Al di là delle belle intenzioni e degli ennesimi rinvii, il documento contiene due riferimenti di segno opposto: da una parte si insiste sulla linea cara alla Germania (la "famosa" soglia del 4,5% di surplus), mentre dall'altra si parla di “prevista flessibilità”. La questione principale rimane aperta
L’Europa è una montagna che continua a partorire topolini. Abbiamo atteso l’esito dell’incontro dell’Eurogruppo, che doveva essere decisivo per le sorti della Grecia, solo per ritrovarci tra le mani l’ennesimo nulla di fatto. Le aspettative erano tante. Avevamo detto che il potere negoziale di Tsipras è basso, perché il premier greco non ha il sostegno politico interno per minacciare l’uscita del suo paese dall’euro; purtuttavia la proclamata inflessibilità tedesca, smaniosa di non concedere alle “cicale” del sud neppure il gol della bandiera, poteva anche non lasciare ai greci altra scelta. La questione, dunque, era questa: i tedeschi avrebbero spinto tutto l’Eurogruppo a prendersi la responsabilità di cacciare fuori la Grecia, oppure Tsipras avrebbe ottenuto almeno qualche piccola concessione per non perdere la faccia di fronte al proprio elettorato e per tenere in piedi la baracca un altro po’?
Lo dichiarazione finale non ha sciolto il nodo. Al di là delle belle intenzioni e degli ennesimi rinvii (tra lunedì prossimo e il mese di aprile si dovrebbe ridiscutere il programma di riforme), il documento contiene due riferimenti di segno opposto: da un parte si insiste sulla linea di una precedente dichiarazione dell’Eurogruppo (quella del novembre 2012, che contiene la famosa soglia del 4,5% di surplus primario, cara alla Germania), mentre dall’altra si fa riferimento alla “prevista flessibilità” (che permetterebbe ai greci di richiedere qualche “sconto di pena”). Questa ambiguità lascia le due parti libere di perseguire le proprie rivendicazioni: e dunque la questione principale rimane aperta.
Eppure non tutto è esattamente come prima. I rinvii, da un lato, sono il marchio di fabbrica della politica di Bruxelles, perché permettono ai vari governi di tastare il polso del loro elettorato, conformemente al famoso “metodo Juncker”:
Prendiamo una decisione, poi la mettiamo sul tavolo e aspettiamo un po’ per vedere che succede. Se non provoca proteste né rivolte, perché la maggior parte della gente non capisce niente di cosa è stato deciso, andiamo avanti passo dopo passo fino al punto di non ritorno».
In quest’ottica l’ulteriore tempo guadagnato permetterebbe alla Merkel di capire come l’opinione pubblica tedesca reagirà all’idea che ai greci possa essere concessa un po’ di “flessibilità”.
Dall’altro lato, tuttavia, se pensiamo all’ostinazione fin qui dimostrata da parte del ministro delle finanze Wolfgang Schäuble, potremmo anche pensare che i rinvii non servano tanto a decidere cosa fare, ma come. In questo senso il famoso gioco del pollo e la game theory, di cui è esperto il ministro greco Yanis Varoufakis, non servirebbero a stabilire chi per primo cederà alle condizioni del rivale; ma chi si prenderà la responsabilità di dire che la Grecia deve uscire dall’euro.
Andrea Giannini