Le postazioni per i rilevamenti sono 11 in tutta la città. Non ci sono risorse per monitoraggi ad hoc più frequenti ed è quindi difficile tenere sotto controllo da vicino ogni situazione critica o potenzialmente tale. Dopo le polemiche per la scuola di via Lodi in Val Bisagno, dalla Città Metropolitana dichiarano: «di quei dati siamo venuti a sapere anche noi tramite i media»
Qualche settimana fa la trasmissione “L’aria che tira” in onda su La7 (guarda il servizio) aveva lanciato un allarme che ben presto ha fatto il giro della città: la scuola a maggior rischio inquinamento d’Italia si troverebbe a Genova. L’edificio in questione è l’Istituto comprensivo Staglieno di via Lodi, che ogni giorno è frequentato da circa 600 alunni e che già più volte è balzato ai tristi onori della cronaca per le vicende che coinvolgono quest’angolo particolarmente trafficato della Val Bisagno, tra la rimessa Amt Guglielmetti, la sede della Ricupoil, il progetto di Coop Talea e i miasmi della Volpara.
Il tema è stato ripreso la scorsa settimana in Consiglio comunale da Claudio Villa (PD) che ha interrogato l’assessore all’Ambiente, Valeria Garotta, sulla veridicità dei fatti riportati dalla trasmissione. «Le centraline di corso Europa e corso Buenos Aires, che sono le più vicine all’area interessata e che misurano il livello degli inquinanti (ossido di azoto, monossido di carbonio, polveri sottoli e benzene) contenuti nell’aria si sono attestati all’interno dei limiti di legge. Qualche anno fa era stato fatto un rilevamento ad hoc di alcuni inquinanti in Val Bisagno ma anche questo aveva dato esito negativo. Conosco bene la difficile convivenza della zona con la rimessa Amt e altre attività industriali piuttosto invasive e, proprio per questo, stiamo pensando ad alcuni progetti a beneficio della scuola di via Lodi da finanziare con i prossimi Pon (Fondi strutturali europei, NdR) dedicati all’edilizia scolastica».
Ma com’è possibile che, se parliamo di Val Bisagno, il rilevatore della qualità dell’aria preso a riferimento sia quello di corso Buenos Aires? Possono davvero essere considerati attendibili questi dati che riguardano un elemento per sua natura così volubile?
«Se una trasmissione allarma un quartiere e una città – ha replicato il consigliere Villa – l’amministrazione deve essere in grado di rispondere tempestivamente all’emergenza monitorando la qualità dell’aria specificatamente nel punto critico, in tempi brevi e rendendo pubblici i dati. Perché se la situazione fosse davvero così critica, la scuola sarebbe da chiudere».
Lo spunto offerto dall’attualità risulta molto utile per provare a fare un po’ di chiarezza sul sistema di rilevamento e monitoraggio della qualità dell’aria che ogni giorno respiriamo e dell’inquinamento atmosferico cittadino. La legge attribuisce alla Regione la responsabilità di organizzare la rete di rilevamento dei dati inquinanti attraverso la predisposizione sul territorio di una serie di postazioni fisse in grado di monitorare la qualità dell’aria su aree ampie. Queste aree vengono selezionate a seconda della particolare rilevanza e omogeneità di caratteristiche relative al traffico, al fondo urbano e a presenze industriali significative. La rete di rilevamento della qualità dell’aria, dunque, non si occupa di norma di problemi specifici e puntuali legati a una particolare via cittadina: ecco perché, allora, per rispondere alla domanda sull’inquinamento di via Lodi l’assessore Garotta ha fatto riferimento ai dati raccolti dalla centralina di corso Buenos Aires. Il monitoraggio viene definito su una scala superiore e non è dedicato a problemi specifici.
La gestione delle stazioni collocate nel territorio genovese spetta alla direzione Ambiente, Ambiti Naturali e Trasporti dell’ex Provincia di Genova ora Città Metropolitana, che ogni giorno si occupa di rilevare i dati sulla qualità dell’aria e riferirli alla Regione che ha il compito di raccoglierli e renderli pubblici.
Attualmente la rete è in fase di ristrutturazione. Nel Comune di Genova le postazioni previste sono 11 (corso Buenos Aires, corso Europa – via S. Martino, corso Firenze, Multedo – via Ronchi, Multedo – villa Chiesa, Acquasola, Quarto, via Buozzi, Bolzaneto – via Pastorino, Sestri Ponente – via Puccini, Cornigliano – piazza Masnata) mentre altre 9 completano il quadro provinciale. Almeno un paio di stazioni, tuttavia, verranno dismesse perché ritenute non più significative dal Piano regionale di risanamento e tutela della qualità dell’aria e per i gas serra: secondo le informazioni in nostro possesso si tratterebbe dei rilevatori di piazza Masnata (Cornigliano), di cui già attualmente non risultano essere più pubblicati i dati quotidiani, e via Puccini (Sestri Ponente) mentre dovrebbe nascerne uno nuovo sulle alture di Pegli.
«Ogni postazione – ci spiegano i tecnici – ha una serie definita di parametri da misurare a seconda della collocazione. Ad esempio, ci sono quelle dedicate alle tipiche sostanze da traffico (benzene, PM10, PM2,5, monossido di carbonio), il biossido di azoto che viene monitorato ovunque, l’ozono a cui è dedicata una rete specifica di rilevamento distante dalle fonti di inquinamento primarie (a Genova è misurato a Quarto, all’Acquasola e in corso Firenze) e il biossido di zolfo, di particolare interesse nelle postazioni industriali così come il PM10 e il PM2,5».
Fin qui il quadro delle postazioni fisse, che vanno mantenute per ottemperare alla normativa e rispondere agli obblighi verso lo Stato e la Comunità europea. In aggiunta a ciò e compatibilmente con le quasi nulle risorse disponibili, la Città Metropolitana ha la possibilità di predisporre alcune campagne di monitoraggio ad hoc attraverso stazioni mobili utili per il rilevamento di dati nel dettaglio o per coprire vuoti lasciati dalla rete regionale qualora fosse necessario approfondire una situazione potenzialmente critica. «Ultimamente – raccontano i tecnici – abbiamo progettato una campagna dedicata a Pra’ e speriamo di poterla mettere in atto, mentre nel passato ne abbiamo realizzate a Borzoli, in una situazione molto delicata per il traffico e il continuo passaggio di Tir, e a Rapallo sulla litoranea di collegamento con Santa Margherita».
Perché non predisporre un monitoraggio speciale anche per la scuola di via Lodi o, comunque, più in generale, per la Val Bisagno? «Intanto – spiegano dalla direzione Ambiente della Città Metropolitana – ci vogliono le risorse: un tempo avevamo quattro postazioni mobili, ora al massimo potremmo garantire due campagne contemporanee. Naturalmente, se ci sono zone con obiettivi sensibili o magari tanti cantieri concentrati, cerchiamo di intervenire in maniera sistematica. Ma, ad esempio, dei dati di via Lodi siamo venuti a sapere anche noi tramite i media: nessuno ci ha chiesto nulla e le eventuali informazioni raccolte non sono arrivate dai rilevatori ufficiali che, invece, non hanno riscontrato alcuna anomalia seppure su una scala più ampia».
Quindi si tratta solo di congetture giornalistiche? «Non sappiamo come abbiano raccolto queste informazioni – proseguono i tecnici – potrebbe trattarsi di rilevamenti eseguiti “fai-da-te-“. Oltre alla rete pubblica regionale, infatti, esistono altri piani privati di monitoraggio della qualità dell’aria, ad esempio legati a grandi cantieri».
Oltre ai dati quotidiani, ogni anno la Regione effettua una valutazione dei livelli di concentrazione degli inquinanti e fornisce una relazione sulla qualità dell’aria. Come sta, dunque, l’aria di Genova? «Non stiamo malissimo rispetto alle altre Città Metropolitane con cui ci confrontiamo, come Torino e Milano che devono quotidianamente affrontare problemi di PM10 e PM2,5. I superamenti di questi due parametri del particolato a Genova sono limitati e sporadici e, comunque, i livelli annuali restano all’interno dei limiti di legge». Più critica, invece, la situazione che riguarda il biossido di azoto (NO2) e l’ozono (O3): «I limiti di qualità dell’aria per questi parametri vengono superati quasi sistematicamente – ammettono gli addetti della Città Metropolitana – ma è un problema che condividiamo non solo con tutta l’Italia ma anche con buona parte dell’Europa». La soluzione consisterebbe in una revisione del Piano regionale al fine di prevedere azioni specifiche di contenimento per questi elementi ma si tratta di azioni piuttosto complesse. «Stiamo parlando – ci spiegano i tecnici – di inquinanti secondari come, in parte, PM10 e PM2,5: ciò significa che sono il prodotto di complicati meccanismi di reazione e trasformazione di altri inquinanti primari. È un tipo di inquinamento che, con buona probabilità, troviamo qui ma che è stato prodotto altrove. Per questo è più difficile incidere su una sua limitazione: se, infatti, voglio agire sul benzene che è tipicamente un agente inquinante primario, basta che diminuisca il traffico, in questo caso invece non posso risalire a una causa unitaria». Insomma, almeno per il momento sembra ci si debba accontentare del mal comune, mezzo gaudio.
Simone D’Ambrosio