Immaginiamo il viaggio di un bicchiere d’acqua a Genova, dal lago del Brugneto sino al rubinetto della nostra casa. Quali sono i passaggi per rendere potabile l'acqua di laghi e fiumi?
A Genova esistevano storicamente tre distinti acquedotti: il Nicolay, il De Ferrari Galliera, e Genova Acque (Amga). I primi due erano privati, il terzo era inizialmente una municipalizzata, poi ceduta ad un consorzio misto pubblico-privati. Nel 2006 dalla fusione delle tre società, nacque Mediterranea delle Acque, società del Gruppo Iren, in grado di gestire tutto il Comune di Genova e 39 dei 67 comuni dell’ex ambito Ato (Ambito Territoriale Integrato) sul quale occorre organizzare il servizio idrico sulla base della normativa regionale. Ad oggi dunque è uno solo il referente per la distribuzione in città dell’acqua potabile evitando curiose intersezioni fra acquedotti privati, pubblici e in via di privatizzazione.
Negli anni ‘70 e ‘80 però, con eccezionali stagioni di siccità, gli acquedotti privati ebbero il loro momento di gloria, cercando di diversificarsi rispetto al principale, ormai municipalizzato: anche il piccolo Nicolay in quegli anni realizzò la diga sul lago Busalletta mettendosi in condizione di far fronte ai ciclici periodi di magra dello Scrivia. Insomma, la concorrenza poteva riservare qualche vantaggio, ma certamente appesantiva e irrigidiva l’offerta poiché fino al 1990 le interconnessioni praticamente non esistevano.
Oggi, invece, il nostro bicchiere d’acqua ha lo stesso “marchio” qualsiasi provenienza abbia e l’acquedotto, grazie ad una condotta posta fra Val Bisagno e Val Polcevera di circa 8 chilometri, riesce a pompare acqua da una zona all’altra della città, in caso di criticità nella fornitura.
Detto questo, l’acqua arriva comunque da siti posti anche a considerevole distanza fra di loro; si va dalla diga sul Brugneto al lago della Busalletta, dalla captazione delle acque del Bisagno a quelle del Polcevera.
Ipotizziamo il viaggio di un bicchiere d’acqua che sgorghi ad esempio da un rubinetto di Nervi: in questo caso, il contenuto del nostro bicchiere nascerà con tutta probabilità nei prati della Val Trebbia, nel fiume Brugneto, sbarrato dalla diga che crea il lago più vasto della Liguria a 777 metri di altezza. L’acqua dell’invaso per prima cosa alimenta una piccola centrale idroelettrica che produce energia pulita. Dopo questo passaggio attraversa delle vasche dette di sedimentazione, dove le impurità tipo sassi e sabbia si depositano sul fondo, e a questo punto l’acqua è pronta per la partenza verso la città. Percorre circa 14 chilometri in una sorta di galleria, con una derivazione può anche alimentare, in particolari periodi dell’anno, il lago di Val Noci, pure utilizzato per l’acquedotto genovese.
Attraverso i boschi dell’alta Val Bisagno, passando per La Presa di Bargagli, arriva infine nell’impianto di potabilizzazione di Prato, dove per mezzo di quattro vasche di decantazione si rimuovono le sostanze chimiche indesiderate e viene protetta dai microrganismi patogeni. Se l’acqua fosse stata raccolta dal Bisagno o dal Lavesa, un affluente (accade specialmente nei mesi invernali, quando le precipitazioni sono frequenti, in modo da conservare l’acqua dell’invaso per i periodi di siccità) sempre a Prato avrebbe trovato l’impianto “Civico” dedicato alla raccolta dal fiume. Infine, con il biossido di cloro o l’ipoclorito di sodio viene sterilizzata e si dirige verso l’ultima parte del viaggio, per raggiungere le nostre case.
Qui sgorga fresca e pura, secondo le analisi di Arpal e della Compagnia erogatrice; un po’ meno pura secondo Altroconsumo e Greenpeace, che hanno messo in risalto la rilevante percentuale di metalli pesanti, seppur compresa entro i limiti imposti dalla normativa. A questo punto ovviamente è difficile per l’utente finale discriminare l’acqua in base alla provenienza, e probabilmente non è poi così significativo: quello che conta è la ragionevole certezza che, pur in presenza di stagioni secche, la capacità di erogare acqua rimanga il più possibile immutata.
Bruna Taravello