente tra le previsioni di Schwab e ciò che sta accadendo oggi, è sufficiente leggere un articolo di una rivista mainstream che si occupa di faccende economiche, pubblicato anch’esso in tempi non sospetti – nell’aprile 2020, quando il vaccino non esisteva ancora – per avere una breve sintesi del progetto ID2020 (Identità digitale 2020). Lanciato nel 2015 (notare la coincidenza di date con le tempistiche date da Schwab) dall’Allenza per l’Identità digitale – una corporation che collabora con varie agenzie delle Nazioni Unite, i Governi e le maggiori imprese di tutto il mondo – esso poneva la necessità di fornire un’identità digitale alla maggior parte possibile della popolazione mondiale e il ruolo all’interno di questo progetto di una vaccinazione di massa. L’articolo stesso delinea in modo chiaro la connessione di questo progetto con la gestione della pandemia da covid, ovvero con l’idea che i “certificati digitali” che sarebbero stati emessi per certificare chi si sarebbe vaccinato una volta che un vaccino fosse stato trovato (quello che è divenuto il green pass) costituissero il passaggio decisivo dell’identità digitale di massa, una forma primitiva del futuro passaporto biometrico necessario a “dimostrare chi sei… in maniera affidabile sia nel mondo fisico che online” in un mondo prossimo venturo in cui “avere un ID potrebbe essere fondamentale per la ricerca di un lavoro, per l’accesso al credito, ma anche per andare a scuola”[11]. È stato lo stesso ministro Speranza a definire, nel luglio scorso, il green pass come “la più grande opera di digitalizzazione di massa mai fatta” e sono sempre più le autorità che chiamano il green pass stesso “passaporto vaccinale”.
Nel frattempo la Zuboff ci ricorda che l’accesso ai dati sanitari di miliardi di persone è il più grande business futuro del capitalismo della sorveglianza, essendo l’industria farmaceutica la più potente lobby al mondo, insieme a quella militare. Disease Mongering è il nome tecnico che designa la pratica commerciale di inventare letteralmente nuove malattie, perseguita da decenni dalle industrie farmaceutiche secondo una legge elementare del mercato: creare un bisogno, una domanda e un mercato a cui rispondere con i propri prodotti[12]. Attraverso una strategia di manipolazione dei dati, comunicazione e marketing, implementata dalle incredibili possibilità offerte dallo sviluppo digitale e algoritmico, la creazione di malattie e dei relativi rimedi possono portare nel prossimo futuro a margini di profitto finora impensabili. Se la Zuboff avvertiva che l’espansione delle logiche del capitalismo della sorveglianza all’interno delle istituzioni pubbliche abbia già sollevato molte preoccupazioni circa il pericolo che le democrazie nei paesi occidentali possano andare verso il modello di credito sociale cinese, è evidente che il green pass nella sua logica intrinseca è già un sistema di credito sociale e che la sua istituzionalizzazione come passaporto sanitario digitale potrebbe rafforzare questa deriva.
Molti altri sono gli aspetti della gestione della pandemia che meriterebbero essere approfonditi per cogliere quanto sta accadendo in una prospettiva che non è quella di una semplice emergenza sanitaria. La sospensione della normalità giuridico-legislativa, che da stato di emergenza sta slittando verso uno stato di eccezione, per cui da due anni un governo tecnico come quello italiano governa tramite decreti da un lato; e la recente degenerazione della propaganda mediatica nella retorica bellica nella creazione di un nemico pubblico e di un capro espiatorio, con la conseguente criminalizzazione del dubbio e pensiero divergente, dall’altro, sono manifestazioni concrete di una situazione che solleva un parallelismo inquietante con i regimi totalitari, come alcune voci autorevoli hanno fatto recentemente notare. Si può davvero giustificare tutto ciò con la pericolosità effettiva del covid?
Ci sono pochi dubbi che siamo davanti a una svolta storica. D’altronde la quarta rivoluzione industriale, come indica il suo stesso nome, rivendica la sua filiazione dalle prime tre, ovvero dagli ultimi due secoli e mezzo di capitalismo, e, più nello specifico, dalla civiltà tecnocratica delle macchine impostasi nel Novecento.
Se ora sentiamo che organizzare la società in modo socialista e con un’economia pianificata è plasmarla scientificamente, questo significa: vitamine, microscopi, logaritmi, regoli calcolatori, fissione atomica, psicoanalisi, fisiologia, statistiche matematiche, ormoni. In questa concezione del mondo gli uomini occupano un posto non più alto dei cani su cui il fisiologo russo Pavlov condusse i suoi esprimenti sui “riflessi condizionati”, e la questione sociale ora diventa una specie di bacillo che deve essere solo scoperto usando gli “esatti” metodi di statistiche matematiche – i metodi di “correlazione multipla”, dei coefficienti di elasticità della domanda e dell’offerta e così via, e quindi, in un congresso scientifico mondiale – più numerosi partecipanti, meglio è – viene trovata l’appropriata panacea. Gli umani sono catalogati e diretti in ogni situazione e in ogni fase del loro sviluppo per mezzo di verifiche e contro-verifiche eseguite secondo procedure di controllo altamente elaborate; la predicibilità delle loro opinioni è accuratamente investigata per dedurne previsioni sul loro comportamento futuro, e infine metodi “scientifici” sono elaborati per formare e plasmare l’uomo in accordo con un’immagine che è a sua volta prescritta dalla “scienza”.
Così scriveva il liberale Wilhelm Röpke nel 1944 (Civitas Humana) a proposito del collettivismo sovietico. Citata da Marco D’Eramo nel suo recente Dominio[13] come un’incredibile anticipazione temporale dei meccanismi ipertecnologici del capitalismo della sorveglianza di oggi, questa analisi dimostra come il mondo attualmente in ricostruzione sia soltanto l’estrema propaggine del processo secolare della civiltà delle macchine nata con la prima guerra mondiale, il taylorismo e la società-fabbrica. Di questa civiltà i totalitarismi hanno rappresentato una sperimentazione accelerazionista, ma alcuni dei loro fondamenti vengono oggi ripresi dal capitalismo nella fase di una ristrutturazione avvertita come sempre più necessaria. Non è un caso che il modello da seguire scelto oggi dal blocco occidentale liberale grazie al volano della pandemia sia quello dell’autoritarismo statale e tecnocratico della Cina. Un modello nato dalla fusione tra il controllo totalitario della popolazione di matrice sovietica con il turbocapitalismo economico digitale postmoderno. Dove l’Unione sovietica fallì, la Cina contemporanea sembra vincere nello scacchiere mondiale, come confermano le lodi generalizzate del sistema cinese nel contenere la pandemia e i tratti pseudo-socialisti e collettivisti della quarta rivoluzione industriale e del great reset propugnati dal World Economic Forum[14].
Non a caso nell’ultimo World Economic Forum, tenutosi nel gennaio 2021 e dedicato proprio al great reset, il premier francese Macron ha esplicitamente affermato: “Questo capitalismo non funziona più”. Le oligarchie al vertice del capitalismo sono consapevoli dell’insostenibilità dell’attuale modello di sviluppo e della necessità di una ristrutturazione tecnocratica che ne garantisca la sopravvivenza e l’implementazione di fronte alle crisi ambientali, economiche e sociali da esso stesso provocato. Esse sanno di essere entrate in una fase nuova storica in cui dovranno gestire crisi e catastrofi sempre più frequenti e sapere trasformarle in opportunità. D’altro canto queste crisi e catastrofi ci vengono presentate come delle semplici merci – ineluttabili, variabili e obsolescenti – e il potere si fonda sulla capacità di mantenere la percezione che non esista un’alternativa al di fuori di esse. La nostra libertà è, ormai da tempo, ridotta a quella di un consumatore di fronte agli scaffali di un supermercato; il problema è che quest’ultimo assomiglia sempre più ad un discount. All’incrocio tra le esigenze del capitalismo della sorveglianza e della quarta rivoluzione industriale, che ci attenda un “ritorno alla normalità” del ciclo produzione-consumo aumentato di un nuovo apparato iper-tecnologico o, più brutalmente, l’instaurazione di un nuovo paradigma politico-sociale autoritario simile a quello cinese, quel che è certo è che, come ricordava Lichfield, nulla tornerà più come prima. La sperimentazione di questi due anni ci prospetta una vita più virtuale e surrogata, sorvegliata e socialmente distanziata. Gli indizi del cambiamento in atto sono molteplici. È casuale il fatto che a pandemia appena iniziata si sia scelto di chiamare “sociale” un distanziamento la cui ratio sanitaria avrebbe dovuto battezzarlo “fisico”? È casuale che nell’agenda politica internazionale si discuta alacremente di introdurre un reddito di cittadinanza universale che copra la futura disoccupazione di massa introdotta dall’automazione? Se la produzione del mondo sarà sempre più robotizzata, il consumo rimarrà una necessità essenziale in un mondo in cui la garanzia della tutela di alcuni diritti da parte dello Stato comporterà il prezzo di rinunciare a sempre maggiori margini di libertà, democrazia e autonomia. Scegliere se questa idea di felicità ci piace è la posta politica in ballo e l’unica certezza è che senza una spinta dal basso che rompa l’incantesimo illusionistico che non esistano alternative possibili non c’è nulla di buono da aspettarsi.
Leonardo Lippolis
[1] https://www.milanofinanza.it/news/non-torneremo-piu-alla-normalita-ecco-come-sara-la-vita-dopo-la-pandemia-202003181729195935?fbclid=IwAR040N5v-cfZsWh71KMRh9ROq5vZVc1IysJfY-woPQwBravn71Bt9lTt-gs
[2] K.Schwab, La quarta rivoluzione industriale, Il Mulino, Bologna 2016; S. Zuboff, Il capitalismo della sorveglianza. Il futuro dell’umanità nell’era dei nuovi poteri, Luiss, Roma 2019.
[3] https://www.economyup.it/innovazione/schwab-wef-dal-lavoro-alla-genetica-cosi-la-4-rivoluzione-industriale-cambia-la-nostra/
[4] R. Thaler, C. R. Sunstein, La spinta gentile. La nuova strategia per migliorare le nostre decisioni su denaro, salute, felicità, Feltrinelli, Milano 2014.
[5] K. Schwab, T. Malleret, Covid-19: The Great Reset, Forum Publishing, Cologny/Geneva 2020
[6] https://www.iisf.it/index.php/progetti/diario-della-crisi/green-pass-discriminazione-e-controllo-tommaso-gazzolo.html?fbclid=IwAR33WI9FHJfZAIVu9GA5Sh2pHzJU3hnYLpqTwol5FP-foFp1zb6H9A5Cac0
[7] https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/08/31/covid-la-vaccinazione-non-e-un-dovere-ma-un-diritto-basta-col-clima-da-caccia-alle-streghe/6305860/
[8] https://www.repubblica.it/economia/2021/07/20/news/chi_non_si_immunizza_deve_almeno_pagare_i_danni_che_provoca-310929241/?ref=RHTP-BH-I304495303-P2-S1-T1&fbclid=IwAR3bcAJ7XnkHueleg6wETFkbb94nFkzLfNHnnTOOZFygozjc8e2LA0uCUO0
[9] https://www.pharmastar.it/news/digital-medicine/tecnologie-digitali-applicate-alla-salute-quale-sar-il-futuro-36046
[10] https://www.economyup.it/innovazione/schwab-wef-dal-lavoro-alla-genetica-cosi-la-4-rivoluzione-industriale-cambia-la-nostra/
[11] https://www.money.it/ID2020-identita-digitale-cosa-e-legami-COVID19?fbclid=IwAR2ZCdTHhEmdLdA_Of-0A1hYYrPRu8EyzktUfLLCwG-ii1dVKpUtmOOmfdE
[12] Si veda al proposito il bel documentario Inventori di malattie, inchiesta puntuale e molto interessante realizzata da Silvestro Montanari nel 2007 per il programma “C’era una volta” di Raitre e reperibile in rete
[13] M. D’Eramo, Dominio. La guerra invisibile dei potenti contro i sudditi, Feltrinelli, Milano 2020.
[14] Si veda al proposito https://www.weforum.org/agenda/2016/11/how-life-could-change-2030/