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L'incontro con il musicista genovese, bassista del Tempio delle Clessidre e autore di strumentali per chitarra classica. Lo abbiamo incontrato a pochi giorni dall'esibizione alla Fiera Internazionale della Musica di Genova
Nel 2012 l’occasione che non ti aspetti. Scrivere due brani per chitarra classica da inserire in un progetto didattico per le scuole elementari: dopo quella esperienza Fabio Gremo decide che è arrivato il momento di tornare al vecchio amore, dopo anni come bassista nel mondo del rock e del prog e le tournée internazionali con la band genovese Il Tempio delle Clessidre.
Dopo oltre un anno ecco il disco “La mia voce“, il primo da solista, brani strumentali per chitarra classica, ognuno accompagnato da una fotografia e una descrizione testuale.
Passare da un ruolo di bassista in un gruppo già molto attivo a un progetto solista. È un po’ come rimettersi in gioco?
«Suonavo la chitarra classica già prima di entrare nel Tempio delle Clessidre (e in tutti gli altri progetti in cui ho suonato il basso, ad esempio i Daedalus), pertanto è stato più che altro un tornare al mio primo strumento. Sin dai tempi del conservatorio sognavo di realizzare un album tutto mio con la chitarra ed ho sempre tenuto viva questa idea, nonostante le vicende successive mi avessero allontanato da quell’ambito. Effettivamente posso dire di essermi messo in gioco sotto molti punti di vista… È stato un lavoro denso ed impegnativo, più volte ho temuto di non farcela e solo quando ho avuto il disco finito tra le mani ho potuto tirare un colossale sospiro di sollievo!».
Sei compositore, arrangiatore, orchestratore, autore di testi, nonché bassista; come cambia l’approccio a queste diverse attività e quale ti stimola maggiormente?
«Ogni settore ha le sue peculiarità ed il suo fascino, in ciascuno di essi riesco sempre a trovare qualche stimolo ed ispirazione. Sicuramente la differenza maggiore si pone tra le attività che posso svolgere da solo, per le quali sono libero di seguire il mio istinto fino in fondo, e quelle che necessitano della partecipazione di altre persone, con cui occorre necessariamente raggiungere un equilibrio. Vivo con molto trasporto il momento in cui un’idea melodica si affaccia alla mente dandomi la possibilità di costruirvi sopra un brano, si innesca qualcosa di magico… Lo stesso accade quando mi trovo da solo ad improvvisare sulla chitarra, ma d’altro canto è così trascinante ed intenso poter calcare il palco con un gruppo! La condivisione delle esperienze ha un sapore dolce».
Quali sono state le reazioni del pubblico al tuo ultimo lavoro?
«Il disco è stato accolto con entusiasmo da chi lo ha ascoltato, forse perché i pezzi che contiene sono molto melodici ed offrono spunti per viaggiare con la fantasia. Ho ottenuto alcune belle recensioni in Italia e all’estero. Purtroppo la diffusione non è ampia, ora come ora mi sto occupando personalmente della distribuzione, forse le cose migliorerebbero se avessi il supporto di una etichetta discografica».
Cosa significa secondo te essere un artista/musicista oggi? Cosa ti spaventa di più e cosa ti dà l’energia per andare avanti? È ancora possibile vivere di musica?
«L’attività di musicista oggi si inserisce in un panorama decisamente saturo: viviamo in un’epoca che ha già visto numerose rivoluzioni in ambito musicale, pertanto è assai difficile proporre qualcosa di veramente originale. Credo che la cosa più importante, tuttavia, sia riuscire a comunicare attraverso la musica, definendo un personale linguaggio che permetta di esprimere agli altri i propri sentimenti. Per quanto mi riguarda non c’è nulla di più entusiasmante del riconoscere in chi ascolta le stesse emozioni che mi hanno permesso di creare la musica che suono. Ciò non toglie che vivere di musica sia comunque un’impresa eroica: gestire in autonomia un lavoro complesso, con molteplici aspetti da tenere sotto controllo, richiede parecchie risorse economiche, fisiche e mentali, perciò si può essere tentati a scendere a compromessi ad esempio suonando cover, sottostando ai dettami di una direzione artistica o ricoprendo il ruolo di turnista/orchestrale. È la ben nota diatriba tra il vivere di musica o della propria musica: il primo caso ha una valenza quasi impiegatizia, seppur rispettabilissima, il secondo permette a mio avviso una completa espressione artistica, ma è drammaticamente più arduo».
Con la band Il Tempio delle Clessidre hai girato molti palcoscenici mondiali, dalla Corea agli Stati Uniti. Come cambia l’approccio al mestiere del musicista, pensi ci sia più propensione all’ascolto rispetto al nostro paese?
«Per quel che ho potuto constatare, l’unica vera differenza rispetto all’Italia è nel modo in cui il musicista viene considerato: all’estero l’attività musicale è semplicemente trattata come un qualunque altro impiego, con la sua dignità ed il rispetto che merita. Non c’è alcun pregiudizio, né ci si sente in imbarazzo affermando di lavorare nel settore, qualunque sia l’interlocutore. In Oriente in particolare questa sensazione diviene quasi viscerale, per il profondo senso di devozione e riguardo che si respira. Per quanto concerne gli appassionati di musica c’è molta curiosità, ma non mi sento di recriminare su quanto accade nel nostro Paese; forse in altre nazioni è più diffusa la consuetudine di frequentare concerti con regolarità, ma devo ammettere che in ogni nostra esibizione abbiamo sempre riscontrato un calore ed una amicizia veramente forti da parte del nostro pubblico».
video a cura di Daniele Orlandi e Claudia Baghino