Il blocco al centro e i vuoti a destra e a sinistra. I neo-democristiani capitanati da Renzi e Alfano si fanno carico dell'onere di governo cercando di mediare tra l'Europa, gli industriali e il mondo della finanza. Ora la sinistra può tornare a criticare tutto e tutti e la destra a cavalcare il malcontento popolare. Siamo punto e a capo
Ha ragione Massimo Cacciari. Nel futuro prossimo la politica italiana si dividerà in tre parti: una destra, una sinistra e in mezzo un bel centro. Si riproporrà, insomma, una ripartizione da prima repubblica, dove accanto ai comunisti, da una parte, e agli ex-fascisti, dall’altra, dominava un blocco (molto) cristiano-democratico e (un po’) socialista. Andrà invece definitivamente in soffitta il fantomatico “bipolarismo”, che rispettabili commentatori di ogni provenienza hanno indicato per vent’anni come l’agognato traguardo della nostra maturazione politica.
Le cose andranno a finire così perché tutto sommato fa comodo a tutti. Prendiamo ad esempio l’attuale premier. Renzi ha già mostrato più volte di non disdegnare lo scontro sia a destra che a sinistra; e soprattutto ha impresso una netta direzione politica al suo governo, lungo il solco tracciato da Monti e dalle “larghe intese”. La ragion d’essere dell’attuale coalizione di maggioranza, infatti, risiede in quella via politica data dalla “necessità del governare”, dalla “responsabilità”, dalle “scelte obbligate” e da “le-cose-da-fare-si-sanno-ci-vuole-solo-coraggio”. È la soluzione del governo come equilibrio tra i poteri che fu proprio della Democrazia Cristiana, e in cui finiscono sempre per confluire, un po’ per inerzia, un po’ per convenienza e un po’ per rassegnazione, i voti moderati di tutta la penisola.
Formalmente Renzi e Alfano fingono ancora di ricordarsi di avere una diversa storia e una diversa astrazione politica, alle quali, in teoria, aspirerebbero a ritornare una volta terminata questa difficile fase: in sostanza, però, le differenze sono minime, mentre è forte l’attitudine comune a porsi come la chiave di volta per la tenuta del paese. Dunque ha senso non guardare a questa unione come ad un accordo momentaneo tra “destra” e “sinistra”, ma come ad un vero e proprio blocco neo-democristiano, che si fa carico dell’onere di governo cercando di mediare, soprattutto, tra l’Europa, gli industriali e il mondo della finanza.
È ovvio che questa formazione, insieme con il declino di Berlusconi, ha liberato un grosso spazio a destra: ed era logico che non si dovesse attendere molto perché spuntasse un qualche politico abbastanza abile da occupare il campo. Matteo Salvini, però, non si vuole limitare a campare sul malcontento popolare, come sostengono i detrattori, ma punta decisamente a sfidare Renzi, essendosi convinto, dopo aver metabolizzato la lezione di Marine Le Pen, che, puntando al fronte moderato, anziché ai militanti storici, si possa trasformare il volgare populismo di oggi nella posizione maggioritaria di domani.
Questa speranza dovrebbe finire delusa. Come infatti Salvini riempe il vuoto creatosi a destra, si dà anche la possibilità che qualcuno riempa il vuoto a sinistra; o per lo meno che la coscienza smarrita di militanti SEL e delusi PD (Fassina, Cuperlo & Co.) ritrovi improvvisamente se stessa. Tutto sommato, da quelle parti, non serve un leader e non serve nemmeno particolare unità. Per risollevarsi basta semplicemente tornare a fare quello che si faceva prima.
Tre cose riuscivano bene alla sinistra di un tempo: criticare chi governa, criticare i “compagni che sbagliano” e criticare i fascisti. Ebbene, tutto questo, finalmente, si può fare. Si può attaccare Renzi, perché è troppo morbido con l’Europa; ma anche Salvini, perché è troppo duro. Si possono criticare gli ex-compagni di partito, perché si sono messi a fare gli interessi degli industriali; ma anche questa nuova destra, troppo razzista e troppo amica di Casa Pound. Tra non molto si potrà persino criticare l’euro, perché non è stato quello che avrebbe dovuto essere. Ma soprattutto si potrà smettere di ricercare una posizione politicamente sostenibile, per ritornare a concentrarsi su ciò che è rilevante esteticamente: ossia, dire la cosa giusta.
In fondo è questa la massima aspirazione degli orfani del PCI: fare i bravi ragazzi, dimostrarsi istruiti, far vedere in giro di saper muovere un po’ la materia cerebrale. Altro non conta, perché è scontato che tanto la gente non capisce, che in questo mondo marcio le cose belle non sono realizzabili. E allora contentiamoci di esserci lavati la coscienza, di aver fatto un bel gesto. È la politica come atto di purificazione interiore, come intima soddisfazione morale.
E poi, forse, almeno un effetto concreto lo si potrebbe ottenere: mandare in aria il piano diabolico di Salvini. Basta mettere a frutto il monopolio del politically correct tramite gli intellettuali organici (cioè quasi tutti), dipingendo il leader leghista come il lupo travestito da agnello, come colui che specula sui problemi del paese, accennando un po’ a Mussolini e un po’ alla Repubblica di Weimer, per spaventare gli elettori moderati e lasciarli ben comodi tra le braccia dell’attuale premier. Nell’insieme è un quadretto perfetto: Salvini è promosso ad antagonista, Renzi governa e la “sinistra critica”… critica. Tutti sono felici e contenti. Tutti, naturalmente, a parte due.
Berlusconi sta lasciando che il suo partito si sfasci: e la cosa un po’ gli da fastidio, perché l’istinto lo porta a voler primeggiare in tutto. Ma in fondo Forza Italia e il PDL erano solo un mezzo: l’obiettivo era non finire in galera, e finora è stato centrato. Per Grillo, invece, è tutto un altro discorso: ma sarebbe troppo lungo affrontarlo qui. Resta il fatto che entrambi non hanno capito in che modo la politica stesse cambiando, nonostante fosse del tutto palese (almeno per quel che mi riguarda). Si sono intestarditi sulle loro idee, e ora ne pagano il prezzo in termini di consensi.
Con questo si chiude la nostra analisi del quadro verso cui la politica italiana sembra davvero destinata ad avviarsi… se non fosse per un piccolo particolare: l’unico ad essere in anticipo sulla Storia è Matteo Salvini. E non lo dico io: lo certifica Wolfgang Münchau su Der Spiegel. Per cui, forse, conviene non scartare l’eventualità che l’opposizione riesca a scompaginare le carte, capitalizzando un clamoroso successo politico.
Andrea Giannini