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Italicum, la nuova legge elettorale sotto la lente di ingrandimento: AAA dittatore cercasi

La Camera dei Deputati sarà saldamente in mano al partito vincitore: che esprimerà così, dunque, sia il governo e il premier, che il voto del Parlamento. Ad alcuni fini costituzionalisti è sfuggito questo lieve dettaglio: se esecutivo e legislativo sono in mano alle stesse persone, salta la divisione dei poteri


8 Maggio 2015Rubriche > "Polis" Critica Politica

elezioniDel nuovo sistema elettorale detto “italicum”, appena approvato e fresco della firma apposta dal Presidente Mattarella (che ha così sancito la definitiva sconfitta politica di quella minoranza PD che, paradossalmente, per la sua elezione si era tanto battuta), un paio di criticità non sono state rilevate – almeno per quanto io abbia potuto constatare. Non che non siano state avanzate obiezioni o che non siano stati intervistati costituzionalisti e altri studiosi decisamente contro questa legge elettorale. Tuttavia, in questo gran ballo di discussioni (sempre utile ad alzare polveroni che impediscono di distinguere bene cosa stia succedendo), mi pare siano rimasti sottotraccia alcuni elementi centrali.

Il primo problema è il meccanismo del doppio turno. Se nessuna lista prende almeno il 40% dei voti, infatti, è previsto un secondo turno di votazioni, un ballottaggio, tra le due forze che hanno ottenuto i risultati migliori. In entrambi i casi (che basti uno o che servano due turni) al vincitore va comunque il premio di maggioranza: 340 seggi, che costituiscono una maggioranza assoluta alla Camera dei Deputati.

Persino per alcuni critici questo sistema sarebbe indice di miglioramento rispetto al vecchio e incostituzionale porcellum, in quanto supererebbe una delle problematiche rilevate dalla Corte Costituzionale (la mancanza di una soglia precisa per il premio di maggioranza) e perché impedirebbe a una minoranza di diventare maggioranza. Entrambe queste argomentazioni, tuttavia, mi paiono errate. Al secondo turno, infatti, manca completamente alcuna soglia; mentre in un panorama politicamente frammentato, con un’offerta potenziale piuttosto vasta (data anche la soglia d’ingresso del 3%, che consente a molti piccoli partiti di poter aspirare ad entrare in Parlamento), il secondo turno si rivela una forzatura eccessiva, che rischia di produrre esiti assurdi.

A differenza di quanto avviene nel meccanismo elettorale francese (dove però il sistema di governo è presidenziale, cioè si elegge direttamente il Presidente della Repubblica), nell’italicum è espressamente “esclusa ogni forma di collegamento tra liste o di apparentamento tra i due turni di votazione”: cioè il ballottaggio si gioca esclusivamente tra i due partiti che hanno ottenuto più voti, senza poter ottenere endorsement da, o stabilire coalizioni con, le altre forze che sono rimaste fuori.

Facciamo un esempio concreto. Se fossero confermati gli ultimi sondaggi (prendiamo, tra le tante, le stime fatte da EMG Acqua per LA7) il PD, con il 34,8%, e il M5S, con il 23,1%, sarebbero i due partiti ad accedere al secondo turno di votazioni, dove in ballo è l’ambito premio di maggioranza. A questo punto chi aveva scelto altri partiti (Forza Italia, Lega Nord, SEL, centristi, comunisti, eccetera) avrebbe due opzioni: o non andare a votare, oppure scegliere uno dei due concorrenti rimasti come ripiego.

Nel primo caso potremmo assistere ad un’astensione record, nel secondo caso – soprattutto se il confronto elettorale sui media si facesse aspro – ad una chiamata alle armi contro il rivale che rischia di conquistare il potere. Formalmente, chiunque vincesse, l’elezione sarebbe perfettamente valida: tuttavia, da un punto di vista sostanziale, avremmo una forte delegittimazione del senso stesso della rappresentanza politica.

Un’alta astensione sarebbe fortemente compromettente. Ricordo che, per esempio, il 51% del 50% dei votanti corrisponderebbe al 25% dei voti: un po’ poco per parlare di grande legittimazione popolare. Allo stesso modo, anche nel caso di una buona affluenza, una campagna elettorale vinta dal M5S sfruttando l’astio contro i provvedimenti del governo Renzi, o, all’opposto, vinta dal PD sfruttando l’idea dell’inaffidabilità di Grillo e dell’inesperienza dei suoi, non sarebbe propriamente una netta investitura per il programma dei due schieramenti.

Non bisogna dimenticare che il vincitore, grazie anche al 60% di nominati, avrà a sua disposizione una schiera di fedelissimi pronti a votare a maggioranza assoluta qualsiasi cosa: e potrà farsi forza – c’è da scommetterci – anche di un risultato che formalmente, almeno al secondo turno, sarà di certo superiore al 50% (il 40,8% di Renzi sembrerà una cosa da dilettanti). Nella realtà, tuttavia, solo una parte molto minoritaria dell’elettorato avrà davvero votato un programma politico.

Il rischio sarebbe dunque quello di farci governare a maggioranza assoluta, con tutta probabilità per cinque anni interrotti, da un PD con solo il 34,8% dei voti, o da un M5S con solo addirittura il 23,1%. E potrebbe andare peggio. In linea teorica persino una Lega Nord con il 14,8% dei voti potrebbe andare al ballottaggio (e vincerlo). Un sistema assurdo, a fronte del quale dare il premio di maggioranza a chi raggiunge il 40% al primo turno sembra la cosa più sensata di tutte!

Il secondo punto è ancora più grave, benché sia molto più semplice. Nell’attesa di sapere come si comporrà il Senato, con la riforma costituzionale in discussione, nel frattempo sappiamo già che la Camera dei Deputati sarà saldamente in mano al partito vincitore: che esprimerà così, dunque, sia il governo e il premier, che il voto del Parlamento. Ad alcuni fini costituzionalisti è sfuggito questo lieve dettaglio: se esecutivo e legislativo sono in mano alle stesse persone, salta la divisione dei poteri.

Quali sono, infatti, le possibilità che il Parlamento si metta contro il premier? Realisticamente nessuna. Il candidato premier e gli altri capi del partito avranno imbottito le liste di loro fedelissimi: praticamente è lo stesso gruppo di potere che governa e si approva le leggi da solo.

Ricapitolando: manderemo al governo per cinque anni, come maggioranza assoluta pienamente legittima, con un esecutivo e un legislativo riuniti e quasi blindati, un partito che potrebbe aver preso anche solo il 25% dei voti. A questo punto manca solo il cartello: “AAA dittatore cercasi”.

 

Andrea Giannini


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