Antonio Musarra ci guida alla scoperta di Aleppo, oggi martoriata da troppi anni di guerra, ma che nel medioevo fu importante crocevia commerciale e non solo; i legami con Genova e la sua storia
Fuori d’ogni retorica. Quel che è accaduto e ancora sta accadendo ad Aleppo non può non scuotere le coscienze. La battaglia e l’evacuazione di Aleppo – la più popolosa città della Siria, più ancora di Damasco – è una pagina nera della storia recente. Pare che del milione e mezzo (e oltre) di persone da cui era popolata, 40.000 siano ancora intrappolate al suo interno, in attesa d’un qualche corridoio umanitario. Ben magra consolazione per una delle città più antiche al mondo dove i morti non si contano. Aleppo la “bigia”, patrimonio dell’UNESCO dal 1986, eletta nel 2006 a capitale della cultura del mondo islamico; Aleppo musulmana e Aleppo cristiana (i cristiani sono – erano – circa 300.000, appartenenti a dieci confessioni diverse) – è, oggi, un cumulo di macerie intrise del sangue dei suoi abitanti: sangue di uomini, donne e bambini. Non vi sarà Natale, per i bambini di Aleppo. Così come non v’è stato alcun Mawlid al-Nabī – il Natale del Profeta –, celebrato quest’anno il 12 dicembre. Ma non ad Aleppo.
Non è questa la sede per discorrere di come si sia giunti a questo punto. Credo sia più utile cercare di convincere il lettore del fatto che la tragedia di Aleppo non possa – non debba – lasciarci indifferenti. E credo che non vi sia moto migliore del ripercorrerne la storia (alla quale, come si vedrà, i Genovesi non sono affatto estranei). Perché conoscere la storia di un luogo contribuisce a renderlo un po’ più nostro, un po’ più vicino.
Nell’arco degli ultimi millenni Aleppo ha conosciuto dominazioni diverse, documentate a partire dal 2000 a. C., quando la città diventa la capitale degli Amorrei, prima d’esser conquistata dagli Ittiti, quindi, nel VIII secolo a. C., dagli Assiri, presto scalzati dai Babilonesi, seguiti dai Persiani. Per comprendere la grandezza di Aleppo basterebbe fermarsi qui; e pensare al solo fatto che ciascuno di questi popoli ha lasciato tracce di sé. Aleppo, dunque, è sorta da un crogiuolo di culture accatastatesi le une sulle altre. Conquistata da Alessandro Magno nel 333 a.C., occupata dalle truppe di Pompeo nel 64 a. C., distrutta da Cosroe I nel 540 e ricostruita poco dopo da Giustiniano, la città entra velocemente nell’orbita dei califfi omayyadi, che la trasformano in un gioiello d’architettura musulmana. E’ in questo periodo che è edificata la Moschea di Zaccaria, che conserva – così si ritiene – i resti del padre di Giovanni Battista, profeta anche dell’Islam; seguita, qualche tempo dopo, dalla possente cittadella, che poteva ospitare sino a 10.000 persone in caso d’assedio, contro la quale si infrangeranno gli eserciti crociati nel 1098 e nel 1124, decisi a fare della città un avamposto strategico nell’immediato retroterra di Alessandretta, suo porto naturale. In quel frangente, Aleppo assume chiaramente il ruolo di principale difesa contro l’invasore. Soltanto i Mongoli la violeranno, nel 1260; dopodiché, sarà occupata dalle truppe di Tamerlano, al principio del Quattrocento, prima d’entrare a far parte – nel 1516/1517, dopo la sconfitta mamelucca – dell’impero ottomano.
E’ a questo periodo che risale il suo bel Caravanserraglio, dove, nel 1539, i Veneziani avrebbero installato un proprio fondaco. Ma la città era frequentata dai mercanti occidentali già da tempo; e, tra di essi, soprattutto dai Genovesi. Numerosi sono, infatti, i contratti notarili conservati nell’Archivio di Stato di Genova che citano esplicitamente viaggi compiuti «per terram Solie usque ad Halep» o «per riveriam Solie usque ad Halep», dove «Solie» sta naturalmente per «Siria». Ciò era un portato dell’ottenimento di nuovi privilegi commerciali: nel 1205, il principe di Antiochia, Boemondo IV – imparentato, peraltro, con gli Embriaci, ormai stabilitisi a Gibelletto – concesse ai Genovesi protezione nei propri territori, oltre alla conferma dei diritti da loro goduti in Antiochia, dietro la corresponsione di 3000 bisanti e del servizio di due galee e trecento armati. Il commercio tra la latina Antiochia, la musulmana Aleppo, il regno di Gerusalemme – che aveva capitale ad Acri nel golfo di Haifa –, e l’Egitto ayyubide avrebbe rappresentato per qualche tempo un utile sostitutivo della rotta per Costantinopoli, dal 1204 in mano veneziana. Fu così che Aleppo si avviò a divenire una delle piazze commerciali musulmane maggiormente frequentate dai latini; forse già a motivo del suo famoso sapone, com’è noto prodotto con olio d’oliva e profumato con olio d’alloro, alla base di molti prodotti simili europei (ad esempio, del sapone di Marsiglia); senza dubbio, del suo allume – quel minerale così importante in età medievale in quanto necessario, tra le altre cose, per fissare il colore sui panni –, prima che il genovese Benedetto Zaccaria desse avvio allo sfruttamento delle miniere di Focea, sulla costa anatolica.
Aleppo, dunque, acquisì, tra Medioevo e prima età moderna, un ruolo particolare nello scacchiere vicino-orientale quale punto nodale per le comunicazioni e gli scambi. Se ieri rappresentava uno dei terminali occidentali delle cosiddette “vie della seta”, oggi non è altro che un ponte tra il Mediterraneo, da cui dista meno di 150 km, la Turchia, a nord, e il resto della Siria. Di qui, la sua rilevanza geopolitica.
La vittoria di Assad – se di vittoria si può parlare, in una guerra che in circa sei anni ha guadagnato alla coscienza dell’umanità oltre 400.000 vittime – rappresenta un punto di svolta nel conflitto. Il controllo di Aleppo permetterà alle truppe governative di volgersi più decisamente verso Raqqa’. E poi?
Antonio Musarra