Uno dei volti più noti della città è il soggetto del quarto ritratto di Veronica Onofri: Giovanni Giaccone, giornalista e testimone di una Genova affascinante quanto decadente
Giornalista e scrittore, Giovanni Giaccone è un volto noto ai genovesi: per lungo tempo infatti ha lavorato nella redazione dell’emittente televisiva genovese più conosciuta, quella di Primocanale. Genova è sempre stata protagonista e ispiratrice dei suoi articoli e dei suoi libri.
Giovanni è un galantuomo, ironico e amante delle cose belle. Il ritratto è stato scattato in un locale di piazza Lavagna davanti a buon bicchiere di rosso, mentre guarda la sua Genova fuori dalla finestra.
Quando eri un bambino quali erano i tuoi sogni “da grande”? E quanti ne hai conquistati cammin facendo?
«A parte i primi anni di vita, in cui ero indeciso se diventare Batman, un calciatore o un ranger del parco di Yellowstone, verso i 9 – 10 anni ho cominciato a focalizzare l’attività di giornalista e scrittore come quello che mi sarebbe piaciuto fare. Determinanti sono stati due film: “Tutti gli uomini del presidente” con Robert Redford e Dustin Hoffman e “Chiamami aquila” con John Belushi. Nel secondo, ho idealizzato l’immagine del giornalista che vive e lavora a proprio agio nella giungla urbana, un po’ sregolato e anarcoide. Non ho toccato le vette dei protagonisti dei film alla fin fine, ma diciamo che sono entrato in quel mood…».
Che cosa ami e cosa odi di Genova?
«Di Genova amo le atmosfere notturne, i vicoli della città vecchia, quel sapore di clandestino, losco e misterioso che si respira attraversandoli. Le canzoni di De André, la spianata di Castelletto e certi scorci del porto, come i rimorchiatori che rientrano tra le banchine, le navi in rada, le furiose ondate che s’infrangono sulla diga foranea. Odio la pigrizia mentale e l’immobilismo decadente delle sue classi dirigenti attuali, l’atteggiamento rinunciatario mascherato da prudenza e saggezza che caratterizza tante (non) decisioni. Genova rischia di soffrire molto per questo».
Se non vivessi a Genova dove saresti e a fare cosa?
«Non lo so esattamente. Se dovessi sognare, direi a fare lo scrittore in California, magari anche gestendo un locale dall’atmosfera Tiki. Oppure a scrivere per un piccolo giornale cittadino a New York, vivendo in un appartamento tra Soho e Chinatown come William Hurt nel film “Smoke”».
Esiste un luogo comune sulla “Superba” che ritieni falso?
«Genova è una città complessa e molto cerebrale. Sono più le cose che “si pensano” di Genova di quante essa, effettivamente, ne contenga. Il luogo comune principale è quello dell’avarizia, che non mi sento di smentire del tutto. Ci sono delle attenuanti però: i genovesi nella loro storia hanno sempre dovuto fare i conti con un ambiente non particolarmente ricco in termini di fauna e flora e morfologicamente accidentato, con il mare che era più tiranno che amico. La principale fonte di sostentamento dei “genuati” è stata fin da subito il commercio ed è chiaro che nel fare affari con il passare del tempo diventassero abilissimi così come, nello stesso tempo, attenti e parsimoniosi nelle spese. E’ certamente un tratto che ci viene riconosciuto nei secoli e di fronte a così tante e numerose testimonianze bisogna pur ammettere».
Tu sei uno scrittore. Genova ispira la tua creatività?
«Sì. Genova è una città ricca di storie, misteri e eventi. Non è mai stata una città raccontata mirabilmente da un autore capace di identificarsi con la città stessa, come un Joyce per Dublino, un Kafka per Praga, un Pessoa per Lisbona, per fare alcuni esempi. Genova è stata più raccontata attraverso i poeti (Caproni, Campana, Sbarbaro) oppure attraverso le canzoni (Paolo Conte e Fabrizio De André). Un grande autore inglese come Joseph Conrad ambientò un romanzo nella Genova dei primi dell’800, si intitola “Suspense” però non riuscì a terminarlo. Nessun italiano, tra 1800 e 1900, il secolo dei romanzi, provò a cimentarsi in una storia su Genova e di Genova. Credo che in qualche modo i travagli politici della Superba e un suo declino d’importanza politica e economica, (nonostante il ‘900 sia stato per buona parte ancora di buon livello) successivi al processo unitario nazionale, abbiano avuto la loro importanza. Molte storie di Genova sono state dimenticate assieme alla sua effettiva grandezza nel passato. Prossimamente uscirà un mio libro edito da De Ferrari dove racconto alcune storie incredibili di questa città. Negli anni scorsi ho scritto due romanzi ambientati a Genova: uno, “La sparizione del violino” che è il ricalco di una classica avventura di Sherlock Holmes ambientata tra i vicoli, l’altro, “Satan’s Circus” che è anche ambientato a New York e Napoli è una storia molto “noir” negli scenari del risorgimento italiano. Nulla a che vedere con gli autori citati sopra, ma ci ho provato».
Ultimamente ti sei dedicato alla storia dei Cocktails, come nasce questa passione? E dove vai quando vuoi bere bene in città?
«Genova come dicevo è una città molto cerebrale, si pensa e si parla tantissimo. Non essendoci una vera e propria piazza, come nella stragrande maggioranza delle città italiane, dove la gente si incontra e si dà appuntamento, la meta preferita dei genovesi per vedersi e parlare è il bar, all’ora del cocktail, tra le 18 e le 20. Essendo io un gran chiacchierone ho fatto ben presto mia questa abitudine e mi sono incuriosito, negli anni, alla storia dei drink che bevevo. Nulla di ordinato e scientifico, solo sporadiche letture, fino a quando mi è stato chiesto di scrivere articoli sulla storia dei cocktail più importanti e così, quasi per gioco, ho cominciato a interessarmene con più rigore. Alla fine, per farla breve, ne sono usciti due libri “Cocktailsofia” e “L’arte di bere d’estate” che stanno andando alla grande. A Genova vado a bere nel centro storico, dove si preparano degli ottimi drink e circolano bartender di tutto rispetto. Anche nel centro cittadino, tra via XX settembre e il Quadrilatero, l’offerta di qualità non manca. Ottimi cocktail vengono serviti poi tra Pegli, Sampierdarena, Nervi sino ad arrivare a Camogli e Portofino… Insomma, abbiamo un po’ di problemi, ma possiamo dire di poterci consolare con degli ottimi drink».
Se una persona per te molto importante venisse a trovarti per la prima volta a Genova dove la porteresti? (un luogo, un ristorante, un percorso)
«Sicuramente verso sera in spianata Castelletto, perché Genova vista da lì è da brividi. Poi farei un giro in sopraelevata e in corso Italia in auto perché così si possono godere incredibili panorami. Poi andrei a Boccadasse dove vale la pena farsi un gelato o bere qualcosa seduti in riva al mare. Più tardi, porterei il mio ospite a mangiare e quindi a bere un rum in qualche fumoso locale della città vecchia, dove s’incontrano personaggi unici e la musica dal vivo non manca mai… Alla fine, una passeggiata nei vicoli silenziosi e deserti di Genova è un must che tutti dovrebbero vivere almeno una volta nella vita».
Veronica Onofri