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I motivi che hanno determinato il fallimento di Letta li avevamo già ampiamente trattati in questa rubrica. Renzi eredita la stessa situazione e non pare abbia strategie diverse. La situazione economica è sfuggita di mano e come conseguenza diretta il sistema si muove ormai in modo non convenzionale
Quando due settimane fa ho provato a spiegare il piano di Renzi, non mi stavo ovviamente esercitando nelle arti divinatorie, né avevo accesso a documenti segreti o confidenze dei protagonisti. Mi sono semplicemente chiesto: se fossi al posto suo, cosa farei? Da qui ho ipotizzato quella che a me sembrava la soluzione più coerente all’interno del pensiero dell’ambizioso sindaco di Firenze: ossia approvare una legge elettorale maggioritaria e poi tornare alle urne, legittimandosi con il voto popolare nell’illusione, o nella speranza, che questo bastasse per restare barricato dentro Palazzo Chigi per tutto il prossimo quinquennio (un quinquennio che si prospetta tutt’altro che allegro).
Al momento in cui scrivo, invece, pare certo che il nostro si siederà al posto di Letta con un semplice passaggio di testimone (la cosiddetta “staffetta Renzi Letta”), senza avere ancora intascato alcun vero successo politico e dovendosi rapportare con lo stesso identico Parlamento. Da una parte balleranno le poltrone dei ministeri (il cosiddetto “rimpasto”), mentre dall’altra parte balleranno le alleanze di governo (da Vendola a Berlusconi): insomma qualcosa – pare certo – cambierà. Ma non si vede come tutto questo possa influire sul successo del futuro governo.
I motivi che hanno determinato il fallimento di Letta erano già perfettamente chiari tempo addietro e oggi non si può fare altro che prenderne atto. Renzi, dal canto suo, eredita la stessa situazione e non pare abbia strategie molto diverse. Il rischio assai concreto, dunque, è che il neo-segretario PD e futuro premier si consegni all’immobilismo, si “bruci” politicamente e mandi in fumo il capitale elettorale conquistato con fatica nei mesi passati. Ma allora cosa hanno in testa quelli del PD?
la “staffetta” non è la sola mossa inspiegabile nel panorama politico italiano. La vicenda dell’intervista a Alan Friedman rilasciata da Mario Monti (il quale afferma che nel 2011 Napolitano lo contattò per proporgli di fare il premier ben prima che la crisi dello spread tagliasse le gambe a Berlusconi) apre la strada a nuovi imprevedibili scenari. Quello che colpisce non è tanto il fatto in sé (che, se non proprio noto, era assolutamente intuibile già all’epoca), quanto piuttosto le polemiche particolari che ne sono seguite.
In un’intervista a ilsussidiario.net il Prof. Giulio Sapelli esprime stupore per il fatto che il Corriere della Sera abbia attaccato Napolitano (il quale, infatti, ha dovuto subito replicare con una lettera al direttore De Bortoli). Secondo Sapelli l’establishment italiano si starebbe posizionando dal fronte filo-tedesco e filo-francese, rappresentato da Napolitano e Monti, a quello filo-americano, rappresentato da Prodi; il quale non per niente, secondo l’Espresso, raccoglierà le dimissioni di Napolitano e si farà eleggere Presidente della Repubblica.
Difficile dire se queste voci siano attendibili: ma certo hanno un fondo di verità. È del tutto evidente, infatti, che il sistema si sta muovendo in modo non convenzionale, in risposta ad un contesto politico-economico intrinsecamente instabile e che per questo, come ampiamente preconizzato, nonostante fosse voluto dall’establishment, era destinato comunque a sfuggire ad ogni controllo.
Renzi porterà in dote, dunque, un nuovo assetto di potere, e forse anche nuovi “atteggiamenti” in politica estera: ma se è solo questo, non servirà a evitare l’inevitabile.
Andrea Giannini