Cambiare la mobilità di una città come Genova non è mai un'operazione neutrale. È in corso lo scontro (con risvolti anche politici) tra ciclisti e automobilisti. Si tratta di decidere a cosa si vuole dare spazio
Nei mesi del primo lockdown imposto per contenere l’epidemia di coronavirus, diverse città italiane ed europee si sono dotate di piani d’emergenza, spesso provvisori, per cercare di facilitare la mobilità dolce, cioè incentivare l’uso di biciclette e monopattini al posto di automobili e moto, con l’obiettivo di ridurre le emissioni inquinanti e di rendere più scorrevole il traffico. Ma se disegnare degli ipotetici percorsi di vernice in settimane in cui la mobilità era fortemente ridotta è stato abbastanza facile, non appena le persone hanno ripreso a circolare per lavorare o per vivere sono cominciati i problemi.
Gli automobilisti si sono ritrovati con le corsie ridotte e in molte delle città interessate da questo tipo di interventi hanno iniziato a protestare a voce sempre più alta, soprattutto per un presunto aumento del traffico e per un’eccessiva vicinanza con i ciclisti, che può generare situazioni di pericolo. In effetti le “corsie ciclabili” come quelle che attualmente sono state tracciate in Corso Italia a differenza delle “piste” vere e proprie non sono separate fisicamente da auto e moto e quindi sono percepite da molti come poco sicure, sia per chi rischia di investire sia per chi rischia di essere investito. Per questo sono state presentate come soluzioni provvisorie, in attesa di modifiche alla viabilità più strutturate e definitive.
A Genova, a quasi di un anno di distanza dalle prime corsie, al momento siamo ancora alle soluzioni provvisorie. «Mentre città come Milano o Parigi si sono mosse per creare dei nuovi sistemi di spazio pubblico, con piazze periferiche recuperate da parcheggi e collegate a ciclovie installate nelle corsie di vie ampie, Genova ha cercato un ‘quick fix’ creando tre percorsi per le bici frammentate e poco sicure – ci racconta Marco Picardi, animatore del blog Fuori Flora e osservatore delle questioni legate alla mobilità e all’uso degli spazi urbani – Questi interventi non hanno creato un vero sistema a scala cittadina e quindi non rendono la mobilità dolce più agevole. Non sono solo le ‘grandi metropoli’ ad aver pensato al loro spazio pubblico come un sistema da ripensare, città simili come Bordeaux o Valencia si sono mosse in questa direzione».
Nei giorni scorsi, per la verità, il Comune di Genova ha presentato i suoi piani per realizzare una pista ciclabile in Corso Italia (la zona dove le corsie degli scorsi mesi hanno generato più polemiche) entro il 2022, usando 3 milioni di fondi europei. «Siamo vicini alla progettazione definitiva – ha detto l’assessore alla mobilità Matteo Campora in un’intervista a Primocanale – restituirà da Levante verso il centro città una corsia, per cui a monte avremo di nuovo due corsie. La corsia che oggi è occupata lato mare dalla pista ciclabile in parte verrà trasformata in nuovi parcheggi, mentre dove ora ci sono i posti auto sorgerà la nuova ciclabile».
Quello che dopo un anno è ormai chiaro a tutti è che modificare la mobilità di una città complessa non è un’operazione semplice, né neutrale. Obiettivi a parole condivisi da quasi tutti come la sostenibilità ambientale o la qualità dell’aria non bastano, da soli, a far evaporare resistenze e disagi effettivi che queste soluzioni comportano, a scardinare anni di abitudini. E la lotta per lo spazio tra gli entusiasti di bici e monopattini e gli automobilisti per necessità o per abitudine sta diventando terreno di scontro anche politico.
A Bruxelles, per esempio, città che nell’ultimo anno ha adottato misure importanti a favore della mobilità dolce, la protesta degli automobilisti (cavalcata anche dal partito nazionalista fiammingo) ha generato un clima di tensione e fortemente intimidatorio, nei gruppi Facebook (dove si è arrivati alle minacce di morte) ma anche nella vita reale. A Milano, nella battaglia elettorale per le comunali di quest’anno, il centrodestra sostiene le proteste degli automobilisti contro i piani del sindaco Beppe Sala, che di recente ha aderito ai verdi europei e sarà il candidato del centrosinistra.
A Genova, la situazione è un po’ più sfumata. I partiti che altrove sostengono la causa dell’automobile qui sono quelli che tracciano le corsie ciclabili e che come coordinatore della mobilità urbana scelgono un noto sostenitore della bicicletta come il professor Enrico Musso. Ogni tanto qualcuno svia dalla linea ufficiale, come quando lo scorso dicembre la Lega ha fatto approvare dal Municipio della Bassa Valbisagno un ordine del giorno contro la realizzazione delle corsie ciclabili in Val Polcevera volute dal sindaco Bucci. Ma al momento, con le elezioni comunali del 2022 ancora lontane, nessuno sembra aver ancora ceduto alla tentazione di cercare di capitalizzare il malcontento degli automobilisti in consenso politico.
Lo scontro, anche aspro, si sposta sui gruppi e sulle pagine Facebook, come “#genovaciclabile” e il “Circolo Fiab Amici della bicicletta – Genova” o, dall’altra parte, il gruppo “No alle piste ciclabili a Genova d’intralcio alla mobilità ordinaria”. Al di là di qualche eccesso verbale, soprattutto nei commenti, lo scontro anche se aspro si mantiene nei limiti della civiltà. Fiab e il gruppo “No alle piste ciclabili” hanno avuto recentemente uno scambio di lettere aperte sui temi della sicurezza e del rispetto delle norme stradali dai toni piuttosto pacati (qui la lettera di “No alle ciclabili” in risposta a una richiesta di Fiab di maggior severità contro la sosta selvaggia delle auto, qui la replica di Fiab).
Rimane, sullo sfondo, l’eterna questione se Genova, con tutti i suoi saliscendi, sia una città adatta a un traffico cittadino prevalentemente su bicicletta. I critici dicono di no, ma i gruppi a favore si stanno sforzando molto per convincere quante più persone possibile che la bicicletta è in realtà un mezzo adatto anche per muoversi a Genova: «Anche se Genova sembra di essere tutta in salita, in realtà i 23 chilometri da Voltri fino a Nervi sono pianeggianti – ci dice Picardi – lo stesso vale per Valpolcevera e Val Bisagno. Come primo passo questi tratti dovrebbero essere collegati con una pista ciclabile continua che regali sicurezza dal traffico automobilistico e diventi un nuovo asse di mobilità dolce per la città».
La trasformazione non dovrebbe però fermarsi qui: «Destinazioni chiave che si trovano su questo asse, come supermercati, stazioni, o luoghi di lavoro, devono avere più parcheggi per le bici – spiega Picardi – e dovremmo cercare di riaprire ai pedoni piazze dormienti lungo questi percorsi. Collegare le piste frammentate lungo questo asse iniziale può diventare il punto di partenza per poi costruire delle nuove ciclovie in diversi quartieri».
Come ci hanno insegnato gli ultimi mesi, però, misure come queste non sarebbero a costo zero, ma comporterebbero una rinuncia di spazio da parte di chi è abituato a muoversi con le automobili: «Dobbiamo cercare di resistere alla nostra fobia a togliere spazio alle macchine – riflette infatti Picardi – solo a Genova la proposta del nuovo tram si trova nello ‘sky’ e non in una corsia esistente. Tantissimi studi confermano che il traffico automobilistico continuerà a crescere se gli si da’ spazio».
«La volontà di creare nuove infrastrutture non manca in città, ad esempio il progetto per una nuova diga foranea – conclude Picardi – però dovremmo chiederci se vogliamo che la città funzioni per i tir o per gli esseri umani. Esiste un’enorme passione per la bicicletta a Genova, e se non consideriamo la bici come un vero mezzo di mobilità per attraversare tutta la citta, rimarrà sempre confinata ad escursionisti di MTB o ciclismo competitivo».
Luca Lottero