«La scelta del video è arrivata, nel tempo, in quanto per me fusione ideale di due mezzi espressivi in cui mi sono sempre mossa: la musica e il disegno»
Sino a domenica 15 aprile è possibile visitare in Sala Dogana, Palazzo Ducale, la mostra di Irene Pacini. Diplomata in pianoforte e con studi di composizione e musica elettronica alle spalle (sta inoltre per laurearsi in Musica e Nuove Tecnologie), Irene presenta tre video-installazioni dai titoli So Long Ago, Ventre, Swings, che ci portano in un viaggio attraverso il corpo e la creazione.
Raccontaci qualcosa di te: diplomata in pianoforte, sei giunta all’arte visiva. Come si è svolto questo percorso?
Mi sono diplomata in pianoforte, poi ho studiato composizione e infine, sempre nell’ambito del conservatorio, sono passata allo studio della musica elettronica, che mi ha fornito mezzi espressivi diversi rispetto a quelli della musica classica insegnandomi cose che mi sono poi state utilissime nella realizzazione delle opere.
In cosa consiste il lavoro che presenti? Ce lo puoi descrivere?
Sostanzialmente è un percorso, prima di tutto dal punto di vista temporale, dentro il corpo umano, condotto per mezzo di tre video, di cui due accompagnati dal suono. I filmati, che rappresentano inizialmente la pelle, conducono gradualmente a immagini viste attraverso un caleidoscopio, che io ho utilizzato per dare una mia visione poetica del corpo umano.
Cosa vuoi trasmettere agli altri? Cosa speri che sentano guardando le tue opere?
Chiaramente il mio lavoro ha un motivo conduttore, che poi è questa riflessione sul corpo, non concettuale ma emotiva, perché io parto sempre da elementi emotivi che desidero esprimere attraverso suoni e immagini. Credo che questo si senta, che arrivi alle persone. Detto questo, io credo – e ne ho avuto conferma parlando in questi giorni con i visitatori – che in queste installazioni ognuno veda qualcosa che già ha dentro di sé e che affiora, in qualche modo, guardando e ascoltando le mie opere.
Hai scelto il mezzo dell’installazione video. Perché? Trovi forse che, essendo il video un mezzo dinamico, l’opera risulti più coinvolgente, più adatta alla fruizione istantanea tipica dello spettatore odierno, poco incline alla contemplazione?
La scelta del video è arrivata, nel tempo, in quanto per me fusione ideale di due mezzi espressivi in cui mi sono sempre mossa: la musica e il disegno. La possibilità che dà il mezzo video di creare immagini e contemporaneamente accompagnarle con musica (che io stessa scrivo appositamente) è stata per me affascinante e mi ha permesso di dire cose che non riuscivo a esprimere con la semplice pittura. Per quanto riguarda la risposta alla tua domanda, in realtà ho notato che le persone che sono venute a vedere la mostra in questi giorni si sono soffermate a lungo – e non me l’aspettavo – su queste opere, guardandole e vivendole con attenzione. Questo mi ha colpito molto. Penso dipenda dal fatto che, come ho detto, non uso i concetti per creare, ma le emozioni, e forse proprio per questo le persone si sentono più coinvolte. Ho anche cercato di creare un’atmosfera accogliente, con le sale buie e le panche per sedersi, per agevolare la fruizione e l’immedesimazione di chi guarda.
Il tema della creazione, in tutte le sue accezioni, è praticamente un topos dell’arte. Come mai hai scelto di affrontare un percorso così battuto e nello stesso tempo così difficile proprio per la quantità di esempi con cui confrontarsi?
Non è stata una scelta fatta a priori, il tema si è sviluppato strada facendo, anche a causa del mio modo di lavorare: io ho delle idee, ma poi mi lascio molto ispirare e trasportare dal mondo esterno, da ciò che vedo, quasi sempre sperimento. Per come concepisco io la mia arte, tutto ciò che è fuori è già dentro di me, non c’è una cesura netta tra dentro e fuori. Il caleidoscopio, che io ho utilizzato nei video, non ha di per sé niente a che fare con il concetto di creazione, ma per come l’ho concepito ha assunto invece quel significato: nel liquido che contiene si muovono dei piccoli pallini rossi che io ho interpretato come globuli rossi.
Per quanto riguarda la parte tecnica invece, il lavoro di gestazione di queste opere è stato molto lungo: in due anni ho realizzato tutte le riprese video e la parte musicale, ma mi sono occupata personalmente anche del montaggio video e audio e delle riprese audio. Il secondo video per esempio, quello senza audio, è stato davvero difficile da girare, l’ho ripetuto più volte prima di ottenere quello che volevo. Molti guardandolo pensano che abbia utilizzato immagini virtuali, ma sono tutte immagini vere, reali, di oggetti fisici, realizzate da me e molto poco rielaborate. Lo stesso vale per i suoni, che sono stati messi insieme senza quasi ritoccarli; nel primo video sono tre voci femminili, nel terzo sono i suoni prodotti da corde di altalene, che assumono un timbro che ricorda la voce umana. Stavo cercando suoni che ricordassero il mondo dell’infanzia e casualmente mi sono imbattuta in queste altalene: ho sentito subito che era il suono che stavo cercando…
Claudia Baghino