La poetessa libanese in visita a Genova in occasione del Festival Internazionale di Poesia
Joumana Haddad è una cittadina del mondo, poetessa del corpo, della provocazione, giornalista e scrittrice. Questa 38enne libanese dal fascino dirompente negli ultimi anni ha fatto parlare di sé. Per i suoi libri tradotti e pubblicati in tantissimi paesi (parla sette lingue, fra cui un perfetto italiano, e ha tradotto tanti autori arabi introducendoli nel mercato occidentale…) e per il suo periodico “Jasad“, trimestrale in lingua araba specializzato nel linguaggio del corpo, un atto coraggioso e rivoluzionario, un punto forte di rottura con i tanti tabu’ che oggi incatenano la cultura medio-orientale.
E’ stata uno degli ospiti d’onore della 15esima edizione del Festival Internazionale di Poesia di Genova, un soggiorno breve nella nostra citta’ e poi nuovamente in viaggio…
La tua arte e la tua vita hanno come comune denominatore proprio il viaggio. In apertura abbiamo provato a trattare questo tema da piu’ punti di vista, giacche’ oggi scoprire e conoscere il mondo non e’ piu’ un privilegio per pochi e nuovi flussi migratori trasformeranno molte zone del Pianeta. Come viene vissuto tutto cio’ nel “distante” Medio Oriente?
Eh si, io sono perennemente in viaggio e non mi stanco mai, viaggiare e vivere per me sono sinonimi… E’ vero che la voglia di conoscere ed esplorare oggi e’ fortemente radicata nell’essere umano, molto piu’ che in passato, in Oriente come in Occidente, ma a prescindere dal desiderio, nel mondo arabo e’ inevitabile scontrarsi con quelle che sono le concrete possibilita’, ovvero la realta’ dei fatti. In Libano le frontiere sono aperte, ma nel resto del Medio Oriente la situazione e’ diversa. Partire significa quasi sempre non poter piu’ tornare, perche’ la pena e’ il carcere. A voi puo’ sembrare assurdo, lo so, ma e’ la realta’. Quindi quello che per molti occidentali e’ desiderio di una nuova esperienza, esplorazione di se’ e ricerca di stimoli diversi, per la gente che nasce e vive magari in Siria, Palestina, Iran o Iraq si chiama sogno di una vita migliore, dal punto di vista economico, sociale e politico.
Sei rimasta solo qualche giorno a Genova… Che impressione ti ha fatto la citta’?
Sono rimasta troppo poco per farmi un’idea, avrei voluto visitare il centro storico ma alla fine non ce l’ho fatta. Credo pero’ di aver ben compreso l’animo dei genovesi… Gli occhi sono quelli della gente di mare, gli stessi che trovo ad esempio a Beirut, la mia citta’, anche lei bagnata dal Mediterraneo. Io penso che il mare segni nel profondo e allo stesso identico modo l’animo di tutti i popoli che su di esso affacciano.
Veniamo alla tua rivista… “Jasad”, che significa “corpo”. Scrittori e artisti per lo piu’ arabi, senza pseudonimi, trattano con disinvoltura tematiche legate al sesso e alla poetica del corpo, un’impresa a dir poco coraggiosa in Medio-Oriente…
Jasad e’ un progetto che sentivo di dover realizzare. Le polemiche e le grida allo scandalo sono ovviamente state tantissime, ma ho ricevuto anche molti segnali di approvazione. Il tema di rilievo della rivista e’ la dimensione sessuale del corpo, ma non c’e’ ovviamente solo questo. Arti, letteratura e scienze del corpo… un territorio vastissimo profondamente radicato nella cultura araba, ancora piu’ che in quella occidentale, eppure in molti se lo sono dimenticati. Oggi nelle nostre regioni il corpo umano, il sesso e l’erotismo sono diventati tabu’. “Jasad”, semplicemente, questo non lo vuole accettare.
I corpi nudi femminili e i racconti erotici di “Jasad”, contrapposti ad una cultura che relega le donne in secondo piano, in alcune regioni costrette a condizioni di schiavitu’ per tutta la vita… Quante di loro pensi siano consapevoli della violenza che subiscono e quante, invece, considerano tutto cio’ la “normalita’”?
In Libano ci sono donne con il velo e donne che non lo indossano, la scelta e’ fortunatamente, nella maggior parte dei casi, libera. E’ intorno ai confini del Libano, invece, che la situazione diventa tragica. Io, e in questo momento parlo in quanto essere umano, non solo come donna araba, vivo questa realta’ come un insulto, un’umiliazione. Ci sono donne arabe ben consapevoli dei soprusi subiti, ma pur potendo farlo, non muovono un dito per cambiare la propria situazione. Ci sono quelle consapevoli che pero’ non possono fare nulla per cambiare le cose, perche’ minacciate o controllate e infine quelle che non si rendono conto di vivere in condizioni atroci. Queste sono coloro che hanno subito veri e propri lavaggi del cervello fino ad autoconvincersi che si tratti di una loro scelta. E’ in queste donne che si nasconde il vero rischio di non vedere mai un cambiamento. Ma di una cosa, piu’ di ogni altra, proprio non riesco a capacitarmi: le donne arabe consapevoli di quello che subiscono non si rendono conto di avere fra le mani l’arma piu’ potente di tutte, ovvero la maternita’. Queste madri di futuri uomini arabi, fanno crescere i propri bimbi con i “valori” distorti del padre o del fratello, pur sapendo che si tratta di un errore madornale. Mi sento di dire, tuttavia, che di soprusi nei confronti delle donne io ne ho visti anche qui in Italia, e non meno gravi. Mi riferisco ai pezzi di carne vestiti da donna della vostra televisione, io credo che la differenza sia sottile, e cio’ dovrebbe farvi riflettere…
Come ha reagito il mondo arabo alla vittoria elettorale di Obama?
Obama ha rappresentato e rappresenta per la maggior parte del mondo arabo una speranza che prima era totalmente scomparsa. Ovvero quella di trovare finalmente un contatto con l’occidente, un punto d’incontro. Io sono ottimista su un progressivo riavvicinamento dei due mondi, oggi ancora cosi’ distanti, e come me sono ottimisti tantissimi arabi, gli estremisti sono davvero una minoranza. Credo che ci vorra’ molto tempo, indubbio, ma le possibilita’ esistono, ne sono convinta.
Gabriele Serpe