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All'indomani delle elezioni è normale che tutti si concentrino a celebrare il vincitore. Ecco l'incontro con l'associazione Fratelli e Fratellastri, fanalino di coda alle elezioni del 6-7 maggio
Si dice che l’importante non è vincere, ma partecipare. All’indomani di una vittoria tuttavia tutti sono, logicamente, concentrati sul vincitore; e gli altri concorrenti vengono, subito e spesso, dimenticati. La competizione finisce ma la speranza è che le idee costruttive e alternative rimangano e continuino a generare dibattito e attenzione all’interno del panorama cittadino. Abbiamo incontrato alcuni esponenti di una nuova “creatura” politica sorta durante la campagna elettorale 2012, Fratelli&Fratellastri.
Abbiamo tracciato un bilancio di questa esperienza con Simohammed Kaabour e Lara Rios Duarte che ci raccontano retroscena e progetti.
Partiamo da un mero bilancio numerico: 650 voti, lo 0,2% delle preferenze…
«Premettiamo che i numeri non sono chiari nemmeno a noi: c’è chi ci ha detto 625, chi 650 o 670. In realtà il nostro obiettivo iniziale non era il raggiungimento di una certa soglia numerica e la quantità di voti non riveste per noi, al momento, una questione di vitale importanza. Il nostro movimento nasce come spazio per lanciare proposte alternative per la città di Genova e riportare l’attenzione dell’opinione genovese su determinate questioni. Ovviamente un nostro augurio è di far crescere questo movimento assicurandogli sempre più spazio a livello locale.»
Tra antipolitica e astensionismo, vi siete buttati in politica in un periodo che, eufemisticamente, si potrebbe definire sfavorevole…
«L’antipolitica è in realtà una delle motivazioni che ci hanno spinto a buttarci in questo progetto. Se la politica che c’è non va bene pensiamo sia necessario costruirne un’altra, piuttosto che pensare di fare tabula rasa. Dall’altra parte riteniamo sia finito il tempo della delega passiva: i cittadini devono partecipare, nei modi che ritengono più affini e vicini alle loro competenze e sensibilità. La cosa pubblica è da “usare” non solo quando è fonte di vantaggi economici per il cittadino ma dev’essere curata e controllata da tutti con costanza, sollecitando le istituzioni a compiere il loro dovere quando lo disattendono. Il distacco tra istituzioni e cittadini non è univoco ma è acuito anche da noi: disinteressandocene non miglioriamo la situazione…»
La lista, ad una prima occhiata superficiale, poteva essere percepita come una realtà rivolta esclusivamente e composta da cittadini di origine straniera, anche se in realtà accoglieva anche cittadini di origine italiana…
«La nostra lista in realtà è composta esclusivamente da cittadini italiani, dato che in Italia non è possibile candidare una persona priva di cittadinanza; questa osservazione ci è stata fatta molte volte da giornalisti che ignorano evidentemente le leggi del loro stesso stato! Poi è un dato di fatto che alcuni di noi hanno origini straniere e questo lo rivendichiamo con orgoglio, senza nasconderlo; non per questo però le tematiche esclusive che dobbiamo e vogliamo affrontare sono legate all’immigrazione e all’integrazione, come invece ci è stato spesso chiesto durante i dibattiti. I Fratelli&Fratellastri parlano di lavoro, di scuola, di sanità, di ambiente: di problemi comuni e di soluzioni da cercare per la città di Genova e per i giovani. Fratelli&Fratellastri raggruppa persone diverse per esperienze di vita, background culturale, religione, idee…il nostro comune denominatore non è un’immagine specifica ma un’idea di cambiamento per una generazione, la nostra, troppo schiacciata dalle altre e troppo stereotipata in categorie che ormai ci sembrano prive di senso, come destra e sinistra. Del resto le necessità di un giovane sono simili, al di là delle origini nazionali».
Quali sono le maggiori difficoltà e resistenze che avete incontrato?
«La prima fase “burocratica” è stata complicata, soprattutto per noi che eravamo totalmente digiuni da regole elettorali: anche il semplice reperimento delle informazioni necessarie all’iscrizione della lista non sono state semplice, le informazioni erano a volte contraddittorie, e temevamo di non riuscire a raccogliere abbastanza firme per vederci ammessi alla competizione elettorale. Quando ci siamo visti ammessi la gioia e la soddisfazione sono state enormi, dato che siamo riusciti nell’impresa senza mezzi e operando nel pieno della legalità, senza mai scendere a patti con diverse “proposte indecenti” che abbiamo incrociato lungo la strada. La disillusione dei nostri coetanei – la nostra lista, sebbene non l’abbiamo mai enfatizzato più di tanto, era composta per lo più da trentenni – nei confronti della politica è stato poi un altro ostacolo da superare; alla fine siamo riusciti a coinvolgere persone valide e dai profili più diversi e strutturare una lista che, per puro caso, era composta per lo più da donne. La nostra inesperienza certamente ha rallentato un po’ i tempi e anche le nostre limitate risorse economiche, tutte derivanti da autofinanziamento, non ci hanno permesso una propaganda a tappeto – sebbene a noi interessasse più veicolare un contenuto piuttosto che un’immagine. A livello di visibilità poi abbiamo constatato come non venisse garantito pari accesso a tutte le formazioni: i nostri spazi pubblicitari, sebbene sono stati occupati dai nostri manifesti più tardivamente rispetto ad altre liste, erano già stati “venduti” e usati per le affissioni di altre formazioni. Ci è toccato constatare che vale la legge del più forte, una sorta di far-west elettorale».
Qual è la cosa più importante che secondo voi manca a Genova e all’Italia per progredire sulla strada dei diritti civili?
«Serve una presa di coscienza del momento presente per poter andare avanti in modo migliore: siamo un Paese ancorato al passato in cui tutti dicono “si stava meglio quando si stava peggio”. Questo è un approccio anti costruttivo che sta distruggendo questo Paese. Si fa un’enorme fatica a pensare ad un’Italia diversa, frutto di una vera trasformazione: vivere il presente significa trovare soluzioni ai problemi del presente e permettere di dare la sicurezza alle persone che il loro valore aggiunto, personale o tecnico che sia, sarà valorizzato. La meritocrazia in questo senso è fondamentale».
Possiamo parlare di un primo esperimento elettorale destinato a crescere e maturare in città?
«Molti giornali hanno scritto che il progetto “degli immigrati” è stato sconfitto dalle urne ma questa affermazione è falsa. Abbiamo gettato un primo “sasso nello stagno”: continueremo e ci auguriamo più partecipazione perché si tradurrà in un risultato più grande, al di là della “poltrona” da conquistare o della remunerazione. La maggiore consapevolezza acquisita in questi mesi ci aiuterà nel futuro: l’importante è stato il viaggio che abbiamo percorso fin qui e vogliamo continuarlo».
Antonino Ferrara