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Coronavirus e informazione, quando l’assembramento selvaggio diventa un format

Impazzano le storie di insubordinazione quotidiana alle misure per contenere il coronavirus. Ma i dati dicono che la stragrande maggioranza degli italiani sta alle regole. A chi giova raccontare il popolo canaglia?


10 aprile 2020Editoriali > Notizie

I dati sulle multe alle persone che non rispettano i limiti agli spostamenti dovuti all’emergenza coronavirus ci restituiscono l’immagine di un Paese che sta, in larghissima parte, rispettando le regole. Lo scorso sabato 4 aprile, raccontato come una giornata di sanzioni record, su 229mila e 104 persone fermate dalle forze dell’ordine, le multe sono state 9.284 .

Significa che a sgarrare è stato poco più del 4% delle persone fermate, cioè lo 0,015% della popolazione italiana. A leggere le cronache di questi giorni, però, sembrerebbe che sparsi per il territorio nazionale ci siano diversi focolai di ribellione alle regole e al buon senso dove i cittadini, mossi forse da un superbo senso di invulnerabilità o dal gusto per la sfida all’autorità fine a sé stessa, escono volutamente di casa senza reale necessità, generando assembramenti non necessari e moltiplicando i rischi di contagio con grave rischio per la collettività.

È il caso, per esempio, del Quadrilatero di Bologna o del quartiere Spaccanapoli, a Napoli . Anche Nel suo piccolo, anche Genova ha il suo focolaio di insubordinazione, situato in Via Sestri, cuore pulsante della delegazione di Sestri Ponente. Quartiere ribelle al punto da meritarsi il doppio rimprovero del presidente della Regione Liguria Giovanni Toti, una prima volta lo scorso 13 marzo  e poi, di nuovo, il 2 aprile. Il secondo rimprovero presidenziale è stato accompagnato da una foto, dove nella parte superiore compare il fermo immagine di un servizio televisivo che ritrae una Via Sestri apparentemente piena di gente e una inferiore con alcuni medici del San Martino, a suggerire che la passeggiata impenitente avviene a sfregio di chi rischia la vita tra le corsie degli ospedali. Ma proprio su quel fermo immagine, in realtà, sono cominciati ben presto a circolare dei dubbi, per via dello schiacciamento prodotto dalla prospettiva ottenuta con un teleobiettivo.

Inganni ottici a parte, sono le caratteristiche del quartiere a rendere difficile immaginare un abbandono totale della via. A Sestri Ponente vivono quasi 45mila abitanti e in Via Sestri ci sono numerosi supermercati, negozi di alimentari e farmacie. Negozi che non possono chiudere nemmeno in tempo di quarantena, perché vendono beni essenziali. È dunque lecito pensare che chi in questi giorni va in Via Sestri lo faccia per un valido motivo. A meno che non si voglia credere che gli abitanti di Sestri per qualche ragione si divertano a sfidare regolamenti e buon senso, in controtendenza rispetto al resto della popolazione nazionale.

L’uomo che morde il cane

Forse è proprio questa la ragione per cui Via Sestri è diventata un caso. Visto che il cane che morde l’uomo non è una notizia ma lo è l’uomo che morde il cane, il racconto dell’eccezione alla regola, del cittadino che sgarra, sta diventando un format nel racconto che si sta facendo di questi giorni. Un format che mantiene alta l’attenzione su alcuni aspetti, tralasciandone altri, creando una narrativa legata alla contrapposizione, al conflitto, tra persone. In altre parole un problema di ordine sanitario è diventato de facto un problema di ordine pubblico: un format, questo, che però, oltre a rischiare di dare un’idea distorta dei problemi alla base di questa situazione rischia anche di far passare, come sta succedendo, senza troppe cerimonie, limitazioni inedite delle nostre libertà individuali e collettive. 

In altre parole un problema di ordine sanitario è diventato de facto un problema di ordine pubblico

Una modalità di gestione della situazione che ha “contagiato” anche altri soggetti, che titolarmente dovrebbero avere un ruolo differente. E’ il caso dell’ospedale Policlinico San Martino, niente meno che l’ospedale-università più importante della Liguria e rifermento scientifico nazionale: in questi giorni la direzione ha optato per una comunicazione molto aggressiva nei confronti dei comportamenti considerati dannosi, riproponendo quel format in chiave più social, dichiaratamente finalizzato a sensibilizzare la fascia più giovane della popolazione. Esempi sono due pubblicazioni divenute virali non per il contenuto ma per la polemica che hanno suscitato: il primo con la foto di una paziente estubata, accompagnata dalla dicitura “State a casa! Altrimenti l’unica corsa che farete sarà in rianimazione”, riferendosi al format del podista-untore, e il secondo, dove il frame di un famoso e virale meme è accompagnato dall’ammonimento “Fossimo in voi, noi medici, infermieri e oss, staremmo a casa, e non in prima linea, per voi, qui al San Martino”.

Una comunicazione, quindi, che colpevolizza determinati comportamenti il cui peso sull’attuale situazione è quanto meno incerto: non passa giorno senza che arrivino percentuali di persone che si spostano, confronti, trend, seguiti da paternali e minacce di nuovi provvedimenti, senza avere invece informazioni esaustive sulla diffusione reale del virus, che essendo per l’80% asintomatica, nessuno ha con certezza. E l’incertezza non crea nessun format di successo, ma responsabilità politiche.

Compito straordinario

Secondo altre letture l’esasperazione dei (pochi) casi di ribellione alle regole contro il covid-19 farebbe comodo a tanti. A chi vuole scaricare sul popolo bue le responsabilità della crisi da un lato e a sindaci e amministratori locali con manie da sceriffo dall’altro, che proverebbero a stimolare la richiesta di una gestione poliziesca del territorio giustificandola con la presunta irresponsabilità della gente. Puntando magari a rendere ordinarie le misure straordinarie che si stanno rendendo necessarie in queste settimane. Se così fosse, finita l’emergenza il giornalismo avrà compiti ben più urgenti e scomodi della caccia all’assembramento selvaggio.

Luca Lottero
Nicola Giordanella


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