Finita la celebrazione di un'italianità che non esiste, il capoluogo ligure rimane "provincializzato" rispetto ai commercio mondiale. Ma potrebbe essere un vantaggio
Sabato scorso si è celebrato in pompa magna il battesimo della Seaview, la mega nave da crociera Msc, la più grande mai costruita in Italia. Genova è stata scelta come una delle basi di questo gigante dei mari, e ne ha fatto da cornice per il “debutto” in società. Nello stesso giorno è stato definito l’accordo per Calata Bettolo, il nuovo terminal container che sarà realizzato nella zona portuale di Sampierdarena.
In apparenza due buone notizie, ma alcuni dettagli rivelano come il tanto fumo nasconda il poco arrosto, e soprattutto una “visione” di lungo periodo del Porto di Genova forse non così tanto da “fuochi d’artificio”.
L’operazione Seaview è stata presentata come una questione di “orgoglio italiano” e, in subordine, “orgoglio genovese”. Ma nei numeri lo è solo a metà, e forse neanche. Con 800 milioni di investimenti, ha portato dieci milioni di ore/uomo di lavoro per Fincantieri, allo stabilimento di Monfalcone, Gorizia, diventata la capitale della cantieristica italiana. Va ricordato poi che Msc Crociere ha sede in Svizzera e le sue navi battono bandiera maltese, Seaview compresa. Inizialmente fondata a Napoli, infatti, nel 1988 acquisisce la Flotta Lauro e sposta la sua sede a Ginevra. Una scelta strategica che consente di sfruttare regimi fiscali più favorevoli. Il tricolore, inoltre, non sventola sulle navi Msc: dopo Panama, dal 2016 le nuove navi varate dalla compagnia battono bandiera di Malta, una delle 28 nazioni dichiarate bandiere di comodo dalla Federazione Internazionale dei Lavoratori del Trasporto. Anche in questo caso una scelta che rimane in linea con la volontà di accedere a registri navali agili e meno dispendiosi. Tutto lecito, senza dubbio, ma sicuramente poco “italiano”, tanto meno “genovese”.
ma l’impatto sull’economia cittadina, che senz’altro esiste, non è facilmente quantificabile. E, soprattutto, qualificabile
Foto di Paolo Zeggio
Visto che le entrate tributarie e i canoni demaniali del Porto di Genova sono gestiti da Autorità di Sistema Portuale del Mar Ligure Occidentale (94 milioni di ricavi tra Genova e Savona), i guadagni diretti per Genova e i genovesi di questa operazione dipenderanno da quanto i turisti spenderanno in città. Stando ai dati della AdSP sono circa 1,7 milioni le persone che ogni anno arrivano in città su una nave da crociera, ma l’impatto sull’economia cittadina, che senz’altro esiste, non è facilmente quantificabile. E, soprattutto, qualificabile: dove, come e perché spendono i propri soldi i turisti è materia di argomentazione politica, e in questo conto l’attrattività dei grandi poli di commercio “outlet” fuori città è un fattore non trascurabile.
Come dicevamo la giornata di festa è stata arricchita dall’accordo per Calata Bettolo, “preteso” dal governatore di Regione Liguria Giovanni Toti. Dopo 15 anni di trattative il Consorzio Calata Bettolo, il cui 65% è controllato da Msc, godrà di una concessione di 33 anni: il nuovo terminal, realizzato dal riempimento tra Ponte Rubattino e Calata Canzio, e che sarà operativo nel 2022, dovrebbe garantire 400 mila Teu in più all’anno, secondo il progetto pubblicato sul sito web di Regione Liguria. Inoltre sarà predisposto per “ospitare” navi lunghe fino a 330 metri con un pescaggio da 15 metri. Ma, c’è un “però”: il terminal sarà costruito con i più moderni sistemi di automazione portuale, con sempre meno necessità di forza lavoro “umana”.
Il lavoro per gli uomini si ridurrà inevitabilmente”. Più traffici, quindi, ma meno lavoro. Ergo, meno “soldi” per i genovesi che ci lavorano.
Un particolare da non sottovalutare e che fa il paio con quanto sta per “piovere” a ponente: Gilberto Danesi, amministratore delegato del terminal container Psa Voltri-Prà, lo scorso 24 gennaio durante un convegno dedicato ha dichiarato che anche lì si sta “puntando decisamente verso l’automazione dei piazzali, che è l’unico modo per aumentare la produttività e provare a competere davvero con i porti del Nord Europa“. Certo, ammette Danesi, l’automazione ha delle conseguenze: “Il lavoro per gli uomini si ridurrà inevitabilmente”. Più traffici, quindi, ma meno lavoro. Ergo, meno “soldi” per i genovesi che ci lavorano.
Un modello, quello dell’automazione, che nei porti d’Europa è già in fase attuativa da diversi anni. Questo “dettaglio” incrina per sempre l’assioma che lega lo sviluppo portuale del trasporto contenitori alla crescita del lavoro. Non è più così, e Genova rischia di “vincere” il ruolo del “casellante”, vedendo solamente passare merci e soldi. E “arrivederci”.
Questi dati dovrebbero entrare a pieno titolo nel dibattito pubblico e politico sullo sviluppo della portualità genovese, e sugli investimenti infrastrutturali in corso e programmati: quale sarà il guadagno reale per Genova e i genovesi di una rincorsa perenne ai grandi del Nord (per non parlare dei giganti dell’Est)?
Sempre che questa rincorsa sia realistica e giocata “ad armi pari”. La stessa Msc, che detiene il 49% di Messina Shipping, ha una posizione “ambigua” per il nostro porto: ad Anversa, il secondo porto più “grande” d’Europa per movimentazione container, la società svizzera movimenta 5 milioni di Teu all’anno (la metà di tutto il traffico di quel porto), e controlla terminal sparsi ovunque nel mondo, tra cui Gioia Tauro e Trieste, dove sta investendo in infrastrutture e collegamenti (anche per il mercato crocieristico). Tutti in concorrenza con il Porto di Genova, secondo la “narrazione” della classe dirigente nostrana. Perché Msc dovrebbe favorire Genova a scapito di altri? Domanda retorica: come normale che sia gestirà il tutto seguendo una propria convenienza di mercato. Non potrebbe essere diversamente.
Checché se ne dica, ancora una volta, la Superba subisce le scelte di altri, prese in altri posti.
Nel 2019 sarà operativo il nuovo terminal container di Vado Ligure, controllato dai cinesi, i quali stanno investendo da anni nell’alto adriatico, dopo aver “comprato” il Pireo, seguendo il mega progetto della Nuova via della Seta “One Belt, One Road”, che per Genova pare non prevedere un grande ruolo. Checché se ne dica, ancora una volta, la Superba subisce le scelte di altri, prese in altri posti.
Un piano B?
Genova su turismo e trasporto marittimo è in ritardo. Da anni. E da anni sta provando a inseguire modelli che altri stanno abbandonando, per quanto riguarda il turismo di massa, o che sono irraggiungibili, per quanto riguarda lo spietato mercato globale del trasporto merci. Ma forse questo potrebbe essere un punto di forza e di vantaggio per pensare ad un piano B che riscriva il futuro della città. Il rischio oggi è quello di salire su di un treno che va un pochino più veloce ma da nessuna parte.
Nicola Giordanella