Siamo andati sulle alture di Chiavari ad incontrare Daniele Parma, viticoltore per professione e soprattutto per passione. Tra i filari di vermentino, un viaggio fra i segreti di questo antico mestiere
Davanti ad uno scorcio perfetto, un angolo di Liguria con i muretti a secco, le vigne in leggera pendenza e la Basilica dei Fieschi che si staglia contro il cielo azzurro. Siamo a San Salvatore di Cogorno; l’aria della mattina è gelida e sferzante nonostante il sole, e le vigne sembrano riposare sotto lo sguardo benevolo della basilica.
Daniele Parma, viticoltore per professione e per passione, ci aspetta sulla strada: siamo in ritardo e saltando i convenevoli ci incamminiamo verso la vigna. Daniele ha la schiettezza e la ruvida timidezza tipica di tanti liguri e quando parla di vino la competenza, la dedizione e la passione emergono con una forza che è impossibile non notare. Camminando tra i filari di vermentino ci racconta la sua storia «Ho iniziato a lavorare nella distilleria di famiglia ma nel 2004 ho deciso di mettermi in proprio perché avevo capito che la vigna e il vino erano la mia strada. Nel 2007 ho iniziato a recuperare vigne abbandonate, lavorando sulle piante esistenti e, in alcuni casi, piantandone di nuove: questa – dice indicando con la mano i filari intorno a noi – è una di quelle vigne. Alcune di queste piante hanno quarant’anni»
Ed ecco i vigneti di Daniele Parma ai piedi della Basilica.Anche questa è #liguritudine #vitefuoriporta #EraOnTheRoad pic.twitter.com/VeRwuod350
— Era Superba (@EraSuperba) 29 Dicembre 2014
Oggi Daniele, con la sua azienda agricola, La Ricolla, può contare su quattro ettari di vigna per un produzione di circa 25.000 bottiglie. Oltre al vermentino che cresce nel vigneto di San Salvatore di Cogorno, Daniele produce una bianchetta da una vigna che si trova alla Prioria di Carasco e un rosso da uve sangiovese e ciliegiolo coltivate a Tolceto. Dalle sue parole emerge chiaramente l’amore del vignaiolo per il vermentino che «può toccare vette qualitative davvero importanti» ma ci piace la schiettezza con cui Daniele ci parla della bianchetta «è un vitigno del nostro territorio, un vino bianco fresco, da focaccia. Non facciamolo diventare quello che non è». Il sangiovese è una scelta che ci stupisce: «Quando ho deciso di mettere il sangiovese mi hanno dato tutti del matto. Non è un’uva di queste parti, è un vitigno nervoso, difficile ma io ne sono innamorato da sempre». Camminiamo tra i filari e Daniele ci mostra alcune foglioline verdi sulle piante «A dicembre questo non si è mai visto. E pensa che la prima brina l’abbiamo avuta solo in questi giorni. Si sentono tanti ragionamenti e tante teorie ma io guardo i fatti: sono 28 anni che lavoro in questo settore e in questo territorio e posso dire che il clima è davvero cambiato».
E qui scatta la fatidica domanda, la croce di tutti i viticoltori in questo anno così anomalo e piovoso “Come è andata la vendemmia?” «Sicuramente non è stata un’annata facile. Ma settembre è stato un buon mese e io ho scelto di correre dei rischi sfruttandolo appieno e vendemmiando tra gli ultimi giorni di settembre e i primi di ottobre. Ho rischiato tanto ma ho raccolto un prodotto di qualità». Ma com’è fare il viticoltore in Liguria? «Non è facile. Innanzitutto per la morfologia stessa del territorio: questa vigna è relativamente agevole, con una pendenza limitata ma, per esempio, la Prioria, dove ho la bianchetta, ha una pendenza importante e non è semplice da lavorare. E poi in Liguria non è facile perché a livello istituzionale manca spesso un sostegno e tra di noi non siamo in grado di fare sistema cosa che invece altrove sono stati in grado di fare. Comunque va detto che qui a Levante, per l’iniziativa dei singoli, la viticoltura negli ultimi anni sta crescendo e c’è un bel fermento». Daniele vende la maggior parte delle sue bottiglie tra Recco e Moneglia e da un paio d’anni, grazie ad un piccolo importatore, spedisce a New York circa il 10% della sua produzione. Ma la sua vocazione non è certo commerciale e ad un certo punto della nostra chiacchierata ci regala una frase che racchiude il senso del suo essere viticoltore «Il vino si fa in vigna. E’ lì che passo tanto tempo. Intervengo il meno possibile, osservo. Fare il vignaiolo significa saper leggere tra le righe».
Uscendo ecco la distilleria F.lli Parma lì accanto.L’ultima in #Liguria.Ma questa è un’altra storia… #EraOnTheRoad pic.twitter.com/YWQeXwxdnr — Era Superba (@EraSuperba) 29 Dicembre 2014
Queste parole ci accompagnano anche durante la visita alla cantina che è accanto alla distilleria F.lli Parma, l’ultima attiva in Liguria, oggi gestita dal fratello di Daniele. In cantina troviamo solo acciaio, niente legno. E anche qui Daniele lavora riducendo al minimo gli interventi sul vino: «Pulizia e attenzione sono i due ingredienti fondamentali per lavorare su un vino che sia il più naturale possibile». Ci soffermiamo sull’assaggio del Berette, il vino su cui in questi ultimi anni Daniele ha investito più energia. Le berette in genovese sono le bucce. Ed è proprio sulle bucce che questo vermentino in purezza fa una macerazione di 4 giorni che diventano 6 per quello di quest’anno che assaggiamo direttamente dalla vasca di acciaio «Erano anni che provavo a fare questo vino; i primi tre anni ho buttato via tutto. L’anno scorso finalmente ho ottenuto quello che volevo».
Al di là del fatto che il vino ha bisogno ancora di un po’ di tempo prima di arrivare all’imbottigliamento, si capisce al primo assaggio che il Berette di Daniele unisce alla freschezza del vermentino una ricchezza che al palato lo rende particolarmente avvolgente. È un vino bello e ambizioso che, nel solco della tradizione, ci racconta una storia di passione e dedizione. E da quello che vediamo nel bicchiere possiamo dire che il Berette crescerà ancora perché il tempo potrà solo giocare a suo favore.
Chiara Barbieri