Da un lato siamo di fronte ad una propaganda per nulla originale, secondo la quale qualsiasi forma di “progresso” sarebbe identificabile nell'attuale processo di integrazione europeo e ogni deviazione da questo piano prestabilito equivarrebbe a un inesorabile “regresso”. Dall'altro lato, tuttavia, il discorso di Hollande mette pubblicamente in rilievo l'importanza decisiva del tema della sovranità
Lo scorso 7 ottobre François Hollande è intervenuto al parlamento europeo in coppia con la cancelliera Angela Merkel. L’esibizione congiunta, che si richiamava simbolicamente all’incontro tra Kohl e Mitterrand di 26 anni prima, aveva lo scopo di rilanciare l’asse franco-tedesco quale motore dell’integrazione comunitaria. Stavolta però, nel tentativo di rinfocolare un europeismo continentale sempre più sfilacciato, il presidente francese si è spinto troppo oltre, arrivando al punto di esplicitare, al di là di ogni ragionevole dubbio, la natura sovversiva di questa unione.
Volendo porsi, infatti, lungo il solco del suo illustre predecessore, che aveva a suo tempo voluto lanciare un messaggio forte stabilendo un legame tra nazionalismo e guerra («le nationalisme, c’est la guerre»), l’attuale inquilino dell’Eliseo ha ritenuto indispensabile fondare il suo discorso su premesse altrettanto incisive, che ha creduto di individuare in una ben precisa dicotomia. «Esiste in ognuno dei nostri paesi», ha detto, «questo dibattito tra sovranisti e sovranità. Sovranismo in ogni paese, sovranità per l’Europa».
L’alternativa equivarrebbe, secondo Hollande, a una scelta di campo inconciliabile tra “rinuncia” o “rafforzamento”, tra “divisione” o “unione”. Chi sceglie il sovranismo sceglierebbe la fine dell’Europa, ossia «il ritorno alle frontiere nazionali, lo smantellamento delle politiche comunitarie, l’abbandono dell’euro». Di qui la necessità di ampliare il messaggio di Mitterrand: se ieri il nazionalismo portava la guerra, oggi il sovranismo conduce al declino («le souverainisme, c’est le déclinisme»).
Da un lato siamo di fronte ad una propaganda per nulla originale, tanto nei toni quanto nei contenuti, secondo la quale qualsiasi forma di “progresso” sarebbe identificabile nell’attuale processo di integrazione europeo e ogni deviazione da questo piano prestabilito equivarrebbe a un inesorabile “regresso”. Dall’altro lato, tuttavia, il discorso di Hollande segna un punto importante nel dibattito, perché mette pubblicamente in rilievo l’importanza decisiva del tema della sovranità.
Questo punto spinoso è stato per quanto possibile eluso nel dibattito pubblico, di modo che non emergesse l’innegabile contrasto tra Costituzione e processo di integrazione. Occorreva supporre, in altri termini, che le famose “cessioni di sovranità”, che ancora oggi si pretende di indicare come la panacea di tutti i mali del continente, nella pratica dovessero assumere la forma di trattati internazionali, che si andassero a sommare a quelli già ratificati e che servissero a trasferire i poteri rimanenti da ciascun Stato nazionale al nuovo super-Stato federale.
Questo processo lungo e laborioso avrebbe consentito di evitare la questione della sovranità nazionale per come è definita dalle varie Costituzioni; le quali, in questo modo, non sarebbero state esplicitamente abolite, ma soltanto “superate” nella forma di accordi internazionali limitativi della sovranità. Una raffinatezza tecnica politicamente decisiva; poiché è evidente che un conto è perorare la causa di un banale trattato, un altro conto è convincere tutti i popoli a rinunciare alla propria Costituzione.
In realtà è già stato chiarito che l’attuale assetto continentale viola le “condizioni di parità” dei trattati internazionali previste tanto dalla Costituzione francese (art. 55), quanto da quella italiana (art. 11), dal momento che – per dirla in modo comprensibile – in Unione Europea ci sono da sempre figli e figliastri. Ora però, grazie all’argomentazione di Hollande, che punta decisamente al tema caldo della sovranità, si evince come le velleità degli europeisti non si limitino a contraddire qualche articolo, seppure fondamentale, ma addirittura mirino senza mascheramenti a usurpare la funzione stessa della nostra carta costituzionale.
Questo intento, infatti, non si può nascondere dietro l’artificiosa distinzione tra sovranismo e sovranità, dato che i due termini non sono affatto opposti. Possiamo legittimamente parlare di “sovranismo”, se vogliamo riferirci a quegli orientamenti che puntano all’autonomia politica di una comunità; ma non possiamo negare che anch’esso abbia di mira la sovranità stessa.
L’unica distinzione che si dovrebbe fare, dunque, è quella tra sovranisti e federalisti: i primi vorrebbero mantenere le attuali sovranità nazionali, se non addirittura frazionarle in entità più piccole (come è nelle idee di molti movimenti, dalla Sardegna alla Scozia); i secondi punterebbero a superare i vecchi Stati per dar vita ad un unico grande Stato sovrano. Ma è del tutto evidente che, fatte salve le diverse proporzioni, stiamo parlando della stessa cosa.
Che l’unità politica sia grande o piccola, quello che davvero importa è che siano tracciati dei confini e che si stabilisca al loro interno chi comanda e in base a quali leggi. Fatta questa operazione si è costituito un potere politico e si è risposto al problema della sovranità nazionale. Inutile dunque pretendere, come vorrebbe Hollande, di nobilitare l’aspirazione europeista, concedendole l’esercizio monopolistico della questione della sovranità, da cui sarebbero invece estromesse le miopi rivendicazioni nazionaliste. La realtà è che l’Unione Europea, dal momento in cui palesa ambizioni di sovranità, si pone come Stato a tutti gli effetti. Non solo. Non c’è alcun motivo, a ben vedere, per cui non si debba ricorrere anche alla qualifica di “nazione”.
Stato, sovranità nazionale, nazione e nazionalismo: tutti questi termini si possono usare per riferirsi tanto ad uno Stato francese con capitale Parigi quanto ad uno Stato europeo con capitale Bruxelles; o persino ad uno Stato catalano con capitale Barcellona. Le dimensioni non contano: altrimenti non potremmo chiamare “Stato” lo Stato del Vaticano. L’unica cosa che conta è come si definisce il potere supremo; ossia un potere ultimo, che non riconosce altro potere sopra di sé.
L’Unione Europea, nelle parole di Hollande, si mette in aperto contrasto con chi vuole rivendicare la sovranità degli odierni Stati nazionali, dimostrando così di essere in concorrenza per il potere ultimo. Le sue logiche sono dunque sovversive rispetto alla Costituzione italiana, e identiche a quelle di qualsiasi altro Stato geloso delle proprie prerogative.
Questa conclusione, tra l’altro, svela quanto sia assurda la pretesa che l’Europa possa essere la cura ai nazionalismi; dato che, se anche riuscisse a trascendere gli Stati al proprio interno, rimarrebbe pur sempre uno Stato di fronte al resto del mondo. Uno Stato anche molto popoloso, ricco e forte: che quindi potenzialmente costituisce una minaccia per gli altri colossi mondiali.
Andrea Giannini