Lo studio, pubblicato poche settimane prima del disastro in Liguria. Troppi cambi di legge, scarsa comunicazione tra Stato e Regioni, pochi controlli e una gestione sempre emergenziale e mai strategica, consumo di suolo in aumento. C’è tutto un sistema da rifare
Nei giorni scorsi il Codacons ha minacciato di denunciare la Regione Liguria per non aver speso i 10 milioni di euro ricevuti quest’anno dal Piano nazionale per la mitigazione del rischio idrogeologico. “Belinate” ha risposto Giovanni Toti in conferenza stampa, la sera del 27 novembre. Non solo – dice il presidente – Regione Liguria ha impiegato tutti i fondi ricevuti quest’anno ma, dall’inizio dell’amministrazione Toti (quindi dal 2015) il governo regionale ha messo a bilancio circa 552 milioni per la tutela del territorio. Una cifra che include tutte le opere in corso d’appalto, da quelle per cui sono ancora in corso le gare fino a quelle effettivamente concluse. Per il programma triennale 2019-2021, inoltre, la Regione ha già mandato al Ministero dell’ambiente un piano di progetti per un totale di 268 milioni di euro.
“Belinate” e beghe della politica locale a parte, però, è tutto il sistema della progettazione delle opere necessarie e quindi della prevenzione a non funzionare. L’ha scritto la Corte dei Conti nel report di analisi sul Fondo per la progettazione degli interventi contro il dissesto idrogeologico 2016-2018, pubblicato lo scorso 31 ottobre. Il documento passa in rassegna i vari piani nazionali che si sono alternate negli ultimi anni, dall’Italia Sicura del governo Renzi al Proteggi Italia del Conte 1. Il giudizio complessivo è severo. “Nonostante i tentativi intrapresi dai vari governi che si sono succeduti – si legge infatti nelle valutazioni conclusive – non sembra ancora essere compiutamente definita una vera e propria politica nazionale di contrasto al dissesto idrogeologico, di natura preventiva e non emergenziale, coerente anche con una politica urbanistica e paesaggistica, rispettosa dei vincoli ambientali, con interventi di breve, medio e lungo periodo”. Le conseguenze le avremmo viste tutte poche settimane dopo la pubblicazione dello studio.
La legge n.221 del 2015 stanzia 100 milioni di euro per la progettazione delle opere necessarie a mitigare il rischio idrogeologico e per accelerare l’attuazione dei piani nazionali contro il rischio idrogeologico. Con questi soldi, quindi, non si finanziano direttamente le opere, ma si punta a favorire le attività di progettazione necessarie, da sempre un problema per le amministrazioni regionali. A ricevere i fondi sono direttamente i presidenti di Regione, che Italia Sicura aveva in precedenza reso commissari straordinari per il rischio idrogeologico, sempre nell’ottica di accelerare i tempi.
I finanziamenti, però, non sono stati distribuiti a scatola chiusa. Per ottenerli, le Regioni dovevano inserire nel database del ReNDiS (il Repertorio Nazionale degli interventi per la Difesa del Suolo) progetti con requisiti tecnici minimi di ammissibilità, che includessero per esempio una valutazione dell’impatto dell’opera. E poche, a quanto pare, sono state in grado di farlo. Tra l’inizio del 2017 e la fine del 2018, infatti, alle Regioni è effettivamente arrivato solo il 19,9% dei 100 milioni complessivi. A circa due anni dall’istituzione del fondo, la stessa Italia Sicura evidenziava la criticità in un comunicato stampa: “Il vero ritardo – si legge nel passaggio riportato nel report della Corte dei Conti – a dimostrazione di un lavoro di prevenzione mai realizzato finora, sta nelle progettazioni. Delle 9.397 opere richieste dalle regioni solo l’11% dei progetti pervenuti sono esecutivi e pronti per gare e finanziamenti”. Anche il Ministero dell’Ambiente, poco prima, aveva segnalato “problemi di spesa da parte dei soggetti attuatori (Presidenti di Regione) dovuti in parte a problemi di ordine burocratico e amministrativo e in parte alla cronica mancanza di progettazione di livello adeguato”.
Tutti i tentativi di accelerare, semplificare e snellire le procedure sono andati a sbattere contro alcuni storici problemi delle amministrazioni locali, che spesso non possono o non sono capaci di spendere i fondi che pure avrebbero a disposizione. E la Liguria non fa eccezione.
Nel 2015, il Ministero dell’Ambiente e Italia Sicura, basandosi sulle richieste provenienti dalle Regioni, stanziano circa 20 miliardi di euro per il Piano operativo nazionale degli interventi per la mitigazione del rischio idrogeologico (quello che ha fatto litigare Toti e il Codacons) per il periodo 2014-2020. Tutti gli interventi relativi al dissesto idrogeologico sono finanziati dalla delibera CIPE (Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica) n. 32 del 2015. Per gli interventi più urgenti, il Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri del 15 settembre 2015 stila un “piano stralcio” per le aree molto popolose e a forte rischio idrogeologico, del valore complessivo di 13,05 miliardi. Il piano stralcio si divide più o meno a metà tra gli interventi già finanziati (654 milioni) e interventi ancora da programmare (648 milioni).
Tra gli interventi già finanziati ce ne sono anche quattro da realizzare in Liguria, la Regione che, in questa prima tranche di finanziamenti, riceve più soldi di tutte: 275 milioni. Ma al 21 maggio del 2019 (data della ultima rilevazione della Corte dei Conti) dei quattro progetti in questione due risultano “in progettazione” e due “in esecuzione” e dei 275 milioni complessivi solo 41 sono effettivamente arrivati nelle casse regionali, mentre 233 risultano ancora da erogare. In percentuale, equivale al 15% del totale, ovvero la quota prevista per il primo lotto di finanziamenti, erogati a giugno 2018, per le regioni che sono state in grado di presentare progetti finanziabili (Liguria, Toscana, Lombardia, Abruzzo, Veneto e Sardegna ed Emilia Romagna). In effetti, come rileva la Corte, solo all’Emilia Romagna sono state versate tutte e cinque le tranches di finanziamento previste, mentre tutte le altre nell’elenco si sono dovute limitare alla prima.
Un’opera ligure compare anche nell’elenco delle opere ancora ferme alla fase progettuale (almeno a maggio di quest’anno): il Canale scolmatore T. S. Siro e Magistrato di Santa Margherita Ligure, 33 milioni di cui 621 mila ancora da finanziare.
I motivi di questa enorme differenza tra le risorse impiegate e quelle che poi arrivano effettivamente sui territori sono sempre gli stessi: troppa burocrazia e troppa poca capacità progettuale. Di Italia Sicura, la struttura renziana che nelle intenzioni degli ideatori doveva accelerare il sistema, la Corte dei Conti boccia però anche il metodo di fondo. “Italia sicura si è configurato come una mera raccolta di richieste di progetti e di risorse, talvolta non omogenee, – si legge infatti nel report – senza addivenire ad una vera e propria programmazione strategica del settore”. Non solo quindi agli enti locali manca la capacità progettuale. È anche lo Stato che, negli anni, si è mostrato carente di visione strategica, forse vittima di governi che hanno preferito accogliere tutte le richieste delle regioni e annunciare finanziamenti esorbitanti anziché coordinare risorse dove ce n’era più bisogno, con un lavoro di analisi mirato.
Certo non sarebbe semplice stabilire quali aree abbiano effettivamente più bisogno di risorse e quali meno. Il dissesto idrogeologico interessa infatti tutto il territorio nazionale, colpito con sempre maggior intensità e frequenza da eventi estremi causati anche dal cambiamento climatico globale.
Non che le cose siano migliorate con i piani dei governi Conte, che (nella versione 1, quella Lega-5 Stelle) aboliscono la struttura di Italia sicura e tolgono il controllo della lotta al cambiamento climatico dalla presidenza del Consiglio per trasferirla interamente nelle mani del Ministero dell’Ambiente. I problemi di fondo restano tutti lì. Oltre alle carenze burocratiche e progettuali, il report della Corte dei Conti menziona anche l’assenza di adeguati controlli e monitoraggi, una comunicazione complicata tra Stato e Regioni, la frammentazione e la disomogeneità delle fonti dei dati sul dissesto (che complica ulteriormente il lavoro di progettazione delle Regioni) e il ricorso a una gestione sempre emergenziale e non ordinaria.
Leggendo il rapporto della Corte, sia ha l’impressione che poco, del sistema complessivo, rimanga da salvare e che agli enti locali non resti che provare a mettere “tapulli” a una situazione che a ogni alluvione e frana sembra sorprenderci.
In compenso, nel 2017 e nel 2018 è tornato a crescere il consumo di suolo (rispettivamente dello 0,21 e dello 0,22% a livello nazionale), dopo una decrescita di alcuni anni, nonostante sia ormai riconosciuto come uno dei fattori che rende i nostri territori più fragili. In barba, oltre a varie leggi e disposizioni italiane ed europee, all’agenda per lo Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite, che nel 2015 fissava l’obiettivo, per il 2030, di un land degradation neutral world, cioè un mondo in cui il consumo di suolo rimanga stabile o aumenti all’interno di sistemi specificati e mai comunque a un ritmo più elevato della crescita della popolazione.
Non è di sicuro il caso della Liguria, una terra in decrescita demografica. Eppure, il consumo di suolo interessa anche la nostra regione anche se, come sottolinea l’ultimo report dell’Istituto superiore per la ricerca ambientale (Ispra), meno rispetto ad altri territori come il nord-est o il sud. Nel 2018, infatti, sono stati consumati solo 350mila metri quadrati di terreno, in percentuale lo 0,08% del territorio. Una percentuale, dunque, ben al di sotto della media nazionale. Lo stesso rapporto però ci dice anche che la Liguria è la Regione più cementificata di tutte in aree ad alta “pericolosità idraulica”, quindi più fragili. È consumato, infatti, il 22,7% del terreno in aree che l’Ispra definisce a pericolosità “elevata” (solo le Marche, in questo settore, fanno peggio, con il 37,8%), il 29,3% di quelle a pericolosità “media” e il 33,4% di quelle a pericolosità “bassa”.
Percentuali da un lato spiegate dalla fragilità generale del nostro territorio, che ci dicono anche come il conto di ogni metro quadrato cementificato per la Liguria rischi di essere molto più salato che per altre regioni.
Luca Lottero