Presso la libreria Feltrinelli di Genova Paolo Rossi e Carolina de La Calle discutono del futuro del teatro
Luogo: Feltrinelli di Genova. Motivo: presentazione de La commedia e’ finita, conversazione surreale di e tra Carolina de la Calle, regista spagnola (che dal 2008 lavora con Rossi nella compagnia teatrale BabyGang), e l’attore borderline Paolo Rossi su riflessioni e migliorie da apportare ad un teatro in bilico come un funambulo, perennemente in crisi e sull’orlo del fallimento. Ma queste avversita’ lo portano a dover essere vitale, eclettico, innovativo… Attributi perfetti anche per i nostri due eroi!
La commedia e’ finita. Perche’ questo titolo? Ha molti significati, tra cui: basta, non prendiamoci in giro e iniziamo a fare sul serio.
Come vedi il futuro del teatro? Io confido nel teatro. Ha piu’ speranze il teatro, nel suo continuo rinnovarsi, che le sei/sette vecchie reti televisive. Sono un mezzo immobile, morto, destinato a finire.
Nel libro parlate di teatro pop: in cosa consiste davvero? (P) E’ un genere che ruba un po’ da tutto. Io ho seguito il metodo di Dario Fo: “rubare, in teatro, e’ cosa buona. Copiare e’ da coglioni”. L’importante nell’essere pop e’ mischiare bene le carte. L’artista-ladro ruba ai falsi colti per regalare agli ignoranti incoscienti come lui. (C) Inoltre per noi significa riuscire a rivolgersi al popolo e non a quello che sta a casa con il telecomando. (P) Anche se qualcuno e’ riuscito a togliere il potere al popolo trasformandolo in pubblico, avendo capito che la gente perdona molto di piu’ agli attori che ai primi ministri.. Cosi’ i primi ministri sono diventati ottimi attori!
E qui arriviamo a un tema che ti e’ caro: l’attacco al potere; come credi che si possa combattere il potere attraverso l’arte? (P) Se io facessi un monologo sui precari guadagnerei molto, riceverei molti complimenti ma non cambierebbe niente. E’ lavorando con i precari che io provo a modificare le cose. I cambiamenti avvengono se fatti collettivamente, non attraverso il televoto.
(C) Io non so se il problema sia il potere, ma so che ogni giorno perdi un sacco di tempo a informarti sui tagli all’ente dello spettacolo, ti ricoglionisci e perdi talento. La nostra generazione di artisti si sta perdendo nelle anticamere dei ministeri. Non bisogna scendere nelle piazze ma salire negli uffici e discutere insieme i bilanci.
(P) Questa si chiama insurrezione… (ride)
Nel libro parlate di giovani. Paolo, com’e’ lavorare con loro? La verita’ e’ che loro sono piu’ rigorosi. E sono cosi’ perche’ hanno fame. Questo e’ uno dei tanti motivi per cui preferisco lavorare con loro.
Che maestro sei? Io mi definisco un ancie’n prodige (ride), non un maestro. Per un periodo della mia vita ho fatto il genio e sregolatezza. Ma poi, se sopravvivi, per rimanere te stesso devi cambiare tutto. E rifare meglio quello che facevi agli inizi. Se sono un maestro e’ solo perche’ mi piace condividere quello che so; mi diverte.
Carolina tu dici che i ragazzi non vogliono rubare il posto ai piu’ anziani, ma sedersi a tavola con loro. Ma se questa tavola sembra essere stretta gia’ senza di loro, come possono fare i giovani per farsi posto? Le idee scarseggiano. I giovani che hanno un’idea devono tenersela stretta in maniera tale da rendersi indispensabili. Non c’e’ altra soluzione.
Capito ragazzi? Non prendiamoci in giro. La commedia e’ finita. Andate in pace. Amen…
Germano Monetti