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Emergenza casa e Diritto all’abitare, quando la politica si dimentica della solidarietà

Il Piano Casa del governo Renzi ha ulteriormente peggiorato il contesto legato all’emergenza abitativa del paese e della nostra città. Alessandro Gorla, avvocato penalista, ci racconta, attraverso la quotidianità delle aule di tribunale, la guerra ai poveri in atto sotto i nostri occhi


8 maggio 2016Rubriche > Diritto di difesa

piazza-cernaia-centro-storico-casa-occupataI muri di Genova parlano spesso parole di buon senso. Troppa gente senza casa, troppe case senza gente, è una sintesi assai densa di un’inchiesta sull’emergenza abitativa nella nostra città, pubblicata lo scorso anno su questa testata. I numeri parlano chiaro: a fronte di migliaia di richieste inevase, le istituzioni liguri riescono a garantire un alloggio a poco più di un centinaio di nuove famiglie all’anno.
Le ragioni, si dice, sono innumerevoli e complesse: crisi economica, graduatorie intasate, asfissianti requisiti, bandi mal pensati e peggio scritti, scarsità di alloggi, appartamenti in pessimo stato, fondi insufficienti, inquilini morosi, occupanti (illegali!). La verità è invece piuttosto banale. La politica non intende investire denaro pubblico per dare soddisfazione a un diritto fondamentale, ovvero il diritto a vivere con un tetto sulla testa.

Non mi pare sia questo il contesto per enumerare le fonti normative (dalle dichiarazioni internazionali sui diritti umani alla tanto invocata Carta costituzionale, scendendo poi a precipizio per leggi ordinarie, regionali, regolamenti, e via discorrendo) in cui tale diritto, nelle sue molteplici forme, è riconosciuto a tutti e ognuno di noi, allorquando ci trovassimo in una situazione di indigenza, con un reddito minimo o inesistente, incapaci di provvedere al pagamento di un affitto a prezzi di mercato. Si tratta di solidarietà, cooperazione, condivisione di risorse.
Fuori c’è il mondo reale. Quello in cui la politica non stanzia fondi sufficienti per affrontare l’emergenza abitativa. Non mi è dato sapere il perché. Immagino concause, forse monocolore. In quest’epoca in cui tutto è efficienza, un settore pubblico in perdita non è tollerabile. Soprattutto un settore che non costituisce un immediato bacino di voti, e che rischia di essere divorato dalla narrazione corrosiva dei media. Si odono voci dalla Regione Liguria, che vorrebbero vedere sanati i bilanci di A.R.T.E. (l’agenzia regionale che si occupa di edilizia pubblica). Dunque tagli e svendita del patrimonio immobiliare. E’ una logica liberista, una logica per cui il pubblico dovrebbe porsi gli stessi obiettivi del privato, ovvero il profitto. Dimenticando che il pubblico siamo noi, con le nostre tasse, versate per contribuire al benessere collettivo e la mutua assistenza, per garantirci servizi di eccellenza, dalla scuola alla sanità, sino alla casa, qualora ve ne fosse bisogno. E, dunque, ben venga un deficit di bilancio, se quel deficit ha consentito di rispondere alle nostre esigenze, alle esigenze di noi tutti, non solo di alcuni.

Mi capita, frequentando le aule di tribunale, di partecipare quale avvocato alla celebrazione di processi per occupazione (rectius, invasione di terreni o edifici, art. 633 del codice penale). Si tratta di un reato che prevede una pena sino a due anni di reclusione. Imputate, più spesso di quanto si creda, persone in attesa di una sistemazione, regolarmente in graduatoria, o comunque in possesso dei requisiti previsti dalla normativa. Persone prive di reddito, sfrattate dal precedente alloggio poiché incapaci di provvedere all’affitto. Persone che piuttosto che vivere in strada, hanno deciso di occupare un appartamento di edilizia pubblica. Un appartamento vuoto, e se occorre specificarlo, astrattamente destinato a loro. Una di quelle centinaia (migliaia?) di case vuote che per l’inerzia della politica vuote rimangono.
E mi capita altresì, nelle medesime aule di tribunale, di ascoltare strali sulla legalità, da persone che forse non sanno che detta parola (tanto abusata quanto male intesa) è vuota essa stessa, priva di contenuto, se non la si infarcisce di una vivificante iniezione di giustizia. Perché legalità significa aderenza alla regola. Niente di più. E qual è la regola? La regola è che non si può fare abusivamente ingresso e permanere in un immobile altrui. Ma, suggerisco, la norma, più ampiamente intesa, non vorrebbe altresì che gli aventi diritto ad un alloggio vedessero garantito tale diritto? E’ una legalità viscida quella invocata, prona all’affannosa ricerca di capri espiatori a buon mercato, a quella narrazione per la quale i poveri sono sempre colpevoli (migranti e rom, in particolare).
E, ancora, mi è capitato, sempre in un’aula di giustizia, di sentir rimproverare l’imputato di turno, un anziano che non potendo aspettare per strada che la politica si decidesse a finanziare il settore abitativo, ha pensato bene di occupare una casa vuota, un appartamento fatiscente, con mura scrostate, infissi venati di spifferi, senza riscaldamento, senza luce, acqua e gas.
Perché questo è un altro capitolo della guerra ai poveri che combattiamo in questo Paese. Con l’art. 5 del Piano Casa (2014) il governo Renzi ha chiarito che chi occupa non ha diritto alla luce, al gas, all’acqua. “Gli atti – recita la norma – aventi ad oggetto l’allacciamento dei servizi di energia elettrica, di gas, di servizi idrici e della telefonia fissa, nelle forme della stipulazione, della volturazione, del rinnovo, sono nulli, e pertanto non possono essere stipulati o comunque adottati, qualora non riportino i dati identificativi del richiedente e il titolo che attesti la proprietà, il regolare possesso o la regolare detenzione dell’unità immobiliare in favore della quale si richiede l’allacciamento”. In altre parole, ci è negato di ottenere l’erogazione di un servizio pubblico ed essenziale, se non abbiamo titolo legale per abitare un immobile. In poche righe abbiamo abdicato, tra gli altri, al principio di solidarietà. Ogni giorno, dall’entrata in vigore del Piano Casa, costringiamo migliaia di persone a vivere al freddo, con un fornello da campo per cucinarsi cena, e le bottiglie d’acqua per lavarsi. Tutto questo, ça va sans dire, è legale.
All’occupante rimproverato si contestava, in particolare, non solo di non aver titolo per rimanere nell’immobile, ma di aver sottratto quell’appartamento a qualcuno più bisognoso di lui. E’ la vittoria di una narrazione tossica che colpisce solo i deboli, che guarda il dito per non veder la luna. Perché discutere di una politica abitativa volutamente fallimentare, che ha abbandonato a se stesse le persone in stato di necessità? Il problema sono gli occupanti. I numeri, come accennavo in premesse, dimostrano il contrario. E i numeri hanno la testa dura, diceva Lenin. Ma i numeri, parrebbe, interessano a pochi.

Alessandro Gorla, 
avvocato penalista


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