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La legittimazione democratica, che è la forza di Tsipras, non basta: perché è inutile in fase negoziale con Bruxelles, ed è addirittura un’arma a doppio taglio per chi ha escluso che il suo paese lascerà l’euro. L'analisi di Andrea Giannini dalla rubrica Polis
La vittoria di Tsipras in Grecia difficilmente porterà a cambiamenti epocali. Il motivo è sempre il solito: si può ridiscutere il problema del debito e ottenere anche qualche concessione significativa; ma non si può abolire l’austerità rimanendo nell’euro.
L’austerità è un diktat economico che traduce un preesistente principio politico di questa unione: ogni stato si tiene i suoi debiti e ogni governo si occupa di rendere più competitivi i propri lavoratori. Non è dunque una mal intesa comprensione dei fenomeni economici, o una questione di poteri di forza all’interno dell’UE, a dar vita all’austerità e ai problemi che ne conseguono: è invece la precisa volontà politica di un gruppo di stati del nord, guidati dalla Germania, di tenersi la comodità di un cambio svalutato senza condividere l’onere di politiche sociali a sostegno del reddito (botte piena e moglie ubriaca).
É difficile, pertanto, che un paese che conta per il 2% del PIL possa convincere il principale contribuente a trasformare l’unione monetaria in un’unione fiscale, dove il debito dovrebbe essere in comune e le aree più povere essere sussidiate da quelle più ricche. Anche qualora Tsipras minacciasse di uscire, per la Germania, che in questi anni è rientrata per gran parte degli incauti prestiti che le sue banche avevano concesso alla Grecia, non sarebbe una tragedia.
Da questo discorso segue che il nuovo governo greco ha un potere negoziale molto basso: può decidere di seguire la strada di Hollande in Francia, vivacchiando per un po’ e lasciandosi logorare lentamente in estenuanti trattative (per poi lasciare il paese ad Alba Dorata); oppure può porre un aut-aut netto e, nel caso di un probabilissimo rifiuto, concretizzare la minaccia di portare il paese fuori dall’euro. Questa seconda eventualità, tuttavia, non è molto probabile.
Quello che rende Tsipras tanto forte in questo momento è la sua forte legittimazione democratica: Syriza è passato in dieci anni dal 3 al 36% dei voti; il che significa che la troika non può liquidarlo troppo sbrigativamente, perché ciò equivarebbe a un tradimento della democrazia troppo manifesto. Eppure, se i nostri leader europei fossero stati troppo scrupolosi su questo punto, non saremmo neppure qui a parlare.
La realtà è che – come ho già avuto modo di scrivere la prima volta qualche anno fa (grazie ad altri che ci erano arrivati ben prima di me) – l’intera costruzione europea si basa sul principio della sospensione della democrazia come metodo di governo (un concetto esplicitamente teorizzato dai suoi stessi fondatori). Non per niente negli ultimi anni le nostre illuminate élite politiche hanno fatto di tutto per ignorare i voti contro l’austerità che si sono registrati in giro per il continente. La cosa è talmente grave che ne ha scritto recentemente anche il nobel all’economia Joseph Stiglitz:
Uno dei punti di forza dell’UE è la vitalità delle sue democrazie. Ma l’euro ha tolto ai cittadini – soprattutto nei paesi in crisi – qualsiasi voce in capitolo sul destino delle loro economie. Ripetutamente gli elettori hanno fatto cadere i governi in carica, insoddisfatti della direzione dell’economia – solo per avere un nuovo governo a continuare lo stesso percorso imposto da Bruxelles, Francoforte e Berlino».
Tsipras non dovrebbe fare molto affidamento sul rispetto che la troika può avere per il volere popolare; mentre all’opposto potrebbe far leva proprio su questo deficit per presentarsi come il contraltare di un’Europa centralizzata, distante e tecnocratica. Ma anche così difficilmente cambierà qualcosa in fase negoziale, dove in fin dei conti il legittimo rappresentante dei greci conta come tutti gli altri rappresentanti. In questa contesa a contare davvero sarà il peso contrattuale, che per la Grecia è, come detto, quasi nullo. Inoltre, se a quel punto il leader di Syriza decidesse di portare il suo paese fuori dall’euro, perderebbe ipso facto quella stessa legittimazione democratica che era stata la sua forza, perché dovrebbe fare al proprio popolo esattemente quello che aveva promesso di non fare.
Non è solo una questione d’immagine: è una questione sostanziale. Basti considerare come sia cambiata la vita di Renzi quando la sua narrazione modernista, europeista e liberista ha portato il PD sopra il 40%: da allora il dissenso interno si è sopito e una riforma così poco di sinistra come il job act è diventata realtà. Questo dimostra che il potere, in democrazia, si concentra ancora là dove si sanno raccogoliere i voti.
Tsipras ha vinto con un campagna elettorale incentrata sul problema del debito pubblico e sulla necessità di restare in Europa, dimostrando così che in questo momento sono questi i punti sensibili dell’elettorato: dal che deriva anche, però, che rimangiarseli produrrebbe l’unico effetto di far precipitare il consenso di Syriza. Ci vuole tempo per abituare gli elettori a cambiare opinione: e un’uscita unilaterale non ne lascia molto. Il paese è già disastrato, i partner reagirebbero con ostilità e i contraccolpi dei mercati sarebbero vertiginosi: tutte queste turbolenze cadrebbero interamente sul capo del governo Tsipras, che, vittima delle sue stesse parole, pagherebbe un prezzo politico salato, prima di avere il tempo di raccoglierne i frutti. Solo il desiderio di commettere un suicidio politico potrebbe spingere il leader greco a compiere un simile gesto.
Ecco perché la legittimazione democratica, che è la forza di Tsipras, non basta: perché è inutile in fase negoziale, ed è addirittura un’arma a doppio taglio per chi ha escluso che il suo paese lascerà l’euro. L’Europa può dunque limitarsi a trattare il nuovo capo di governo con il rispetto dovuto, senza per questo doversi aprire a concessioni troppo larghe. Per assistere ad una vittoria della democrazia contro la tecnocrazia – temo – si dovrà aspettare ancora: almeno fino al giorno in cui un politico non si decida a trattare il suo popolo da adulto, preoccupandosi di dire non solo quello che porta consenso, ma anche, banalmente, la verità.
Andrea Giannini