Ci vorranno almeno due anni per leggere le prime sentenze per il nuovo reato di omicidio stradale. Ma la riforma era attesa da molto tempo e merita di essere approfondita con la giusta attenzione. Ecco che cosa si rischia
Quanti di noi si sono svegliati nei fine settimana e, una volta accesa la televisione, la radio, oppure lette le cronache dei quotidiani, hanno avuto notizia delle cosiddette stragi del sabato sera? Chi non ha memoria degli incidenti causati dai pirati della strada che uccidono e scappano, impedendo così di dare un volto al colpevole a una morta ingiusta? Domanda retorica alla quale il legislatore penale, nel marzo scorso, ha cercato di dare una risposta. Risposta doverosa nei confronti di una società comprensibilmente sconfortata da pene esigue e scarcerazioni lampo.
Ebbene, appare opportuno chiarire quali siano le reali novità rispetto al passato, senza entrare nei tecnicismi giuridici e nelle problematiche applicative che questo “nuovo” reato comporterà nei singoli casi posti all’attenzione della magistratura.
Prima della riforma legislativa, la norma che veniva applicata nei casi di quello che oggi viene chiamato omicidio stradale era l’articolo 589 comma 2 del Codice penale (omicidio colposo), secondo cui “se il fatto – causare la morte per colpa di una persona – è commesso con la violazione delle norme della circolazione stradale, la pena della reclusione è da 2 a 7 anni”.
Oggi la norma applicabile è più complessa. La riforma ha previsto pene di entità diversa in ragione della violazione della norma cautelare prevista dal codice della strada, le regole cioè che sono imposte dal codice della strada e che non dovrebbero essere violate.
Facciamo un po’ di chiarezza e, schematicamente, indichiamo le singole ipotesi previste dal legislatore.
L’ art. 589 bis c.p., comma 1 punisce la condotta di chi “cagioni per colpa la morte di una persona con la violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale con la reclusione da 2 a 7 anni”. Fin qui, tutto uguale. Ma successivamente, ai commi 2 e 3 dello stesso articolo, si prevede una pena ben più elevata se il soggetto che ha agito è alla guida di un veicolo “in stato di ebbrezza alcolica maggiore ad 1.5.g/l o di alterazione psicofisica conseguente all’assunzione di sostanze stupefacenti” e se il conducente alla guida di veicoli speciali, come i mezzi di trasposto per persone o cose, “si trovi in stato di ebbrezza alcolica compresa tra 0,8 g/l e non superiore a 1,5 g/l” e venga cagionata per colpa la morte di una persona. In questi casi la pena prevista è della reclusione da 8 ad un massimo di 12 anni.
Rischia, invece, dai 5 ai 10 anni di carcere chi viene colto alla guida con un tasso alcolemico tra 0,8 e 1,5 g/l, passa col semaforo rosso, circola contromano o non rispetta i seguenti limiti: 70 km/h o il doppio del limite previsto in centro città; 50 km/h oltre il limite per le strade extraurbane.
In aggiunta sono previste delle aggravanti se il soggetto alla giuda del veicolo non sia in possesso della patente di guida, ovvero sia questa sospesa o revocata, oppure qualora il veicolo non sia assicurato.
Questo il complesso scenario nelle ipotesi di omicidio stradale. Ad oggi è prematuro fare un bilancio sulle conseguenze concrete della norma in esame, in base anche alla sua applicazione che certo è l’aspetto che più interessa l’opinione pubblica. Le prime pronunce dei giudici di primo grado ci saranno tra un paio di anni e ci sarà da attendere almeno il doppio per le decisioni della Suprema Corte di Cassazione. Ai posteri l’ardua sentenza.
Sara Garaventa