In altri Paesi, dove la gestione è più direttamente in mano al pubblico, i costi per gli automobilisti sono inferiori. In Italia, inoltre, la concessione infinita ad Autostrade soffoca la concorrenza
Martina e Andrea, una giovane coppia di genovesi che da qualche anno vive a Lucerna, nella Svizzera tedesca, nei primi giorni del nuovo anno sono andati in posta per comprare la “vignetta”, un talloncino di riconoscimento colorato (quello per il 2020 è rosso) che chiunque viaggi sulle autostrade svizzere deve tenere esposto sul parabrezza. Costo complessivo 40 franchi svizzeri, equivalenti a circa 37 euro. «Con questa – raccontano a Era Superba – possiamo viaggiare su tutte le autostrade e qualche altro tipo di strada che la richiede, fino a gennaio del 2021». I 40 franchi pagati da Martina e Andrea sono andati nelle casse del governo centrale, che con i soldi incassati si occupa dei lavori di manutenzione. La gran parte delle infrastrutture autostradali svizzere è infatti di proprietà pubblica: federale, cantonale o comunale.
In un momento in cui il tema delle concessioni autostradali è in cima all’agenda politica nazionale e interessa in modo particolare Genova e la Liguria, può essere utile allargare lo sguardo e dare un’occhiata a come altri Paesi hanno deciso di gestire le proprie infrastrutture per il trasporto di persone e merci su gomma, con quale tipo di proprietà e con quali costi. Per scoprire che il modello italiano non è l’unico esistente. Anzi. Ma non è l’unico modello possibile.
La Svizzera non è l’unico Paese europeo a usare il sistema delle “vignette”, in vigore, per esempio, anche in Repubblica Ceca, Romania, Ungheria, Romania, Slovenia e Slovacchia. In Austria l’abbonamento annuale per circolare in autostrada costa 87 euro, e viene versato a una società completamente controllata dallo Stato, che mantiene di fatto un controllo pubblico dell’infrastruttura.
Si tratta di Paesi di dimensioni medio-piccole o con reti autostradali ancora non molto sviluppate, quindi con caratteristiche forse non paragonabili alla situazione italiana. Ma non vuol dire che Paesi più grandi debbano rinunciare alla gestione pubblica. L’esempio classico è la Germania, dove la gestione delle autostrade è federale e l’utilizzo completamente gratuito, anche se da qualche anno il governo centrale e quello della Baviera stanno considerando l’ipotesi di privatizzare, almeno parzialmente, la rete. Gratuite sono anche le autostrade in Belgio, nei Paesi Bassi e nel Regno Unito, dove si pagano solo alcuni tratti della M6 (la maggiore autostrada del Paese) e la “tassa sul traffico” per entrare in macchina nelle aree urbane di Londra e di Durham.
Ancora diversa è la situazione in Spagna, dove le autostrade sono gestite con un sistema di collaborazione tra pubblico e privato (e dove si paga il pedaggio solo sul 20% circa della rete) e in Portogallo, dove i prezzi si avvicinano a quelli italiani ma il sistema è completamente elettronico.
Italia e Francia: grandi concessioni, grandi introiti
Il Paese con il sistema più simile al nostro è la Francia, anche se la sua rete autostradale è lunga circa 12mila chilometri contro i quasi 7mila (dato dicembre 2017) della rete italiana. Come da noi, gli automobilisti che transitano in Francia pagano al casello, sulla base dei chilometri percorsi, con prezzi diversi a seconda della tratta percorsa. Con la Francia l’Italia si gioca anche il non invidiabile primato di Paese con le autostrade più care. Una puntata della rubrica di approfondimento Dataroom della giornalista Milena Gabanelli di giugno del 2018 attribuiva il primato all’Italia, ma altre analisi hanno evidenziato come il risultato cambi a seconda della tratta considerata. La ex conduttrice di Report, infatti, aveva preso a esempio per le autostrade italiane la tratta Bologna – Ventimiglia, che ha la sfortuna di includere il tratto Genova – Ventimiglia, allora il più caro dello stivale con i suoi 19 euro e 30 centesimi di costo di percorrenza, circa 12 centesimi a chilometro.
Forse non a caso è simile, in Italia e in Francia, anche il sistema delle concessioni, con gran parte della rete gestito da grandi gruppi privati. Solo che mentre in Italia il processo di privatizzazione a cavallo tra gli anni 90 e l’inizio del 2000 ha visto emergere il gruppo Autostrade Spa (oggi Autostrade per l’Italia del gruppo Atlantia, che con il gruppo Gavio si spartisce i ¾ circa del mercato) e la famiglia Benetton, in Francia, più o meno negli stessi anni, si è imposto il gruppo Vinci, una delle più grandi aziende di costruzioni mondiali, che oggi gestisce quasi la metà della rete complessiva.
In Italia, all’evidente concentrazione della maggior parte del mercato nelle mani di pochi, grandi gruppi, si aggiunge quello delle concessioni lunghe, che soffocano ulteriormente la concorrenza. Come abbiamo più volte raccontato su queste pagine la mancata applicazione della direttiva europea Bolkestein per quel che riguarda le concessioni di tratti di lungomare ai gestori degli stabilimenti balneari, allo stesso modo l’Italia si è storicamente dimostrata sorda ai richiami dell’Unione europea anche quando questa la invitava a mettere a gara le concessioni per le gestioni autostradali. Anzi. Ad aprile del 2018 l’allora governo Gentiloni chiedeva e otteneva dalla Commissione europea (dopo lunga trattativa avviata dal precedente governo Renzi) un’ulteriore proroga della concessione ad Autostrade per l’Italia, che spostava la data di scadenza dal 2038 al 2042. Il prolungamento veniva concesso ad alcune condizioni tra cui la promessa di un piano d’investimenti che includeva, tra le altre cose, anche la realizzazione della Gronda di Genova.
Questo, però, succedeva prima che il ponte Morandi crollasse, e prima del recente caos legato alla gestione delle infrastrutture autostradali, fatto da incidenti, crolli e indagini della magistratura su una rete che ogni giorno che passa sembra essere più fragile. Oggi, rispetto ad allora, la proposta di riportare in mani pubbliche la gestione della rete autostradale è al centro della discussione e, tra le principali forze politiche, è appoggiata soprattutto dal Movimento Cinque Stelle, attualmente primo gruppo in Parlamento e socio di maggioranza del governo attuale come di quello precedente. Decisamente contrario è invece Italia Viva, il nuovo partito di Matteo Renzi non altrettanto rappresentato ma decisivo per le sorti del governo giallo-rosso. Ma al di là di chi avrà la meglio tra i due schieramenti, i termini del dibattito, dopo il 14 agosto del 2018, sono cambiati completamente. Ma in Italia si sa, spesso tutto cambia, per poi non cambiare nulla.
Luca Lottero