Un anniversario passato in sordina, dimenticato dalle istituzioni culturali cittadine
10 ottobre 1118/10 ottobre 2018 – Forse non tutti sanno che, esattamente 900 anni fa ieri, la cattedrale di Genova veniva consacrata da papa Gelasio II. Nonostante l’impegno della curia – che, a eccezione di lodi e vespri solenni e d’una breve riflessione del canonico Poggi, rimanderà al 21 la solenne celebrazione -, il silenzio dei mezzi d’informazione (a esclusione d’un intervento meritorio del Museo Diocesano e all’attenzione de Il Cittadino: il settimanale diocesano) è, a dir poco, disarmante. Qualcosa che altrove sarebbe stato celebrato con convegni e simposi, restauri e pubblicazioni, oltre che con adeguati momenti di riflessione, qui da noi passa inosservato. E non è colpa del ponte.
Non crediate che vi risolva la situazione in un articolo. A ogni modo, sappiate che la questione non fu affatto irenica come sovente ci è presentata. Sappiamo di come, verso la fine dell’XI secolo, fosse avviato un vero e proprio cantiere per ridare un volto a San Lorenzo, perseguito, con forza, dal nuovo ordine imposto alla città a seguito della vittoria del partito riformatore, guidato dal vescovo Airaldo. Ricordiamoci che, a Genova, passata la fase di opposizione interna dovuta alla permanenza sul soglio vescovile, per oltre cinquant’anni, d’una serie di vescovi filo-imperiali, a partire dal 1099 si sarebbe palesata una singolare alleanza tra la Chiesa locale e l’élite militare ed economico-commerciale che avrebbe espresso, a prezzo di ripetute sperimentazioni, l’autogoverno per i decenni a venire. I primi regimi consolari a noi noti si affermano, infatti, nell’ambito dello schieramento riformatore, in concomitanza con l’elezione di Airaldo, nel 1097. L’annalista Caffaro ne lega l’operato al patto della «compagna»: un’associazione di carattere temporaneo e volontario, sorta – non è certo se per la prima volta – in occasione della partecipazione alla crociata: espressione del rinnovamento ecclesiastico operato dal papato.
Ebbene: il 10 ottobre del 1118, papa Gelasio II consacrò l’altare e l’«oratorium» della nuova chiesa, quando ancora i lavori non erano terminati. Già prima di allora si ha notizia della riunione in essa del «parlamentum»: la grande assemblea degli «habitatores Ianue», che dovette avvenire o in una porzione della chiesa alto-medievale ancora in piedi o in uno spazio già abbastanza acconcio. Airaldo risulta, ormai, morto. E’ il vescovo Ottone a presenziare, assieme ad Aldo, vescovo di Piacenza, a Landolfo, vescovo di Asti e ad Azzone, vescovo di Acqui. Al contempo, il papa rinnovava una speciale indulgenza, ritrovata – leggiamo – nel messale del suo predecessore, che concedeva il perdono dei peccati a coloro che erano stati sepolti nel cimitero della chiesa o che lo sarebbero stati in futuro. Airaldo era ricordato come «pater» della chiesa genovese; di lui si aggiungeva che aveva donato, a rimedio della propria anima e di quella del proprio parentado, la chiesa di san Marco al molo ai canonici della cattedrale.
Il papa veniva da Pisa, dove aveva compiuto il medesimo gesto. Era diretto in Francia. Era stato costretto a lasciare Roma a causa della pressione della fazione guidata dai Frangipane, sostenitrice dell’imperatore Enrico V, che intendeva imporre il proprio controllo sulla nomina delle gerarchie ecclesiastiche nei territori a lui sottoposti. Giunto a Roma il 2 marzo del 1118, Enrico aveva tentato di farsi incoronare in San Pietro. Gelasio – che già qualche tempo prima aveva conosciuto la prigionia – gli aveva opposto un netto rifiuto, cui l’imperatore aveva risposto sostenendo l’elezione di Burdino, arcivescovo di Braga, che aveva assunto il significativo nome di Gregorio VIII, teso a smorzare quella tradizione riformatrice che montava, per l’appunto, a Gregorio VII. Per ben due volte, il papa era stato costretto a lasciare Roma, salvo potervi rientrare per breve tempo sotto protezione normanna, sino a che, il 2 settembre, s’era risolto a prendere il mare per recarsi in Francia. Lungo il traggito si fermò a Pisa; quindi, a Genova, procedendo alla consacrazione delle rispettive sedi. Ciò rispondeva alla necessità di cercare alleati da contrapporre al papa rivale. Le due città si trovarono, dunque, per un momento, dalla stessa parte, benché la lotta per il controllo della Corsica e delle sue diocesi fosse entrata nel vivo. Gelasio giunse a Marsiglia in ottobre. Qui avrebbe probabilmente convocato un concilio se la morte non lo avesse colto. Era il 29 gennaio del 1119. Gli accordi di Worms sarebbero stati siglati solamente nel 1122.
A Genova, così come a Pisa, il papa era stato accolto in maniera trionfale. Attorno alla cattedrale s’era stretta l’intera cittadinanza. Si trattava della principale fabbrica della città, che, assieme alla canonica e al palazzo vescovile – poi, arcivescovile -, avrebbe ospitato per parecchio tempo le sedi del potere pubblico. Chi aveva e avrebbe finanziato la sua ricostruzione? Iacopo da Varagine, vissuto alla fine del Duecento, ha pochi dubbi: «Credimus autem quod opus tam sumptuosum et nobile ecclesie Sancti Laurentii fecit commune Ianue et non persona aliqua specialis». Non i privati, dunque, ma il «commune Ianue»: la «communitas». Potremmo dire, con qualche cautela, il potere pubblico. Non è un caso se la Chiesa genovese fosse ritenuta, a lungo, il principale soggetto giuridico cui indirizzare i privilegi ottenuti nel Mediterraneo. Ancora nel 1137, il presule – dal 1133, arcivescovo – poteva agire politicamente in assenza dei consoli. Per lungo tempo, la fabbrica della cattedrale avrebbe incamerato, dunque, dazi e decime sul commercio, oltre al 10% delle imposte dei lasciti testamentari, diventando, a tutti gli effetti, un affare dei cittadini. Forse è bene che ce lo ricordiamo.
Antonio Musarra