La lettera-appello di un uomo di sinistra agli amici che un tempo si sarebbero chiamati "compagni". A tenerci uniti era solo una lunga serie di equivoci, ma forse ricordarci chi eravamo aiuta a capire dove vogliamo andare. Una domanda: quelli di sinistra che sono “rimasti a sinistra” cosa si aspettano dalla vita?
Cari amici di sinistra, una volta si sarebbe detto “compagni”: ma io sono troppo giovane per ricordarmi di quando si usava dire così. Mi ricordo però che una volta la parola “sinistra” si poteva ancora pronunciare.
Erano i mitici anni 2000. Avevamo appena assistito ai funerali di De Andrè e di lì a poco sarebbe mancato anche Giorgio Gaber: ma avevamo ancora Manu Chao, gli Ska-P e i concertoni del 1° maggio. Al cinema usciva «La Stanza del Figlio» e in televisione si rideva con Corrado Guzzanti e il suo «L’Ottavo Nano». In Parlamento c’era ancora Rifondazione Comunista; Nanni Moretti partecipava ai girotondi; Umberto Eco, Gae Aulenti ed Enzo Biagi (solo per citarne alcuni) fondavano Libertà e Giustizia. Insomma, il mondo della cultura – inteso in senso lato, senza giudizi di merito – era quasi tutto schierato.
Appartenere al “popolo della sinistra” voleva dire ancora qualcosa; anche se – dobbiamo ammetterlo – cosa fosse questo “qualcosa” nessuno sapeva dirlo con esattezza. Si sentivano di sinistra non solo i vecchi simpatizzanti del PCI, gli intellettuali, gli insegnanti e i soliti ragazzi dei centri sociali, ma anche gli studenti Erasmus, diversi cattolici e – pensate un po’ – si sentiva di sinistra anche qualche lavoratore! Tutto questo in nome di pochi principi; o forse solo della presunzione di monopolizzare l’esercizio dell’altruismo e della tolleranza. Per lo meno era chiaro chi fossero i nemici: l’inquinamento, una certa globalizzazione, Bush, le sue guerre imperialiste, il capitalismo iper-liberista, e soprattutto, in Italia, l’odiatissimo Silvio Berlusconi. Tutto questo contribuiva a formare il collante che teneva insieme un universo variopinto.
L’incantesimo ha cominciato a rompersi già molto prima che terminasse il decennio. I primi scricchiolii si avvertono con il secondo governo Prodi, poi con la scomparsa di Rifondazione dal Parlamento e infine con la nascita di un ibrido frankensteiniano chiamato “Partito Democratico” (come se ci fosse, dall’altra parte, un “partito anti-democratico”). Ma questi fallimenti politici intaccavano solo relativamente il mondo della sinistra. In fin dei conti quello che ci univa era proprio la predilezione per gli ultimi e i perdenti.
I guai veri sono cominciati, paradossalmente, con il declino del Cavaliere. L’arrivo di Monti ha reso evidente per molti di noi che la lotta a Berlusconi era solo una parte piccolissima del lavoro che andava fatto. Ma la disgregazione finale, quello che oggi davvero ci divide, non è né Berlusconi né Monti: è Beppe Grillo.
È il comico genovese il vero responsabile della diaspora del popolo della sinistra, perché è stato il primo in grado di conquistarsi una fetta consistente di delusi: e questa rottura ha creato due parti distinte, che col tempo hanno imparato ad odiarsi. Il risultato è che gli ex-appartenenti alla koiné di sinistra, quegli stessi a cui bastava una battuta su Berlusconi per intendersi subito, anche tra estranei, oggi si guardano in cagnesco e si scambiano insulti.
Nostalgia del passato? Per carità! Non ho ripercorso tutta questa storia perché spero che un giorno potremo tornare tutti insieme. Anzi, è stato meglio così: probabilmente a tenerci uniti era solo una serie di equivoci, più che una visione realmente comune. Ho ripercorso questa storia perché oggi siamo tutti ugualmente impegnati, anche se in modi diversi, nella ricerca di una identità perduta e di uno spazio di rappresentanza politica: e forse può avere ancora un senso ricordarsi chi eravamo per capire dove vogliamo andare.
Con gli sconvolgimenti imposti dalla difficile realtà politica ed economica, che qualcuno di noi abbia scelto di seguire Grillo e qualcun altro di rimanere dove era è una dinamica del tutto comprensibile. Capisco benissimo chi ha visto nel M5S la promessa di un cambiamento dal basso, dove il singolo può di nuovo partecipare direttamente; ma capisco anche chi, all’opposto, ha preso in antipatia le liturgie pentastellate e il rifiuto di vedere differenze tra un’ideologia di destra e una di sinistra. Capisco persino che si possa arrivare a vedersi come nemici. C’è solo una cosa che non capisco: quelli di sinistra che sono “rimasti a sinistra” cosa si aspettano dalla vita?
Lo si può criticare quanto si vuole, ma a Grillo va riconosciuto il merito di aver fatto almeno il minimo sindacale, ossia di aver indicato una diagnosi e una terapia. Sappiamo, cioè, che per il M5S i rappresentanti eletti sono stati lasciati liberi di farsi corrompere e di pensare all’arricchimento personale, per cui ora è necessario che rinuncino alla loro autonomia e si facciano guidare della rete. È un presupposto che criticai radicalmente già a novembre di due anni fa: ma il mio parere personale conta relativamente e al movimento resta una ragione d’essere, un’idea, un’aspettativa che, se fosse davvero sbagliata, si potrà ancora correggere in futuro. Dall’altra parte, invece, mi spiegate cosa c’è?
Dopo vent’anni pressapoco disastrosi – vent’anni in cui, lo ricordo, la sinistra ha governato e ha fatto opposizione; e dunque, evidentemente, a giudicare dai risultati, ha fatto male l’una e l’altra cosa – come si può oggi continuare senza uno straccio di autocritica, senza una spiegazione che renda conto del fallimento passato e che possa garantire che, per il futuro, non si ripeteranno gli stessi errori? Se le aspettative del M5S sono solo un’illusione, si può sapere almeno quali sarebbero le aspettative di PD e SEL? Quelli di voi che ancora votano da quella parte mi spiegano a quale speranza si affidano?
A meno che la speranza non sia Renzi… Ma mi rifiuto di credere che persone che erano in Italia vent’anni fa oggi non vedano che il progetto di riforma di Renzi ricalca addirittura la Bicamerale di D’Alema: cioè ha lo stesso identico obiettivo di rafforzamento dell’esecutivo, che è da sempre storicamente un obiettivo delle destre. Mi rifiuto di credere che quegli stessi che criticavano la globalizzazione e le multinazionali oggi si accontentino di uno che è diverso solo perché più giovane, più cool e con il pollice opponibile per twittare. Mi rifiuto di pensare che una qualunque persona che ancora vede un senso nella parola “sinistra” sia a proprio agio con il fatto che il leader del suo partito si sia fatto pagare le spese elettorali da finanzieri con idee iperliberiste. A sinistra è rimasto ancora qualcosa di sinistra, che non sia la vecchia abitudine di dare del fascista a chi ci critica?
Ecco, cari amici di sinistra che continuate a votare a sinistra: anziché distrarvi con Beppe Grillo e con le tante variazioni sul tema della reductio ad Hitlerum che piace a Repubblica, ditemi voi come conciliate quello che eravamo solo dieci anni fa con quello che siete adesso. Ditemi voi se esiste ancora un mondo a sinistra, e se il PD di Renzi o SEL di Vendola (lo stesso che sghignazzava al telefono con la dirigenza dell’ILVA) sono in grado di rappresentare quel mondo. E soprattutto ditemi come; perché fin qui di spiegazioni sensate non se ne vedono molte.
Io questo dibattito ho provato ad avviarlo: ma voi potete continuare a pensare di essere, come al solito, dalla parte della Storia e della ragione. Solo che, se fossi in voi, farei attenzione: perché se poi siete dalla parte sbagliata, e Grillo è quel bastian contrario che dite, col vostro esempio finirete per insegnarli a fare la cosa giusta.
Cordialmente.
Andrea Giannini