Nella nostra regione, secondo Paita, il risultato è ascrivibile al comportamento di Pastorino, reo di aver diviso il partito per mera strategia politica e di aver consegnato così la regione alla destra. Un ragionamento che non convince
L’esito del voto alle regionali, checché se ne dica, non ha portato vere sorprese. Che la Lega Nord fosse salita nei consensi e che il M5S, tutto sommato, tenesse botta, sono entrambe tendenze che i sondaggi andavano registrando già da qualche tempo. Al contrario il ridimensionamento del PD e il colpo di coda di Forza Italia, soprattutto nella nostra regione, possono aver colto di sorpresa alcuni commentatori: ma a ben vedere si tratta di eventi tutt’altro che eccezionali. Era chiaro che l’opinione pubblica stesse sopravvalutando Renzi e sottostimando quello che resta del partito di Berlusconi.
Del premier si è parlato per un anno intero come di un re Mida della politica, capace al solo tocco di trasformare persino il Partito Democratico in un pezzo d’oro da 40,8 carati. Tuttavia una corretta interpretazione del voto avrebbe rivelato sin da subito che quello strabiliante successo era dovuto soprattutto alla liquefazione di Monti e del suo Scelta Civica (non a caso ribattezzato “sciolta civica”). In realtà nel complesso il fronte moderato non aveva guadagnato più di quanto avesse guadagnato il fronte anti-euro: entrambi erano cresciuti a scapito dell’indecisione di Grillo e Tsipras, dimostrando così la polarizzazione dell’elettorato attorno ai temi cruciali della continuità di governo e della responsabilità verso l’Europa.
Allo stesso modo, così come non è strano che alle elezioni europee conti molto il problema del rapporto tra politiche comunitarie e politiche nazionali, non è strano neppure che in Liguria, con lo strascico di qualche alluvione alla spalle, un politico vicino a Burlando venga penalizzato. Se a questo aggiungiamo un volto di primo piano dell’attuale centro-destra (Toti), lo slancio propulsivo della Lega Nord e le relative ricadute benefiche (quel curioso effetto per cui, magari, ci si vergogna a votare le camicie verdi, ma non i loro alleati “più presentabili”), ecco che si spiega come mai Forza Italia non è completamente sparito dalla Liguria, passando “solo” dal 13,89% delle europee al 12,66% dell’altro giorno.
Seceeondo Paita questo risultato è ascrivibile anche al comportamento di Pastorino, reo di aver diviso il partito per mera strategia politica e di aver consegnato così la regione alla destra. Tuttavia è un ragionamento che non convince. Innanzitutto non ci sono elementi per sostenere che tutti gli elettori di Pastorino sarebbero stati automaticamente elettori di Paita. È probabile, anzi, che chi ha scelto di non votare PD non avesse sin dall’inizio alcuna intenzione di farlo: e forse, senza un’alternativa a sinistra, la più parte si sarebbe rivolta all’astensione. Dall’altro lato, se anche l’accusa fosse vera, Renzi e il suo partito non farebbero altro che raccogliere quanto seminato.
Sin dagli esordi, infatti, il Presidente del Consiglio non ha avuto remore nel calpestare le minoranze interne pur di portare a termine gli obiettivi prefissati. È pur vero che questo comportamento veniva giustificato con l’esigenza, apparentemente nobile, di dare stabilità e governo al paese; cosa che Pastorino, a livello regionale, non ha dimostrato di tenere in grande considerazione: ma è anche vero che questa stessa governabilità si poteva benissimo ottenere mediando e facendo qualche concessione alle minoranze, senza il rischio di appaltare il problema alle destre; cosa che Renzi si è ben guardato dal fare. Ha applicato invece la forza brutale dei numeri, permettendosi persino il lusso di irridere i membri del suo partito che non riteneva degni d’attenzione (il celebre «Fassina chi?»). Se dunque Cofferati, Pastorino e Civati hanno davvero pensato soltanto a rompere le uova nel paniere del premier, non si può fargliene una colpa: per essere considerati, questo è l’unico linguaggio che Renzi ha dimostrato di intendere.
Andrea Giannini