La centrale a carbone di Genova segue il percorso di graduale dismissione definitiva entro il 2017. «I due gruppi principali sono stati chiusi (uno nel 2012, e l'altro alla fine del 2013), adesso rimane solo un gruppo che funzionerà esclusivamente in caso di bisogno». Saranno 23 in tutta Italia le centrali dismesse
Il gruppo Enel a metà ottobre ha annunciato l’intenzione di dismettere una ventina di centrali termoelettriche alimentate a fonti fossili (in particolare a carbone) sul territorio nazionale. Nell’attuale contesto economico, dove convivono overcapacity, una domanda in calo che non si riprenderà, e la concorrenza delle fonti rinnovabili «Alcuni impianti termoelettrici non risultano più competitivi – ha spiegato l’a.d. Enel Francesco Starace in audizione alla Commissione Industria del Senato – Parte di essi possono avere un futuro nelle rinnovabili, oppure essere soggetti a reindustrializzazione, altri vanno riprogettati come spazi urbani. Per le circa 700 persone occupate negli impianti non abbiamo nessuna criticità occupazionale, se non qualche trasferimento qua e là, saranno riallocati in altre parti dell’azienda o andranno in pensione».
Si profila così all’orizzonte un netto cambio di passo, da parte di uno dei maggiori gruppi energetici del Paese, che sembra voler sfruttare a dovere il potenziale delle fonti pulite, finalmente riconosciute quali elementi tecnologicamente maturi, capaci di fornire un prezioso contributo per alimentare il sistema elettrico italiano, e nel contempo ridurre l’impatto ambientale dovuto alle emissioni inquinanti generate da strutture sovente vetuste o tecnicamente antiquate.
Attualmente in Italia le centrali a carbone sono 13, di cui 3 in Liguria: la Centrale Enel di Genova – ubicata proprio sotto alla Lanterna – che sarà completamente dismessa nel 2017; e la Centrale Enel di La Spezia, che invece gode di un’Autorizzazione integrata ambientale (Aia) fino al 2021. E poi c’è il caso a parte della Centrale Tirreno Power di Vado Ligure, sotto sequestro dal marzo scorso nell’ambito di un’inchiesta della Procura di Savona per disastro ambientale.
I sindacati di categoria (Cgil Filctem, Cisl Flaei , Uil Uiltec ) sono già sul piede di guerra e chiedono un tavolo dedicato al ministero dello Sviluppo economico «L’Enel è forte non solo perché distribuisce energia elettrica, ma perché la produce – ha affermato Emilio Miceli, segretario generale della Cgil Filctem – Il piano annunciato è pesante, sensazionalistico, privo di razionalità, e noi lo contrasteremo». Ma la vertenza non riguarda solo l’Enel, infatti, già da tempo le organizzazioni sindacali e Tirreno Power hanno iniziato a sottoscrivere accordi per ammortizzatori sociali nelle imprese del gruppo.
Rispetto alla dichiarazione dell’a.d. di Enel «Oggi non c’è alcuna nuova indicazione sulle centrali termoelettriche di Genova e La Spezia», spiega la Cgil Filctem. La centrale di La Spezia sta proseguendo l’attività secondo il rispettivo decreto di ambientalizzazione. La centrale a carbone di Genova, invece, segue il percorso di graduale dismissione definitiva entro il 2017. «I due gruppi principali sono stati chiusi (uno nel 2012, e l’altro alla fine del 2013), adesso rimane solo un gruppo che funzionerà esclusivamente in caso di bisogno».
L’assessore all’Ambiente del Comune di Genova, Valeria Garotta, ha recentemente confermato «Entro fine anno Enel chiuderà anche il terzo gruppo, ma lo terrà silente fino al 2017 per poterlo riattivare, su richiesta del gestore nazionale della rete elettrica, in caso di necessità».
L’impianto genovese, come spiegano dal sindacato «Era già sotto organico, quindi i lavoratori sono stati utilizzati per ricoprire i “buchi”, garantendo la funzionalità dell’unico gruppo rimasto in opera. Il passaggio più importante, però, avverrà nel 2017». Parliamo di 100 dipendenti diretti Enel e di circa 150-200 persone nell’indotto. Per salvaguardare l’occupazione nel capoluogo ligure «Attiveremo una serie di percorsi, sia con l’azienda sia con gli enti locali, ma gli eventuali accordi vanno stipulati a livello nazionale», chiosa la Cgil.
La centrale Enel di La Spezia – un gruppo a carbone e due a gas, 230 dipendenti diretti, più circa 150 persone nell’indotto – è autorizzata da un’Aia, molto vincolante nei termini dell’impatto ambientale, fino al 2021. «L‘Aia prevede un programma progressivo di rientro in determinati limiti e parametri – spiega Paolo Musetti, Cgil La Spezia – L’impianto va adeguato, secondo vari step, alle riduzioni stabilite dal decreto. Comunque, alla scadenza nel 2021, l’azienda ha già manifestato l’intenzione di chiedere un’ulteriore Aia».
Negli ultimi anni, secondo il sindacalista Musetti «A La Spezia si registra una maggiore politica di apertura, da parte dell’azienda, rispetto agli enti locali, e le associazioni di cittadini. Qui c’è un normale livello di conflittualità, si può dire fisiologico, nel rapporto tra la centrale Enel e la città. A Vado Ligure, invece, la situazione è evidentemente precipitata. Ma il problema della convivenza tra realtà produttive ed aree urbane non può mai essere risolto a discapito di uno o dell’altro soggetto coinvolto». Il ruolo del sindacato «È proprio quello di non far precipitare le cose. Lavoro e tutela della salute e dell’ambiente devono camminare insieme. Cercando di mitigare al massimo il danno. La Cgil è impegnata su questo fronte. Ogni azienda, laddove il suo insediamento genera un certo impatto, deve contribuire, insieme al resto della comunità, a sviluppare azioni per migliorare la qualità dell’ambiente. Ad esempio, nel caso di Enel, tramite l’elettrificazione delle banchine del porto. C’è già un accordo in tal senso, ma ancora non si è concretizzato (così come a Genova, nda). Insomma, c’è una serie di sinergie possibili da mettere in campo. A La Spezia qualcosa stiamo facendo. Esiste una convenzione tra Enel ed enti locali per cui l’azienda si impegna a sostenere la promozione di alcune indagini sulle ricadute sanitarie della propria produzione industriale, ad esempio l’Asl 5 condurrà uno studio epidiomeologico. Tutte iniziative che la stessa Enel contribuirà a finanziare».
Per quanto riguarda Vado Ligure, la drammatica situazione della centrale Tirreno Power è nota. «L’impianto di Vado è il più grande, e purtroppo anche quello più problematico», sottolineano i sindacati. Tra dipendenti diretti e delle ditte d’appalto sono circa 800 i lavoratori che potrebbero perdere il posto di lavoro. L’allarme per il rischio chiusura è stato lanciato dallo stesso direttore della centrale, i cui gruppi a carbone sono sotto sequestro dal marzo scorso. «Tirreno Power ha fatto di tutto, e continuerà a fare tutto il possibile per rimettere in funzione i gruppi a carbone, ma non possiamo fare l’impossibile – ha dichiarato alcuni giorni fa il direttore della centrale, Alessandro Gaglione – Le prescrizioni per l’Autorizzazione integrata ambientale (Aia) sono contraddittorie e in molti casi inapplicabili. Se non verranno modificate, nonostante l’impegno finanziario e tecnologico profuso, la centrale va verso la chiusura».
Anche per il sindacalista Innocente Civelli, Cgil Rsu di Vado «Il piano previsto dall’Aia in pratica è impossibile da rispettare. In alcuni casi, infatti, le tempistiche si sovrappongono, e quindi tecnicamente non danno all’azienda la possibilità di portare a termine i lavori. Di solito le autorizzazioni Aia prevedono almeno un paio di step per ottemperare all’adeguamento degli impianti, ma alla Tirreno di Vado non è stata concessa tale opportunità. Adesso stiamo aspettando il prossimo 18 novembre, quando in sede di Ministero dell’Ambiente si ridiscuterà l’Aia, e capiremo se alcuni parametri impossibili da rispettare saranno modificati. In caso contrario la centrale non ripartirà».
Per gli ambientalisti l’annunciata dismissione di una ventina di centrali Enel alimentate a fonti fossili – e la loro auspicabile riconversione – è ovviamente una buona notizia. «Finalmente si prende atto che il settore termoelettrico segna il passo – spiega Santo Grammatico, presidente di Legambiente Liguria – In Italia eravamo già in sovrapproduzione. Nel frattempo abbiamo avuto l’affermazione delle fonti rinnovabili, che per altro sono state rallentate da incentivi venuti meno. Comunque, in alcune fasi dell’anno, abbiamo già potuto constatare come la parte prodotta da fonti energetiche pulite sia stata prevalente rispetto a quella prodotta da fonti fossili. Inoltre, Enel dispone di impianti spesso vetusti, quindi è un bene che essi siano sostituiti e magari riconvertiti».
È questo il caso della centrale di Genova. «Enel ha rinunciato a chiedere una nuova Aia (Autorizzazione Integrata Ambientale) per produrre dopo il 2017 – continua Grammatico – Due gruppi sono già stati chiusi, mentre uno funzionerà solo in caso di necessità. Per ora non ci sono dati su eventuali riduzioni dell’inquinamento. Però c’è un dato oggettivo: ogni qual volta si spegne una simile unità da combustione, vedi ad esempio l’altoforno Ilva di Cornigliano, oppure la stessa Tirreno di Vado Ligure, si registra una contestuale discesa delle emissioni inquinanti».
Ma a Genova e Vado Ligure il pericolo è rappresentato dalla presenza di parchi carbone – i cosiddetti “carbonili” – scoperti, ovvero collocati in zone esterne e all’aria aperta, con tutte le conseguenze negative del caso. «I parchi carbone scoperti sono molto pericolosi – sottolinea Grammatico – Per questo motivo vengono periodicamente bagnati. I carbonili rimarranno una criticità fin quando la centrale di Genova non sarà definitivamente chiusa». Ma in passato non sono mancati i problemi, e nel 2013 la centrale genovese è finita nel mirino della Procura con l’apertura di un fascicolo per violazioni di tipo ambientale.
Per la centrale Tirreno Power di Vado Ligure, invece, si attende il prossimo 18 novembre, quando l’Autorizzazione integrata ambientale (Aia) sarà ridiscussa in sede ministeriale. «Oggi l’azienda dichiara di non riuscire a rispettare le prescrizioni, ed in pratica ha ammesso la sua incapacità a fare gli investimenti necessari – continua Grammatico – La Procura, però, è stata molto chiara: o saranno realizzati gli adeguamenti necessari, oppure la centrale non riaprirà i battenti. D’altronde, dal punto di vista medico-scientifico sono evidenti i danni prodotti nei decenni scorsi».
In prospettiva futura, secondo il presidente di Legambiente Liguria, è necessario ragionare sulla riconversione degli impianti e sulla riqualificazione dei lavoratori «Questi grandi colossi dell’energia, Enel, Tirreno Power, ecc., all’interno del loro business hanno sviluppato anche il segmento delle rinnovabili. Noi allora proponiamo di spegnere le centrali a carbone, ma nel contempo di riqualificare la manodopera, comunque dotata di conoscenze e capacità tecniche importanti che non vanno disperse. Per fare tutto ciò occorre una visione lungimirante, e la redazione di nuovi piani industriali. Adesso con Enel esiste la possibilità di imbastire un ragionamento in tal senso. Inoltre, le centrali dismesse sono spazi urbani da recuperare. Legambiente pensa che al loro posto debbano insediarsi delle attività ecosostenibili, che magari possano anche riassorbire i lavoratori precedentemente impiegati negli impianti dismessi».
Matteo Quadrone