È il solito disastro umanitario perpetrato con la scusa delle ragioni umanitarie. Dall'Afghanistan all'Iraq sino alla Libia di Gheddafi, un film triste, già visto. La nuova puntata è stata presentata dal presidente Obama nel suo intervento all'ONU sulla delicata situazione siriana
È incredibile che l’opinione pubblica, nel terzo millennio, sia ancora convinta che le guerre si facciano o si rimandino semplicemente sulla base di questioni di principio. Eppure siamo obbligati a ritenere che sia questo il pensiero dominante: altrimenti non si spiegherebbe come potrebbe il Presidente degli Stati Uniti d’America rivolgersi alla platea delle Nazioni Unite sposando nel suo discorso un’impostazione tanto semplicistica.
Barack Obama, infatti, è intervenuto all’ONU lo scorso 28 settembre nel corso di un incontro teso a costruire un dialogo con Russia e Iran sul problema della Siria. In quell’occasione ha specificato che «quando un dittatore massacra decine di migliaia persone del suo stesso popolo, questo non è soltanto un problema interno di una sola nazione, ma produce sofferenza umana a un tale un’ordine di grandezza che colpisce tutti». Per questo motivo, secondo l’inquilino della Casa Bianca, non esistono alternative: «Il realismo ci impone, tra le altre cose, una transizione controllata senza Assad che porti ad un nuovo leader, e un governo inclusivo che riconosca che ci deve essere una fine a questo caos, di modo che il popolo siriano possa iniziare a ricostruire».
Dovremmo credere, pertanto, che gli americani non vogliono mantenere al potere, come chiedono i russi, l’attuale presidente siriano, Bashar al-Assad, solo perché questa soluzione metterebbe a repentaglio l’unica cosa che preme davvero allo zio Sam: la libertà della Siria. Una sceneggiatura che non reggerebbe nemmeno nei film di Hollywood o nei cartoni animati giapponesi.
Per la verità, benché la cosa potrebbe far sorridere (se non ci fosse da piangere), c’è in effetti una certa somiglianza tra la missione di cui si sente investito Obama e la trama delle molte saghe di One Piece, il popolare manga di Eiichiro Oda; dove il protagonista, Monkey D. Luffy, altresì detto Rubber “Cappello di Paglia”, usa la sua forza per sconfiggere i pirati più terribili e malvagi, che avevano soggiogato intere isole infliggendo lutti e sofferenze ad interi popoli. È commovente che anche Barack “Cappello di Paglia” sia animato dal desiderio di liberare i siriani dal perfido Assad: ma che questa ricostruzione sia attendibile, francamente, è da escludere.
Prima di tutto occorrerebbe verificare una premessa: ossia che il popolo siriano desideri davvero liberarsi di Assad. È un punto, questo che, se viene raccontato nei film e nei cartoni animati, si può ovviamente assumere senza tanti pensieri; ma che nella realtà deve essere accertato, prima di essere preso per vero.
Ci sono state indubbiamente, a partire dal 2011, molte proteste contro il presidente siriano: ma ci sono state anche molte manifestazioni di sostegno. Come si può stabilire da che parte sta davvero la maggioranza del popolo? Lo strumento per avere una risposta ci sarebbe già: le elezioni. Ma le potenze occidentali sostengono che le ultime elezioni siano state una farsa organizzata dal governo, così come le manifestazioni a sostegno di Assad. Naturalmente Russia e Iran negano con forza questa interpretazione: per loro tanto le elezioni presidenziali quanto le manifestazioni di piazza a favore del governo sono state assolutamente libere e legittime; mentre le proteste sarebbero state organizzate e finanziate da potenze estere interessate a destabilizzare le Siria, secondo un copione già sperimentato. Chi ha ragione?
Bisogna ammettere che non esistono ragioni oggettive per sostenere l’una o l’altra tesi. Il “volere di un popolo” è un concetto quanto mai aleatorio, che solo per approssimazione si può ridurre al risultato di una votazione: di certo né proteste, né manifestazioni di piazza, né sondaggi di alcun tipo possono essere confusi con chiare manifestazioni della volontà popolare. Nei film o nei cartoni animati si può dire sbrigativamente, per lasciar spazio alle eroiche gesta del protagonista, che egli interpreta il desiderio della “gente” quando uccide quel “dittatore” o sgomina quei “terroristi”: ma la realtà è più complessa, e non possiamo permetterci di sussumere acriticamente il primo punto di vista che ci viene proposto.
Anche la scusa della crudeltà di Assad, che non avrebbe esitato a sparare contro il suo stesso popolo, non risulta particolarmente credibile. Siamo tutti d’accordo che non si può tollerare chi commette atrocità: ma siamo anche d’accordo – spero – che, se vale questo principio, non possiamo applicarlo in modo selettivo; non possiamo cioè punire alcuni carnefici e lasciarne liberi altri.
Invece Obama, che pure dal podio dell’ONU tuona contro i crimini commessi da Assad, non muove un sopracciglio per i crimini commessi dai Sauditi. Anzi, nonostante essi siano accusati di usare bombe a grappolo contro i civili nello Yemen, oltre che per condanne a morte indiscriminate, torture e discriminazioni di ogni tipo, il loro ambasciatore è finito a dirigere nientepopodimeno che il Consiglio dei diritti umani alle stesse Nazioni Unite; con che scusa non si sa bene.
Secondo il Fatto Quotidiano: “la coalizione a guida statunitense ha bisogno di portare dalla sua parte il maggior numero di attori protagonisti per risolvere il conflitto yemenita e, soprattutto, quello siriano”. Sembra cioè che la decisione di assumere un’intransigente posizione di principio con il presidente Assad in Siria giustifichi la necessità di adottare un cinico e disincantato realismo con il re Salman in Arabia: una scusa talmente rivoltante e sfacciata, che persino il più inguaribile americanista dovrebbe intravvedere il doppiopesismo della politica estera a stelle e strisce, per cui i peccati si rinfacciano ai nemici, ma non è educazione quando si è fra amici.
Infine non si può non sollevare la contraddizione di una politica estera che pretenderebbe di essere umanitaria, ma che finisce sempre per lasciarsi alle spalle più morti di quanti ne aveva trovati. Obama declina il realismo come fa comodo a lui; ma la realtà è che la guerra in Siria, che per il momento prosegue grazie anche ai ribelli addestrati dalla CIA, ha fatto molte più vittime di quante non ne avesse fatte Assad; senza contare la marea di profughi che hanno dovuto abbandonare le loro case.
È il solito disastro umanitario perpetrato con la scusa delle ragioni umanitarie. Dall’Afghanistan, martoriato nonostante il fatto che nessun talebano avesse nulla a che fare con l’11 settembre; all’Iraq, raso al suolo per trovare armi di distruzioni di massa che Saddam Hussein non aveva; alla Libia, dove regnava il “dittatore” Gheddafi: ogni volta che una campagna militare è stata pianificata dai vertici militari USA per abbattere gli integralismi e portare pace e democrazia, il risultato è stato l’opposto: migliaia di morti, guerre civili e integralismi ancora più spietati.
Tutto questo succede quando scambiamo una favoletta morale, raccontata a uso e consumo di opinioni pubbliche anestetizzate, per la realtà. Per questo motivo, nell’attesa di vedere se il presidente russo è davvero in grado di organizzare una strategia più coerente nel complesso scenario mediorientale, non si possono che sottoscrivere le dure parole di Vladimir Putin: «Vi rendete almeno conto, ora, di quello che avete fatto?».
Andrea Giannini