Salvare i naufraghi, fermare gli sbarchi, cercare forme di cooperazione con le autorità nordafricane, garantire diritto di asilo ai rifugiati e perseguire gli scafisti: questi principi sono accettati in modo trasversale rispetto agli schieramenti politici. Ciononostante i partiti e le persone continuano a dividersi in modo aspro: da dove vengono le ragioni di una tale immotivata conflittualità?
La piega presa dal dibattito sull’immigrazione è a tratti surreale. La discussione impazza sia su radio e TV, che sui social network; e pare aver fagocitato totalmente la politica, che invece continua a dare scarso peso tanto ai gravi segnali di disgregazione nell’UE (sempre più forti, indipendentemente da quello che sarà l’esito del negoziato di lunedì sui destini della Grecia) quanto ai venti da guerra fredda che soffiano lungo la frontiera ucraina. Eppure, se andiamo nel concreto, scopriamo che le differenze tra le diverse posizioni si assottigliano fino quasi a scomparire.
Tutte le maggiori forze politiche, e – mi verrebbe da dire – quasi tutta l’opinione pubblica, pur divergendo su dettagli anche significativi, sembrano concordi su molti punti generali. Salvare i naufraghi, fermare gli sbarchi, cercare forme di cooperazione con le autorità locali nordafricane, garantire diritto di asilo ai rifugiati (qui l’approfondimento di Era Superba sui profughi a Genova), perseguire gli scafisti: questi e altri principi sono accettati in modo trasversale rispetto agli schieramenti politici. Ciononostante i partiti e le persone continuano a dividersi in modo aspro e persino verbalmente violento; tanto che viene da chiedersi da dove vengano le ragioni di una tale immotivata conflittualità.
Il fatto è che a un nucleo di idee comuni si arriva a partire da orientamenti pregiudizialmente diversi cui non si vuole rinunciare. Oltre ad un “centro” pragmatico ed indeciso, di cui è difficile valutare il peso reale, nell’opinione pubblica si fronteggiano due ali estreme: una destra xenofoba e una sinistra xenofila.
Questi orientamenti non si formano a posteriori, in seguito ad un’attenta analisi dei fatti, che – occorre dirlo senza qualunquismi – in fenomeni di così vasta portata non è obiettivamente alla portata di noi persone comuni (né è facilmente sintetizzabile a livello divulgativo). Tali orientamenti, piuttosto, dipendono da un pregiudizio istintivo, che, a livello più o meno conscio, sviluppiamo sin dalle prime riflessioni ed esperienze, e che poi è difficile scardinare.
Il dibattito pubblico ha raggiunto alti livelli di conflittualità perché si è chiaramente spostato dalle questioni pratiche legate alla gestione, alle questioni morali legate ai pregiudizi. In altri termini, anziché concentrarci sulle misure da adottare per superare l’emergenza e regolare al meglio i flussi migratori, passiamo il tempo a dibattere su chi siano i buoni e i cattivi, attaccandoci ai toni, ai termini e ai principi, o chiamando in causa dinamiche storiche che richiederebbero un contesto di analisi meno estemporaneo.
Questa involuzione non dipende solo dalla scarsa maturità della nostra opinione pubblica; ci sono anzi, a mio giudizio, almeno due motivi specifici che spiegano la tendenza: la convenienza politica di un dibattito divisivo e il diverso grado di accettabilità sociale dei due orientamenti contrapposti.
Per quello che riguarda il primo punto, è piuttosto evidente che i partiti non hanno niente da guadagnare nell’articolare una posizione comune. Non ha alcun incentivo la Lega Nord, che dando l’impressione di propugnare in esclusiva la necessità di una maggiore durezza verso i clandestini ha aumentato i suoi consensi; ma non ha alcun incentivo neppure una parte del Partito Democratico, che, se ammettesse apertamente di non apprezzare Salvini solo per via di certe esternazioni, e non per la sostanza, finirebbe per lasciare in mano alla sinistra interna e a SEL la bandiera di una posizione ideologica che frutta troppi voti. Anche il Movimento 5 Stelle e Forza Italia devono dimostrare di essere della partita: e dunque anch’essi puntano a criticare i rivali e a distinguersi come meglio possono.
In fondo se si toglie il tema immigrazione dal confronto politico, non rimangano molti altri argomenti su cui abbia senso dividersi. Ecco perché l’immigrazione è vitale: perché consente alla partitocrazia italiana di giustificare se stessa. E se pure è vero che il dibattito pubblico riesce ancora ad accendersi anche su altri temi più concreti, quali la scuola, le pensioni, le tasse o il lavoro; resta il fatto che questa dialettica ha un sapore del tutto diverso.
La secolare crisi ideologica dei partiti, infatti, ha privato questi ultimi di un’idea della società che costituisca un riferimento forte, costringendoli a rincorrere le mode del momento e condannandoli ad assumere posizioni ondivaghe e talvolta contraddittorie: da qui gran parte del dilagare dell’astensione. Il risultato è che al giorno d’oggi poche battaglie possono essere associate immediatamente all’idea che abbiamo di un partito: il PD ha tradito sul lavoro, la Lega ha accantonato il federalismo e Forza Italia sta cercando di andare oltre persino allo stesso Berlusconi. L’immigrazione appare dunque l’ultima occasione rimasta a queste forze politiche per dare l’impressione di avere un’anima, un ideale e un’identità; di non essere solo meri contenitori di ambizioni personali e interessi particolari.
Inoltre – e veniamo così al secondo punto – il confronto tra il pregiudizio xenofobo e quello xenofilo non è ad armi pari: perché la xenofobia, considerata come valore, non è socialmente tollerata. Ciò non significa che in una parte – purtroppo – sempre più ampia della società non facciano la loro indisturbata comparsa veri e propri rigurgiti razzisti. Tuttavia una posizione del genere può essere orgogliosamente rivendicata solo da qualche spavaldo intollerante in quanto privato cittadino: ma non è ammissibile per un personaggio pubblico, che potrebbe persino essere perseguitato penalmente.
Per questo motivo addirittura Casapound ufficialmente rinnega l’etichetta di xenofobia; mentre la preoccupazione opposta è del tutto assente dall’altra parte. A sinistra è motivo di vanto dichiararsi pregiudizialmente favorevoli all’immigrazione proprio perché, per i valori che dominano nella nostra società, una simile posizione, anche se preconcetta, non attira il biasimo di nessuno.
Abbiamo così un pregiudizio intollerabile (xenofobia), che per partecipare alla discussione pubblica è costretto a incanalarsi lungo il solco del pragmatismo, e un pregiudizio tollerabile (xenofilia), che invece è socialmente apprezzato e, dunque, non ha alcun incentivo a scendere a patti con la pratica. È così che chi esprimerebbe di principio la posizione moralmente più accettabile dà al dibattito, di fatto, una piega ideologica che lo rende politicamente irrisolvibile.
Andrea Giannini