Siamo andati a Savignone in Valle Scrivia a conoscere Alfredo e il suo allevamento di mucche cabannine, l'unica razza bovina autoctona della Liguria. Originaria del comune di Rezzoaglio in provincia di Genova, la cabannina ha resistito al rischio estinzione. Nel XIX secolo esistevano oltre 40000 esemplari, oggi poche centinaia
Per la prima avventura “fuori porta” di #EraOnTheRoad abbiamo scelto di parlare di allevamento. Non quello intensivo, dei grandi numeri, ma quello a misura del nostro Appennino, fatto di pochi capi e di razze autoctone. Siamo andati a in Valle Scrivia, nel comune di Savignone nel Parco dell’Antola, alla scoperta della mucca cabannina.
In un sabato di settembre, sotto un cielo un po’ incerto, ci siamo lasciati Genova alle spalle, abbiamo superato Montoggio e Avosso e, dopo il bivio per Valbrevenna, abbiamo svoltato in una strada stretta che attraverso i boschi ci ha portati a destinazione. L’Autra è conosciuta come agriturismo e fattoria didattica ma prima di tutto è un’azienda agricola che nasce nel 1983 dal desiderio di Alfredo Bagnasco di avere una vita diversa fatta di animali, di campagna e di vita lontano dalla città.
Arrivando all’azienda agricola Autra troviamo un po’ di traffico 😉 #EraOnTheRoad #vitefuoriporta pic.twitter.com/BOaeiNnh7U
— Era Superba (@EraSuperba) 20 Settembre 2014
All’Autra ci sono venti vacche di razza cabannina, l’unica razza bovina interamente ligure che deve il suo nome alla frazione di Cabanne, nel comune di Rezzoaglio, nel cuore del Parco dell’Aveto. Alfredo alleva le mucche di razza cabannina principalmente per il latte e per il formaggio: il piccolo caseificio annesso all’azienda agricola produce due o tre volte la settimana delle formaggette e della ricotta che vengono distribuite in un circuito di commercianti locali. Con Alfredo andiamo a cercare le mucche al pascolo e, prima di vederle, ne intuiamo la presenza dai prati puliti e rasati. «Un tempo questi pascoli erano incolti e abbandonati – racconta Alfredo – le cabannine ora pascolano libere in un’area di circa 8 ettari e contribuiscono così alla pulizia di prati e boschi».
Nel XIX secolo i capi di razza cabannina erano circa 40.000, oggi siamo nell’ordine di poche centinaia. Ma l’estinzione, che agli inizi negli anni ’70 era un rischio concreto, per ora è scongiurata grazie al congelamento del seme e all’intervento, tra gli altri, dell’Associazione Provinciale Allevatori di Genova e di Slow Food che tutela la razza come Presidio.
Le ragioni di questa caduta libera verso l’estinzione? Alfredo cita le mucche di razza bruna, animali più massicci e molto più produttivi spesso prediletti dagli allevatori a discapito delle razze autoctone. Ma le caratteristiche di un animale da allevamento vanno inevitabilmente incrociate con le caratteristiche di un territorio. E quando ci troviamo davanti il primo esemplare di cabannina possiamo constatare che si tratta di una mucca piccola, robusta e compatta, evidentemente perfetta per sfruttare i pascoli ripidi del nostro entroterra. La bruna, una mucca di dimensioni decisamente più grandi, non sarebbe adatta a questi terreni poveri e impervi. È evidente, dunque, che parliamo di una razza meno produttiva rispetto ad altre oggi tanto diffuse, ma si tratta di un animale da allevamento con l’Appennino genovese nel dna e le cui caratteristiche sono perfette per dare il meglio proprio in questo habitat.
Piacere sono una mucca #cabannina.La #liguritudine ce l’ho nel DNA #EraOnTheRoad #vitefuoriporta cc @robertopanizza pic.twitter.com/Ek017qFLvS
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Dopo l’incontro ravvicinato con le cabannine, che si sono dimostrate anche estremamente fotogeniche, siamo ritornati verso il caseificio e con Alfredo abbiamo parlato di futuro. Innanzitutto ci siamo chiesti se l’allevamento può essere una chance per il domani di tanti giovani in cerca di opportunità. «Sicuramente i margini per lavorare ci sono anche se la vita a cui si va incontro è fatta di sacrifici e di tanto lavoro», racconta Alfredo.
Ragionando sul presente e sui fatti, oggi c’è sicuramente un interesse diffuso verso l’allevamento; all’Autra un primo dato in questa direzione ce lo danno i numeri della fattoria didattica: circa 50 classi in visita in due mesi. Inoltre, nuovi mestieri potrebbero nascere nel solco della tradizione: Alfredo ha anche una quindicina di asini con cui vorrebbe sviluppare attività legate alla pet teraphy o al trekking, cosa peraltro già sperimentata in altre regioni d’Italia.
E parlando di futuro, tra i tanti scenari possibili, emerge il sorriso di Sucia, indiano, 27 anni, braccio destro di Alfredo. Lui segue gli animali nella quotidianità ma anche nelle attività legate alla fattoria didattica: è lui infatti a insegnare ai bambini i segreti della mungitura. Sucia è all’Autra da 5 anni e ama il suo lavoro, si vede da come ci guida nelle stalle e da come ci racconta i caratteri e le idiosincrasie dei diversi animali.
Ci piace pensare, salutando Alfredo e lasciando l’Autra, che oggi l’allevamento nel nostro entroterra abbia anche i colori e l’allegria del sorriso di Sucia. E che uno dei tanti futuri possibili possa partire proprio da qui.
Chiara Barbieri