Se il referendum greco è capace di generare tutti questi contrasti, il motivo sta nel fatto che in questa Europa la democrazia si è persa per strada. Non solo si è smarrito il senso della rappresentanza politica, frantumando l'equilibrio tra azione di governo, consenso e urne; ma si è dissolto anche il presupposto stesso della democrazia in quanto “governo del popolo” poiché non si sa più di quale popolo si stia parlando
Cosa realmente ci sia stato dietro ai tentativi di accordo e agli incomprensibili tentennamenti di questi ultimi giorni temo sia questione da lasciare in eredità agli storici del futuro. Cosa sia passato (e cosa passi ancora) per la testa dei vari Tsipras, Juncker, Varoufakis, Dijsselbloem e Merkel, quali e quante pressioni questi abbiano subito, quali e quanti interessi siano in ballo; quale sia, insomma, la verità, si saprà probabilmente tra diversi anni. Resta il fatto che in Grecia l’appuntamento di domenica con il referendum rimane: e se qualcuno ha davvero lavorato dietro le quinte per impedire che avesse luogo, allora non è riuscito nel suo intento.
L’unica possibilità, a questo punto, è che il Consiglio di Stato blocchi la consultazione per incostituzionalità, accogliendo così il ricorso presentato da due cittadini greci. Il rischio – a dire il vero – sarebbe anche serio, perché il ricorso pare più che fondato. Ciononostante è probabile che si trovi una scappatoia: in caso contrario, infatti, molti finirebbero per vedere, dietro alla sentenza, il preciso calcolo o una qualche forma di pressione da parte del governo greco; il quale, dopo aver sollevato tutto questo polverone solo per avere un’arma negoziale, cercherebbe in questo modo di sfuggire alle proprie responsabilità. Il sospetto peserebbe come un macigno sul prosieguo dei negoziati: ed è dunque ragionevole supporre che nessun giudice si voglia prendere questa responsabilità.
È probabile, allora, che il referendum si farà: e il merito, forse, è più della Merkel che di Tsipras. Quest’ultimo, infatti, dopo la coraggiosa mossa a sorpresa, è parso obbiettivamente deragliare, imbarcandosi in improbabili tentativi di accordo che oggi mettono in discussione persino il senso stesso della consultazione (dato che non è più chiaro nemmeno su quale memorandum esattamente il popolo greco sia chiamato ad esprimersi); mentre la cancelliera tedesca, al contrario, ha mantenuto diritta la posizione dell’Europa, mostrando una volta di più che la Germania non è solo il paese più forte, ma è anche l’unico in grado di imporre una posizione sufficientemente ferma ed autorevole in un continente allo sbando.
Renzi gigioneggia per mascherare la sua irrilevanza. Hollande appare scialbo e insignificante. Dijsselbloem è irritante, Tsipras è comprensibilmente spaventato e Juncker troppo occupato a godersi i piaceri della vita. In questo contesto l’unica che sembra davvero decisa a vedere le carte per chiudere la mano è Angela Merkel. Se questo è vero, allora, possiamo star certi che il referendum si farà; perché è interesse della Germania archiviare una volta per sempre la pratica greca.
Potrei spingermi addirittura ad ipotizzare che Berlino punti ad una vittoria dei no, in modo da avere una scusa per cacciare Atene fuori dall’euro, risolvendo così definitivamente quella che è solo una grana per gli equilibri interni della cancelleria. Senza la Grecia, in effetti, la Merkel smetterebbe di farsi logorare, in un colpo solo, tanto dai falchi del rigore, quanto dai socialdemocratici e della Linke. Ma queste sono solo speculazioni. Ad essere tremendamente reale, invece, è la crisi della democrazia.
Sembra che nessuno si renda conto, infatti, che se il referendum greco è capace di generare tutti questi contrasti e di attirare tutte queste critiche, il motivo sta nel fatto che in questa Europa la democrazia si è persa per strada. Non solo si è completamente smarrito il senso della rappresentanza politica, mandando in pezzi il normale equilibrio tra l’azione di governo, il consenso che la supporta e il ricorso alle urne; ma si è dissolto anche il presupposto stesso della democrazia in quanto, letteralmente, “governo del popolo” poiché non si sa più di quale popolo si stia parlando.
Se i greci possono esprimersi a proposito di un dato programma di aiuti, dall’altra parte, allora, anche gli italiani e i tedeschi devono avere un analogo diritto ad essere interpellati: la democrazia non è il diritto solo di un popolo. Tuttavia, se le due consultazioni avessero esito opposto, che cosa si dovrebbe fare? È ovvio che non si può mettere una democrazia contro l’altra; per cui, a rigore, l’unico voto davvero valido sarebbe quello che chiamasse ad esprimersi tutti i popoli europei insieme. Ma è evidente che è del tutto assurdo chiedere ad un finlandese o ad un portoghese se le condizioni a cui deve sottostare un greco siano giuste o meno, perché – banalmente – non ne sa nulla, né ha interesse a saperlo.
L’errore sta nel fatto che, in questa fase, le forme della democrazia nazionale sopravvivono all’interno di un livello comunitario che le svuota di senso, ma che pure è incapace di superarle, perché non si può dire in faccia ai Parlamenti nazionali e ai popoli, a partire da quello tedesco, che si devono adattare a farsi comandare dal resto dell’Europa. In queste condizioni, perciò, la consultazione voluta da Tsipras non può essere considerata una forma superiore di democrazia: piuttosto è una roulette russa. E tutto quello che possiamo fare è sperare di non beccarci la pallottola.
Rimane una verità, tanto banale quanto inoppugnabile: l’Europa Unita non esiste. È un ideale che ci piace fintanto che resta tale, fintanto che rimane confinato nel rassicurante iperuranio dei puri principi. E forse è l’ora di ammettere che, se i risultati pratici sono sempre così deludenti, ci deve essere qualcosa che non va anche nella teoria.
Andrea Giannini