add_action('wp_head', function(){echo '';}, 1);
La “libera stampa”, se fosse davvero tale, oggi dovrebbe parlare di tradimento nei confronti degli elettori, tanto di quelli che si erano espressi contro l'austerità nelle politiche 2013, quanto di quelli che avevano dato fiducia allo slancio rinnovatore di Renzi alle europee 2014 e a cui ora il governo sbatte in faccia la propria incompetenza dimostrando di averli presi in giro
Dire “se questo fosse un paese serio” è francamente troppo generico. Certo, aiuta se l’obiettivo è quello di far sentire in colpa gli italiani, di convincerli del fatto che sono “inadeguati” ai tempi moderni sia come popolo che come Stato. Se però quello che interessa è comprendere certe dinamiche politiche, allora parlare di “paese” significa prendere in esame un insieme disomogeneo e condannarsi ad un’analisi qualunquista. In questo caso per essere specifici bisognerebbe dire “se avessimo un’opinione pubblica seria”. Ecco: se avessimo un’opinione pubblica seria, e non un sistema mediatico controllato dall’attuale blocco di potere, qualcuno avrebbe già chiesto le dimissioni di Renzi e di Padoan.
Il problema non è il fatto di voler modificare l’articolo 1 della Costituzione in: “L’Italia è una Repubblica fondata sulle tutele crescenti“. Non è neppure quello di aver trasformato definitivamente il fu “partito dei lavoratori” nell’ennesimo “partito degli imprenditori”. Il problema è che non dovremmo tollerare i dilettanti. Se fare il premier o il ministro dell’economia significa poter dire la qualunque e non subirne le conseguenze politiche, allora eleggete me: vi assicuro che – benché ciò comporti doversi impegnare molto – anche io posso dirigere questo paese in modo altrettanto pressapochista ed estemporaneo.
Il fatto è che, mentre la Francia confessa platealmente «Nous refusons l’austerité», l’Italia, che pure vorrebbe ottenere un’analoga flessibilità, ufficialmente continua a dire che sia indispensabile preservare la “credibilità”. Non si capisce se si debba seguire questa strada perché vogliamo essere “poveri ma buoni” (cioè affermare filosoficamente la superiorità della morale sull’economia), oppure se il rispetto degli impegni possa portare anche qualche vantaggio concreto (perché finora non se ne sono visti). Comunque sia, è curioso che si debba necessariamente essere “credibili” con i partner europei, ma si possa essere del tutto inattendibili nei confronti degli elettori. Anzi, l’una giustifica l’altra: “Cari cittadini, avevamo in effetti preso degli impegni con voi: ma ora dobbiamo ammettere che erano parole al vento. Altrimenti dovremmo rimangiarci gli impegni presi con Bruxelles“.
Questa logica paradossale risponde esattamente a quello che ci ha spiegato l’altro giorno, come se fosse la cosa più banale del mondo, il titolare dell’economia. Nella nota di aggiornamento al Documento di Economia e Finanza 2014, infatti, il buon Padoan ha ammesso che il PIL a fine anno non registrerà il +0,8% che era stato stimato ad aprile (neppure 6 mesi fa), ma un saldo negativo pari al -0,3%: un avvitamento dell’economia che s’intravvedeva chiaro come il sole, ma che pure il governo negava, in perfetta continuità con la linea dei predecessori, sovrastimando l’impatto di alcune misure prese e sottovalutando la gravità di altri problemi ignorati. Ma questo ministro è andato anche oltre: ha voluto ammettere la verità.
Nelle stesse parole di Padoan, infatti: «alcune cause profonde della mancanza di crescita non sono state ancora ben comprese da tutti noi e siamo di fronte a problemi assai più profondi del semplice andamento ciclico». Insomma, chi guida la nostra economia fa tranquillamente professione di ignoranza: le cose vanno male, anzi malissimo, eppure il governo non ha la più pallida idea del perché. Ce ne sarebbe abbastanza per concludere che la ricetta economica è sbagliata: e bisognerebbe rivolgersi, pertanto, a quegli economisti (e sono tantissimi) che si ostinavano a negare la fantomatica “luce in fondo al tunnel” e chiedevano con forza un cambio di strategia.
Questo fallimento conclamato, inoltre, dovrebbe ripercuotersi sulle sorti dell’intero governo non solo perché Renzi ha chiaramente sposato l’isiprazione liberista; non solo perché questo stesso impianto è alla base di battaglie politicamente cruciali come quella per l’articolo 18; ma anche perché, quando a luglio il premier venne interrogato sui numeri dell’economia, si permise il lusso di deridere chi faceva il conto dei decimi di PIL: e questo è inaccettabile proprio mentre attraversiamo la peggiore crisi economica dalla seconda guerra mondiale.
Inoltre il conto di questi errori viene presentato direttamente ai cittadini, mentre non deve incrinare il rapporto con l’Europa. Infatti, nonostante i conti siano sbagliati, a differenza di quello che avviene in Francia, il vincolo del 3% rimane. Renzi a parole difende i cugini d’oltralpe contro l’atteggiamento censorio della Germania: ma fedele al motto “can che abbaia non morde” si guarda bene dal rimettere in discussione il rispetto degli impegni di bilancio. Padoan, dal canto suo, poggia le mani avanti e spiega subito che, se gli aggiustamenti non saranno sufficienti, si ricorrerà (indovinate un po’) ai soliti aumenti IVA. Dunque il governo non mostra alcuna remora a chiarire quale sia il suo principio ispiratore, anche se si tratta solo delle previsioni per gli anni a venire: se sarà necessario, si smentiranno le promesse e si aumenteranno le tasse; ma mai si derogherà a quanto chiede l’Europa.
La “libera stampa”, se fosse davvero tale, dovrebbe chiamare questa cosa col suo nome: ossia tradimento nei confronti degli elettori, tanto di quelli che si erano espressi contro l’austerità nelle politiche 2013, quanto di quelli che avevano dato fiducia allo slancio rinnovatore di Renzi alle europee 2014 e a cui ora il governo sbatte in faccia la propria incompetenza, dimostrando di averli presi in giro; e dimostrando anche, purtroppo, che avevo ragione io quando un anno fa, dopo le primarie del PD, scrivevo: “Renzi non ha alcuna visione alternativa rispetto a Letta o a Monti. La diagnosi è sempre la stessa, e purtroppo è drammaticamente sbagliata: ragion per cui la terapia non guarirà nessuno, anche se cambierà chi ce la somministra“.
Andrea Giannini