Questo vecchio pullman porta in un luogo che non conosco e che non mi conosce. Ancora una volta sono sola, perché una donna libera è prima di tutto una donna sola, lo saprà bene anche lei caro uomo sulla Luna...
Caro uomo sulla Luna,
qui il paesaggio scorre dal finestrino e sembra un libro aperto al vento, i muscoli del viso si rilassano quel tanto che basta per abbandonare la presa e dimenticare il motore che instancabile borbotta nella pancia.
Così mi penso bambina, riesco ancora a farlo. Quando mi lasciavo trasportare da una meta all’altra fra le vite degli adulti, come un pacco pieno di meraviglia e immaginazione, ero lasciata in pace. Nessuno chiedeva “a cosa pensi” quando restavo in silenzio, era lecito tacere. Il mio parere non era necessario nelle conversazioni che passavano di bocca in bocca sopra la mia testa, era lecito non partecipare, farsi da parte. Sento ancora nitida sulla pelle quella sensazione di invisibilità. Io pretendo di essere lasciata in pace. Ancora oggi come allora, nonostante i miei cinquantatré anni compiuti ieri. È quello che più desidero, che coltivo e difendo da una vita intera, egoisticamente e gelosamente, ed è tutto ciò che posso offrire a chi incontro, la pace, la mia personalissima pace.
“… se tu scegli questa strada del lasciatemi in pace, non voglio dare spiegazioni a nessuno, probabilmente ti troverai a dover fuggire sempre”, ricorda Oshima al giovane Tamura Kafka in “Kafka sulla spiaggia”.
Ma quel “sempre” non rende l’idea, perché i libri non partono mai dall’inizio e non arrivano mai alla fine, sono uno spaccato, una parentesi fluttuante. Vivere in cammino, per davvero, da ventidue anni, è un’altra faccenda. Ogni casa, paese, donna, uomo, sono code di lucertola lasciate alle spalle, si muovono ancora, come discorsi in sospeso, si muovono senza di me, senza il corpo, senza sostanza, si muovono dentro di me.
Questo vecchio pullman porta in un luogo che non conosco e che non mi conosce. Ancora una volta sono sola, perché una donna libera è prima di tutto una donna sola, lo saprà bene anche lei, caro uomo sulla Luna. Non sarà niente di speciale. Più di cinquantanni al mondo per giungere in un piccolo paese nella sperduta campagna, un paese come un altro, nuova terra da arare, concimare e seminare, nuovi raccolti da aspettare, una stanza fredda da riscaldare, con il tempo e la pazienza. A me non manca il tempo, non è mai mancato, e nemmeno la pazienza. E non mi importa nulla del futuro finché avrò le forze per reggermi in piedi. Provo tante volte ancora oggi a immaginarmi vecchia, alla fine del percorso, ma non ci riesco, “è impossibile, sarebbe come immaginare cosa c’è oltre i confini del mondo”, mi risponderebbe Tamura Kafka. So solo che a quel punto arriverà il conto da pagare e saranno dolori, ma spero che, dopo tanto errare, il dio degli uomini possa avere per me un occhio di riguardo, farmi morire da donna libera, sola e indipendente.
Buona fortuna a lei caro uomo sulla Luna, e buona fortuna anche a me, ne abbiamo sempre tanto bisogno. Perché se c’è una cosa che quaggiù la vita insegna è che a vivere si impara sempre troppo tardi.
Gabriele Serpe