L'artista genovese dà vita a personaggi ironici e grotteschi, con uno stile che ormai, soprattutto dopo i disegni per gli spot della birra Ceres, è diventato caratteristico e immediatamente riconoscibile
“Una combinazione tra Hyeronimus Bosch e Jacovitti, Caravaggio e Grande Puffo, mescolati in un’estasi nauseante”: così si autodefinisce Enrico Macchiavello, artista genovese, classe ’74, un approccio caustico e dissacrante nei confronti della vita e del mondo che lo circonda, riletti e interpretati attraverso la sua matita dall’inconfondibile tratto. Nella sua carriera, tra le altre cose, ha dato vita ai personaggi che per anni hanno popolato gli spot della birra Ceres, e più di recente ai protagonisti di un noto gioco per bambini; si muove tra illustrazione, animazione, pittura e scultura, esponendo anche in galleria tra l’Italia e l’estero.
Un breve sguardo sul tuo percorso artistico.
«Mi è sempre piaciuto disegnare, e ho sempre trovato più facile mettere dell’inchiostro su carta piuttosto che usare la parola. È sempre stata, perciò, la mia forma principale di comunicazione… mi ha portato a riempire una quantità smodata di fogli di carta fino a quando ho capito che avrei potuto viverci. Il primo lavoretto pagato è stato quando ero alle medie, per il catalogo di una ditta. Poi ho frequentato il liceo artistico e l’Accademia di Belle Arti: durante la frequenza ho lavorato come ragazzo di bottega presso lo studio Feguagiskia di Gualtiero Schiaffino (noto disegnatore satirico, originario di Camogli, n.d.r.) dove mi sono fatto le ossa su tutto ciò che è il mondo della stampa e della tipografia. Questa è stata la mia formazione iniziale. Nel frattempo lavoravo ai miei progetti: quadri, illustrazioni, fumetti…»
Lo studio ti avrà permesso di dare forma finita alla “materia grezza” che già possedevi…
«Soprattutto ti dà gli strumenti. Per il tipo di disegno che faccio io non esiste una vera e propria scuola. Tu impari a fare gessi, disegnare nudi e nature morte, e una volta che hai queste capacità le usi, riporti le tecniche sull’immaginario che ti interessa. Devi avere anche la fortuna di trovare docenti che ti lascino libertà senza vincolarti troppo su una formazione classica».
Cosa ti dà l’ispirazione?
«Il mondo che mi circonda, ciò che quotidianamente vivo… sono queste le cose che tendo a raffigurare nei miei disegni, trasfigurate però in chiave grottesca. Insieme ad essa, tutta una serie di riferimenti culturali, dalla narrativa al fumetto, dall’arte ai cartoni animati, fa da sfondo al mio lavoro».
In cui ho visto anche una forte componente ironica…
«Sì, è quella che evita che il disegno sia una visione del mondo solamente grottesca; se vuoi, è un modo per reagire alle brutture che ci circondano, e usare questa chiave di lettura è un modo per reggerle».
Com’è la tua giornata tipo quando stai disegnando qualcosa?
«Intensa. Sia che mi dedichi a un progetto mio, sia che si tratti di un progetto per altri, mi ci butto anima e corpo. Non amo le distrazioni e mi focalizzo completamente su quello che sto facendo, che poi è anche la cosa che mi diverte di più: stare dentro al mio mondo e dimenticarmi del resto».
Hai uno stile che ormai è molto caratteristico: pensi che potrà mai subire ulteriori trasformazioni?
«Non credo affatto di essere arrivato ad un punto fermo. Il processo per elaborare uno stile è così graduale che non potrei mai dire di aver raggiunto un livello da mantenere per il resto della mia vita. È un percorso, vedo piccoli cambiamenti pian piano, ed è ciò che mi spinge a continuare».
La tua esperienza con Ceres.
«Parliamo del ’99, un amico mi aveva presentato ad un’agenzia di Genova con cui avevo provato a collaborare per una campagna contro l’abuso di sostanze, che non era andata in porto perché più che contro l’abuso sembrava pro! Poi però mi hanno ricontattato per realizzare degli storyboard per la campagna Ceres, i lavori sono piaciuti e da lì è cominciata la collaborazione».
Ricordo che il format pubblicitario comprendeva dei cartoni animati oltre ai disegni: eri tu a occuparti anche dell’animazione?
«Quando lavoro sull’animazione per clienti come Ceres, opero di concerto con il team di creativi e copywriter; si butta giù un’idea e procedo a visualizzarla, ognuno ci mette del suo e io devo costruire man mano questo mondo immaginario. Questo significa storyboard appunto, poi studio dei personaggi, studio dell’ambientazione, collaborazione con gli animatori per capire come far recitare i personaggi e come far arrivare il messaggio».
L’ambiente pubblicitario e l’ambiente della galleria, dove pure tu esponi, sono profondamente diversi. Ti danno anche una libertà differente nell’esprimerti…
«Con una mostra l’unico referente è il gallerista e la libertà diventa pressoché totale. Però in genere anche il cliente che mi viene a cercare lo fa perché pensa che il mio modo espressivo sia utile a ciò che vuole comunicare. Quindi anche in quei casi in realtà ho avuto parecchia libertà…ma forse è anche perché è ciò di cui io ho bisogno ed è quindi quello che offro. Se vuoi un Macchiavello te lo prendi così com’è, perché diversamente non potrei fare. Poi è chiaro che devi arrivare a compromessi, molte idee che suggerisci possono essere prese come scartate, ma quello fa parte della normale dinamica lavorativa».
A quali temi ti dedichi attualmente?
«Sto facendo degli studi per un libro illustrato per ragazzi, e a breve realizzerò delle pittura murarie in un locale».
Sei anche matita ufficiale dell’annuale Mostra internazionale dei Cartoonists di Rapallo (creata nel ’73 da Carlo Chendi, fumettista italiano, tra i più famosi sceneggiatori di Disney Italia). Di cosa ti occupi?
«Il contatto è arrivato tramite Fausto Oneto del ristorante “U Giancu” (a San Massimo di Rapallo), che è la mecca del fumetto. Ci conosciamo da molti anni e sono stato coinvolto nella creazione di parecchie copertine e loghi da Carlo Chendi, organizzatore della mostra ormai da circa quarant’anni (insieme al suo entourage di collaboratori tra cui Sergio Badino, altro disneyano e insegnante all’Accademia Ligustica, n.d.r.) col quale ho un rapporto di amicizia e grande stima reciproca. Il mio non è un titolo davvero ufficiale, semplicemente ho fatto talmente tanti loghi e copertine che finisco per essere definito tale».
A che pubblico ti rivolgi e quali sono i tuoi canali prediletti per arrivare al fruitore?
«Forse l’animazione è il canale più completo, che ti permette di inserire non solo il disegno, ma anche il suono e il movimento; quindi penso che sia il mezzo che mi rappresenta di più. Per quanto riguarda il pubblico, non cerco di raggiungere una fascia particolare. È il pubblico che può gradire o meno quello che faccio: per i riscontri che ho, piaccio a grandi e piccini, perché non c’è mediazione, è un linguaggio diretto. Non lavoro pensando a chi guarderà. Io lavoro, poi… fate voi!».
Ho visto opere tue coloratissime, altre completamente in bianco e nero. Se dovessi scegliere?
«Colore. Ha proprio una sua narrazione, “racconta” delle cose».
Claudia Baghino
[foto e video di Daniele Orlandi]