Le elezioni americane e la vittoria di Trump ci chiamano a riflettere sulla campagna elettorale che si sta per aprire a Genova e sui temi che dovrebbero essere centrali nel dibattito: l'agenda del prossimo sindaco sarà molto densa
Una delle cose peggiori che si sono lette dopo la vittoria di Donald Trump nella corsa alla Casa Bianca è il supposto problema che abbiamo scoperto minacciare la nostra democrazia: addirittura c’è chi ha parlato di 11 settembre democratico. Milioni di pixel sprecati, e rammarico per aver perso tempo a leggere baggianate. La democrazia è una scatola, e quindi sono i contenuti che vi riponiamo che determinano la qualità e la salute della gestione politica delle nostre comunità, grandi o piccole, potenti o discrete che siano. Non è certo questa la sede per approfondire certe questioni di scienza politica: lo spunto americano, però, ci lascia interessanti temi di riflessione sulla distanza tra apparato, media e persone. Tanto grande lo stupore del mondo alla vittoria del biondo miliardario, tanto evidente la scollatura tra le esigenze del popolo e le risposte fornite dalla politica, raccolte, filtrate, veicolate e supportate dai media mainstream. Per questo motivo, guardando le prossime elezioni amministrative che si svolgeranno a Genova, è necessario preoccuparsi della qualità e del livello dei contenuti della campagna elettorale che è alle porte.
La nostra città, da anni, sta attraversando una lunga fase di trasformazione sociale, economica e culturale; con la crisi e le vacche magre, la figura del sindaco è ancora più importante: la scelta di dove e come allocare le poche risorse disponibili risulta fondamentale e fa la qualità e lo spessore politico del primo cittadino di turno. Per questo motivo, la speranza è che nei mesi che ci separano dalle urne possano entrare nel dibattito argomentazioni di qualità, trovando spazio tra populismi d’accatto, perbenismi pantofolai, promesse da bicchiere e supercazzole varie.
Il mutamento da sempre è croce e delizia di Genova; troppo “nello stretto” per non auto-cannibalizzarsi e troppo affascinante per non piangerne. Oggi abbiamo cantieri ovunque, grandi e piccoli, belli e brutti, utili e disastrosi. Necessario sarà quindi riflettere sulle priorità vere di una città che cade a pezzi e sotto la continua minaccia del da-noi-generato, dissesto idrogeologico. Sul fare il Blueprint tutti sono d’accordo, ma è opportuno oggi avergli fatto fare il salto in classifica delle priorità non rimandabili della nostra città? In secondo luogo, il regalo di Renzo Piano, è veramente la soluzione migliore per una riqualificazione così ampia in quella parte così intima di Genova? Sarebbe da chiedersi onestamente quali siano le grandi opere necessarie: la crisi globale è un fatto, tangibile e reale “since-2008”, che sta rimodulando molti parametri economici: è veramente la mossa azzeccata investire montagne di soldi e sconvolgere interi territori per un’opera, come il Terzo Valico dei Giovi (che, da dopo l’inchiesta, si chiama Tunnel dei Giovi) profondamente legata a un’idea di sviluppo di decenni fa? Nel frattempo, i porti di Savona, La Spezia e Livorno sono cresciuti sia come infrastrutture, sia come volume di traffico, arrivando a creare una potenziale rete oltremodo sufficiente a gestire il traffico commerciale del nord tirreno; ha senso investire così tanto e in questo modo sul porto genovese, orgoglio a parte? Qualche idea migliore? Abbiamo visto che i dati di traffico sulle nostre autostrade sono costanti se non in diminuzione, ha senso investire nella Gronda di Ponente? Sono state pensate delle soluzioni meno impattanti e più chirurgiche che costruire nuove decine di chilometri tra viadotti e gallerie? Metti caso che il Tunnel dei Giovi venga completato, senza intoppi, allora il problema del traffico merci su gomma sarà risolto, vero? Allora, o una o l’altra, almeno. Il prossimo sindaco avrà il dovere di affrontare queste tematiche in maniera seria e onesta, utilizzando il proprio peso politico, dove non potrà arrivare con la competenza amministrativa, per ottenere lo sblocco delle Grandi Opere che veramente servono alla città, come, per esempio, la ristrutturazione delle centinaia di appartamenti di edilizia residenziale pubblica oggi in abbandono, giusto per fare un esempio immediato e che permette di affrontare un vero problema collettivo come l’emergenza abitativa.
Lo abbiamo visto in questi giorni: uno dei temi che sicuramente sarà centrale nella campagna elettorale che verrà, sarà la movida e il supposto “degrado” del centro storico. Una questione non semplice, che intreccia diverse esigenze, dal turismo al diritto alla salute degli abitanti, dal lavoro al semplice svago ricreativo della collettività. Quello che non serve, probabilmente, sono ordinanze dettate dall’onda emotiva di turno, ma un’idea su che tipo di città vogliamo essere, su che tipo di turismo vogliamo attrarre, su che tipo di destino pensare per il centro storico. Ma non solo. Ragionare sulla movida significa anche ragionare sulla qualità degli spazi della periferia e sulle alternative aggregative. La speranza è che il dibattito sul degrado non rimanga ai livelli stucchevoli e perbenisti a cui siamo abituati: il problema è l’urina sui muri o il fatto che non esistano bagni pubblici nei vicoli perché non ci sono i soldi per gestirli o perché abbasserebbero il valore di alcuni immobili? Il problema è l’immigrato che vive nei carruggi o chi gli affitta la casa in nero, assieme ad altri sette coinquilini? Poi, sarebbe opportuno riflettere su che tipo di centro storico vogliamo: il gioiello finto per i croceristi o il gioiello vero per i genovesi? Il sindaco può intervenire, guidando un dibattito e una serie di scelte che siano, oneste e per tutti, da chi cavalca il sistema economico, a chi ne è ai margini.
Mancanza di risorse, dicevamo. La tendenza nel gestire la cosa pubblica è quella di demandare al privato o al volontariato la responsabilità della manutenzione di spazi e beni collettivi. Probabilmente nulla di più che un “tapullo” che ha la sola conseguenza di rimandare il problema a chi verrà dopo, depotenziando il lavoro salariato, fino a renderlo solo un peso di gestione economica da bilancio. Forse sarebbe il caso, invece, di investire nel lavoro, ideando e pensando soluzioni che sappiamo traghettare il difficile e inevitabile tramonto della società industriale (e degli industriali) per evitare crisi “alla Taranto” prima che siano irrisolvibili: non sarebbe accettabile portare a ridurre il dibattito sulla dicotomia “salute o lavoro”. Ci siamo quasi, se guardiamo alle molte, e solite, grandi attività industriali del nostro territorio oggi alla canna del gas. Il primo cittadino di Genova dovrà avere “le palle politiche” per pensare, progettare e condividere eventuali sacrifici, in un’ottica che sappia tutelare tutti, senza lasciare indietro nessuno.
L’agenda del nuovo sindaco della Superba sarà oltre modo densa; la crisi genera mostri e intolleranze, di cui oggi abbiamo sintomi allarmanti, come il successo di populismi tendenti alla xenofobia e alla semplificazione di una realtà complessa. Bisognerà anche arginare recrudescenze nere, che in questo contesto trovano terreno fertile e sdoganamenti un tempo impensabili. La memoria deve essere lunga, come anche la prospettiva del futuribile, e bisognerà slegare le scelte strategiche dal ciclo elettorale, rendendole inclusive, collettive e oneste. Sarà un lavoro complicato, senza dubbio. Sono secoli che Dio benedice l’America e i risultati sono sotto gli occhi di tutti; a Genova ci accontenteremmo di molto meno; basterebbe un sindaco che fosse “politico”, di tutti e con gli attributi giusti al momento giusto.
Nicola Giordanella