In questi giorni si è molto parlato di legittima difesa, ma qual è il quadro normativo oggi vigente? E' davvero necessario allargare le maglie della legge? Ci fornisce tutti gli spunti di riflessione la nostra Sara Garaventa
A Lodi un uomo è stato ucciso con un colpo alla schiena a seguito di una rapina in un ristorante. Questo è l’ultimo caso di cronaca a tema legittima difesa che viene riportato dai mass media al fine di veicolare l’attenzione su questo istituto giuridico, già oggetto di riforma ad opera del governo con la legge del 13 febbraio 2006, n. 59.
Non è intenzione di chi scrive prendere una posizione di natura politica (scelta che spetta al legislatore), ma piuttosto fornire strumenti nozionistici necessari alla comprensione di quando la scriminante della legittima difesa può essere invocata nelle ipotesi di omicidio. In altre parole, nella nota vicenda del lodigiano, è giusto invocare la legittima difesa? Nell’analisi che segue ci soffermeremo unicamente sulla cd. legittima difesa domiciliare prevista dal comma 2 dell’art. 52 c.p., in quanto oggetto sicuramente di maggior interesse proprio per la sua attualità e applicazione dei casi riportati dalla cronaca.
La legittima difesa prevista dal comma secondo dell’art 52 c.p. scrimina (ovvero il soggetto non è punibile con una sanzione penale) colui che, ad esempio, uccide un ladro che si introduce nella propria abitazione, qualora vi siano alcune condizioni oggettive, che di seguito si spiegano. L’azione difensiva, innanzitutto, deve essere rivolta contro un soggetto che ha commesso una violazione di domicilio. Ciò significa che il ladro si è introdotto nell’abitazione altrui ovvero nel luogo dove viene svolta un’attività commerciale, professionale o imprenditoriale, senza che vi fosse il consenso del soggetto che ha il diritto di escluderlo (l’imprenditore, il commerciante, il professionista).
Il secondo requisito per applicare la scriminante in oggetto è che l’autore della difesa, rectius l’aggredito, abbia posto in essere l’offesa con un arma legittimamente detenuta. A sommesso avviso di chi scrive, questo requisito viene sempre poco evidenziato dalla cronaca giudiziaria, nonostante sia un elemento fondamentale per riconoscere la legittima difesa. È necessario infatti che il soggetto che pone in essere una difesa, ad esempio con una pistola, abbia ottenuto il porto d’armi regolarmente ai fini della difesa personale. Inoltre la norma in esame, a differenza della “legittima difesa classica” prevista dal primo comma dell’art 52 c.p. (ovvero quando l’azione difensiva non avvenga nelle circostanze indicate nell’art. 614 c.p.), non richiede che vi sia un rapporto di proporzione tra difesa e offesa, in quanto ciò si ritiene presunto (elemento che era stato oggetto di forte scontro a seguito dell’introduzione del comma secondo nel 2006, sollevando anche dubbi di natura costituzionale, ad oggi superati).
Sono due gli ulteriori requisiti previsti dalla norma: il pericolo di un offesa ingiusta e la necessità della reazione. Per quanto concerne il primo requisito, appare pacifico, sempre nel caso del ladro che entra in un esercizio commerciale ovvero in un abitazione, che vi sia il requisito del pericolo di un offesa ingiusta in quanto l’offesa si identifica con l’aggressione all’appartamento o al negozio della vittima assalito dal ladro.
La necessità invece dell’intervento comporta qualche valutazione ulteriore, in quanto deve essere valutata l’inevitabilità della condotta e dell’uso dell’arma, come unica condotta possibile, non essendovi un altra condotta alternativa lecita o comunque meno lesiva. Sempre per riportare queste nozioni al caso concreto, bisogna verificare se il proprietario del negozio o dell’appartamento assalito dal ladro, ha usato l’arma in quanto unica condotta possibile.
Ma non è tutto, affinché venga riconosciuta la legittima difesa in ipotesi di omicidio dalla Corte d’Assise (organo competente a giudicare tale reato), è necessario altresì che l’aggressore persista nella propria condotta (tecnicamente, non vi sia desistenza) e che vi sia un pericolo di aggressione per l’aggredito. Se per la desistenza non vi sono problemi interpretativi, sul pericolo di aggressione, è bene fare una precisazione. Il pericolo di aggressione deve essere identificato in una probabilità che vi sia un evento lesivo, quale evento morte ovvero lesioni nei confronti dell’aggredito. L’aggredito pertanto deve valutare se vi sia un pericolo per la propria incolumità (pericolo imminente) e a quella dei suoi familiari.
Orbene, il ladro, introdotto nell’esercizio commerciale o in casa, avrebbe con ogni probabilità, con rilevante possibilità, aggredito beni quali incolumità fisica e la vita dell’aggredito e dei suoi familiari? Ed è su questo elemento che si gioca la partita nelle aule di giustizia.
Perché non è sufficiente la mera convinzione dell’aggredito di trovarsi in una situazione di pericolo, ma è necessario che vi siano degli elementi oggettivi e concreti che lo hanno portato a ritenere con rilevante possibilità che ci sarebbe stata un aggressione all’incolumità fisica. Ad esempio, il numero dei ladri o le armi in loro possesso. Noi avvocati, nel difendere i nostri clienti abbiamo sempre il paracadute dell’eccesso colposo nella causa di giustificazione ex art 55 c.p., che in buona sostanza trasforma l’omicidio volontario in omicidio colposo, con la conseguente e consistente diminuzione di pena.
Ma qui la questione è un’altra: capire se scriminare la condotta dell’aggredito per la sussistenza della legittima difesa, che verrà riconosciuta solo se vi sono tutti i requisiti prima elencati. Non è dato sapere se vi saranno nuove modifiche legislative alla legittima difesa, tali da ampliare le maglie dell’art 52 c.p., anche in seguito all’incontro del 25 aprile scorso promosso dalla Lega nord a Verona, al quale ha partecipato anche l’assessore allo sviluppo economico della giunta Toti, Edoardo Rixi.
Sara Garaventa