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La tentazione di “alleggerire” norme e controlli, soprattutto in un contesto di depressione economica, accomuna diversi attori della politica e non solo. Ma chi si occupa di legalità e corruzione sottolinea i rischi: un azzardo rendere normalità l’emergenza
Il “modello Genova”, cioè l’insieme di normative d’emergenza, deroghe alle normali procedure ed eccezioni di vario tipo che hanno consentito una rapida ricostruzione del Ponte Morandi, piace a tutti o quasi. Di sicuro piace al leader della Lega Matteo Salvini, che propone – come è successo appunto per la ricostruzione del Morandi – “poteri speciali ai sindaci in deroga ai cavilli del Codice degli appalti, ricorsi, contro-ricorsi, inutile burocrazia”. Piace anche a Matteo Renzi, che vorrebbe “un commissario straordinario per ogni grande opera” e al viceministro dei trasporti del Movimento 5 Stelle Giancarlo Cancellieri, che qualche mese fa, a nome del suo partito, proponeva una legge speciale per lo sblocco delle infrastrutture ispirata proprio al modello Genova. A differenza dei due mattei Cancellieri aveva voluto sottolineare che, nel piano del M5s, “Non ci saranno deroghe al Codice Antimafia o Anticorruzione, né spartizioni politiche per le nomine dei commissari”.
Eppure è proprio pensando alla legalità che un’associazione contro la mafia e sensibile al tema della corruzione come Libera esprime più di una riserva sulla trasformazione del modello Genova da procedura d’emergenza a nuova normalità per la gestione dei lavori pubblici. «Non è possibile, ed è anzi un pericoloso azzardo – spiega a Era Superba Stefano Busi, referente di Libera per la Liguria – ipotizzare che un modello decisionale emergenziale legato a un singolo, chiaro e ben identificabile progetto (peraltro già esistente e ben definito, realizzato e seguito gratis dal progettista) possa essere esteso a dimensioni più ampie senza che vi siano malversazioni e corruttele, è semplicemente irrealistico». Sulla non replicabilità del modello Genova si è espressa anche la ministra dei trasporti Paola De Micheli del Partito Democratico, l’unica, tra le principali forze politiche di maggioranza e opposizione, del tutto schierata su una linea cauta.
È ormai da diversi mesi che l’espressione “modello Genova” è diventata sinonimo di efficienza, velocità, capacità finalmente di fare le opere in un Paese soffocato da procedure e burocrazia. Ora, davanti a un’economia in gran parte da ricostruire dalle macerie della pandemia di Covid-19 e una ventilata ipotesi di riforma del codice degli appalti, l’idea che sia giusto sbarazzarsi di quanti più regolamenti e controlli per favorire la ripresa sembra attrarre molti decisori politici. Inclusi, naturalmente, quelli locali, che del modello hanno fatto motivo d’orgoglio. Giovanni Toti, che punta forte sul tema delle infrastrutture per farsi rieleggere a settembre, è stato esplicito: “Via codice degli appalti, via gare europee, via controlli paesaggistici, via certificati antimafia, via tutto – diceva lo scorso 7 aprile – Almeno per due anni. Ci sono gruppi affidabili e lavori da fare: io dico ‘partano subito’. Serve un modello di ricostruzione post bellico”.
La posizione del presidente ligure aveva fatto saltare sulla sedia diverse associazioni, tra cui la stessa Libera, e anche la Cgil, che definì l’idea di Toti “agghiacciante”. L’idea non è solo slogan approssimativo di una politica in campagna elettorale permanente, ma si fa spazio anche nel linguaggio più asettico dei tecnici che nelle scorse settimane hanno redatto il piano Colao, per cui per riformare gli appalti pubblici è necessario un riequilibrio tra “l’asse della legalità” e “l’asse dell’efficienza”. Stefano Busi, però, rifiuta questa contrapposizione: «Non esiste una contrapposizione tra “efficienza” e “legalità”, ed anzi la corretta applicazione delle norme esistenti agevolerebbe l’efficienza del sistema – dice – Per fare un esempio, il codice degli appalti prevede degli strumenti che già consentono di snellire in caso di urgenza».
Tra il 14 agosto 2018, giorno in cui 43 persone perdono la vita nel crollo del Ponte Morandi, e il 28 aprile 2020, quando viene issata la diciannovesima e ultima campata del nuovo Viadotto Polcevera, sono passati 623 giorni, poco più di un anno e otto mesi. Meno di due anni saranno passati quando il viadotto verrà inaugurato quest’estate, staremo a vedere se con una grande festa in diretta televisiva come avrebbero voluto amministratori locali e costruttori, se con un ricordo più sobrio e istituzionale ricordo come chiesto dall’associazione dei parenti delle vittime e dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella o se con una soluzione di compromesso, come la doppia cerimonia ipotizzata dal sindaco Bucci.
Si tratta in ogni caso di tempi molto rapidi per gli standard dell’Italia, dove, secondo i dati raccolti dal Dipartimento per la Coesione territoriale nel 2018, un’opera pubblica impiega in media 4,4 anni per essere realizzata. e in Liguria, in particolare, tra l’apertura e la chiusura di un cantiere passano in media 5,2 anni. Tempi dunque ben al di sopra alla media nazionale, e persino in peggioramento rispetto a quanto rilevato dal precedente rapporto, datato 2014 , quando per la Liguria si calcolava un tempo medio di realizzazione delle opere di 5 anni netti (a livello nazionale, invece, tra il 2014 e il 2020 il tempo per realizzare un’opera pubblica è sceso, da 4,5 a 4,4).
A rendere possibile una ricostruzione del Ponte Morandi in tempi tanto più rapidi di quelli consueti è stato il decreto legge 109 del 2018 (chiamato più comunemente “decreto Genova”), che stabiliva la nomina di un Commissario straordinario a cui veniva concesso di operare “in deroga ad ogni disposizione di legge extrapenale, fatto salvo il rispetto dei vincoli inderogabili derivanti all’appartenenza all’Unione europea”. Nel ruolo di Commissario straordinario sarebbe stato scelto il Sindaco di Genova Marco Bucci, che grazie alle disposizioni del decreto ha potuto forzare al massimo tutte le normali procedure di assegnazione dei lavori, affidando per direttissima i lavori al consorzio Per Genova, nato per l’occasione con la partecipazione di Fincantieri e Salini Impregilo. La grande partecipazione emotiva e la consapevolezza dell’emergenza ha fatto inoltre sì che nessuno mettesse i bastoni tra le ruote al processo, a cominciare dai possibili costruttori alternativi, che hanno rinunciato a qualsiasi tipo di ricorso per non rallentare i tempi.
«Bisogna inoltre considerare – aggiunge Busi – che la ricostruzione del Ponte è stata ed è costantemente sotto i riflettori dei media, non solo nazionali, e dell’opinione pubblica: altro elemento che, accanto alla presenza comunque garantita dei controlli antimafia, ha consentito di scongiurare i tentativi di infiltrazione da parte di imprese collegate ad ambienti criminali (tentativi che, comunque, ci sono stati). Inoltre il budget era oggettivamente limitato, se comparato alla globalità delle opere pubbliche italiane».
Tra gli addetti ai lavori c’è chi non teme che una riforma del codice degli appalti in direzione del “modello Genova” possa effettivamente generare rischi di corruzione. In un recente numero della rivista dell’ordine degli ingegneri della Liguria, il presidente dell’ordine di Genova Maurizio Michelini, per esempio, ha definito il modello Genova semplicemente “consentire alle persone di lavorare bene”. “Ma se per farlo – ha aggiunto Michelini – occorrono un Commissario straordinario e una legge speciale di deroga, allora vuol dire che siamo messi proprio male. Il ‘decreto Genova’ non è un ‘liberi tutti’, come alcuni erroneamente pensano, perché non consente di derogare alle leggi penali – come quelle di tutela di preminenti interessi tipo salute, ambiente, sicurezza delle costruzioni, paesaggio, beni culturali, antimafia, ecc. – né di agire al di fuori del quadro normativo sovraordinato di matrice europea, internazionale e costituzionale. Consente, invece, di ‘uccidere’ la burocrazia inutile, di interpretare e applicare le norme secondo buon senso e di seguire le migliori prassi internazionali senza rischiare di finire sotto processo e con i lavori bloccati” .
Epperò, nel corso della nostra intervista, Busi lascia intendere che secondo lui è proprio a una sorta di “liberi tutti” che molti alfieri del modello Genova sembrano ammiccare. Anche lui sostiene la necessità di una razionalizzazione delle norme («Occorre trasparenza integrale di ogni spesa e di ogni acquisto pubblico, senza opacità di alcun genere. – ci dice – Altro punto importante, l’immissione di competenze professionali tecniche nella Pubblica Amministrazione, elemento fondamentale per consentire agli enti pubblici di gestire al meglio gli appalti») ma rispetto a Michelini o ai politici che spesso sembrano usare il modello Genova come un’arma elettorale, ha un’idea diversa su quali siano le vere radici delle inefficienze e delle lentezze italiane. «Detta in una battuta: è proprio la presenza delle organizzazioni mafiose e dei sistemi corruttivi a causare questa lentezza, e non l’insieme di norme che tentano di contrastare quei sistemi – sintetizza – È innegabile che l’architettura di norme e procedure presenti nel nostro Paese sia complessa e, a volte, di difficile comprensione, ma non va certo dimenticato che quel sistema così complesso (complesso non certo per la presenza delle norme antimafia e anticorruzione) è reso tale dall’incapacità del decisore pubblico di porvi rimedio».
Per non parlare poi di quando la lentezza è autoindotta, e diventa giustificazione di situazioni di emergenza e di conseguente deroga ai regolamenti. «A volte – conclude infatti Busi – si ha l’impressione che alcuni bizantinismi siano funzionali a poter affermare la necessità di derogare a tutte le norme, anche a quelle che bizantine non sono. E La storia del nostro Paese, anche quella recente, ha più volte dimostrato che “deroga” ed “emergenza” sono spesso state le parole d’ordine per aumentare i costi, arricchire amministratori corrotti, ingrassare imprenditori collusi e gruppi criminali, anche mafiosi».
Luca Lottero