"Genova ha sempre un certo ritardo ad accogliere le novità... altrove il fenomeno delle mostre con grossi nomi basate più sull'immagine che sul contenuto si è già dimostrato diseducativo e antieconomico"
Il 6 dicembre 2011 il Museo del 900 di Milano ha compiuto il suo primo anno di vita. Abbiamo intervistato la direttrice Marina Pugliese, genovese, storica dell’arte e conservatore responsabile delle collezioni di arte del XX secolo per il Comune di Milano.
Lavorare a Milano è stata una scelta libera o obbligata?
Né libera né obbligata. Laureata a Genova ho vinto una borsa di studio dell’Accademia dei Lincei che comportava la presenza a Milano. Sono così diventata milanese adottiva e ne sono fiera. Resto però sempre legata a Genova per affetti familiari ed amicizie.
La situazione delle sedi espositive genovesi è bivalente: da un lato musei in crisi come il Museo dell’Accademia Ligustica, il polo museale nerviese (Luxoro-Gam-Wolfsoniana) o il Museo Navale di Pegli, che con poche migliaia di visite l’anno rischiano la chiusura, dall’altro esempi come Palazzo Ducale col successo di mostre come “Mediterraneo” o “Van Gogh e il viaggio di Gauguin” proprio adesso. Come interpreta questa situazione e una così diversa risposta di pubblico?
Genova ha sempre un certo ritardo ad accogliere le novità perché i genovesi sono conservatori di indole quindi voi state vivendo adesso il fenomeno delle mostre con grossi nomi basate più sull’immagine che sul contenuto, fenomeno che in altre città ha attecchito da anni per poi dimostrarsi diseducativo e comunque antieconomico. Non scorderei però il successo dei musei di Strada Nuova dovuto alla professionalità di studiosi come Piero Boccardo e Raffaella Besta.
In linea generale il pubblico non informato mostra di attribuire più autorevolezza e credibilità all’arte non contemporanea. Di solito si sente dire “le cose contemporanee non mi piacciono, non le capisco, mi sembrano stupidaggini” passando per l’immancabile “questo lo saprei fare anch’io” che delegittima totalmente il valore dell’opera e demolisce quella fiducia e quel rispetto che il fruitore porta invece all’opera d’arte più antica. Possibile che non si riesca a colmare questo vuoto comunicativo nel rapporto artista-opera-pubblico?
L’Italia ha rinunciato da anni ad investire sulla contemporaneità, in assoluto non solo nell’arte. La fuga dei cervelli è la fuga di chi vuole fare ricerca e portare innovazione e non lo può fare in un paese che non riconosce il valore dell’investimento sul futuro. L’arte contemporanea appartiene a questa sfera. Se i nostri musei arrivano solitamente all’arte del XIX secolo e i visitatori non hanno confidenza, come invece succede in Inghilterra, Francia e Germania, con l’arte delle avanguardie, come possono capire i fenomeni più recenti? Inoltre, non tutto ciò che viene proposto è interessante ma per operare delle distinzioni si devono avere strumenti che né la scuola né il sistema museale nazionale sono in grado di fornire in modo diffuso. Tutto questo nonostante l’inventiva italiana sia molto forte anche in questo ambito, basti pensare che il modello, oggi diffuso in tutto il mondo, della Biennale d’Arte è stato inventato a Venezia nel 1895.
A Genova Sala Dogana mette a disposizione gratuitamente spazi espositivi e strumentazione per incentivare progetti di giovani artisti e curatori. Quali altri iniziative porterebbe avanti per muovere l’arte se dipendesse da Lei?
Non conosco bene la situazione e non posso quindi dare suggerimenti puntuali. In assoluto però partirei da una scuola di eccellenza. Gli studenti hanno un potere trainante e dalla scuola potrebbe arrivare molta energia.
Claudia Baghino
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