L'artista genovese racconta le sue opere essenziali e armoniche, realizzate con l'utilizzo di materiali non convenzionali come stucco, plastica e legno grazie alla tecnica dell’alto rilievo
Sandra Levaggi, classe 1955, è una pittrice genovese autodidatta in bilico tra forte realismo e impronta metafisica, una donna piena di energia capace di raccontare le proprie opere con passione ma anche con un certo distacco, tipico di chi non ama incensarsi.
La incontriamo in un luogo fuori dagli schemi ordinari della cultura genovese, una mostra ospitata presso lo studio Elseco – corporate & tax consulting del dottore commercialista Giancarlo Pau e curata da Paolo Basso: «Un buon modo per avvicinare e coniugare due mondi lontani anni luce ma che in realtà hanno più di un punto in comune», ci racconta Pau, che si augura di ospitare in futuro altre esposizioni artistiche trasferendo anche a Genova una pratica già molto diffusa nel resto d’Italia, cioè quella delle mostre d’arte in luogi insoliti.
Le opere di Sandra Levaggi sono esposte in tutte le belle stanze dello studio Elseco di via Venti Settembre 8: le immagini essenziali e armoniche, i colori tenuti, la calma apparente, nascondono dopo un’osservazione più approfondita prospettive inaspettate, anche grazie all’utilizzo di materiali non convenzionali all’interno delle opere stesse come stucco, plastica, legno, metalli. La ‘pittoscultrice‘ propone un’immagine che sembra vuota ma sempre suggestiva, all’osservatore il compito di riempirla e attribuirle un significato.
«La pittura è stata la mia passione fin da bambina nonostante gli studi tecnici che ho condotto, ben lontani dall’arte, e l’avversità dei miei genitori, che vedevano l’arte come un hobby più che come una prospettiva futura di vita. Inizialmente ero innamorata degli impressionisti, Monet, Van Gogh, Degas. Mi sono avvicinata alla tecnica pittorica riproducendo i quadri di Gauguin per accontentare le richieste di amici che apprezzavano le mie capacità».
La tua arte è però molto distante da quella degli impressionisti…
«La rottura con l’impressionismo è avvenuta, inaspettatamente, quando ho visitato il Museo D’Orsay a Parigi. Un luogo incredibile, un’emozione fortissima, finalmente potevo ammirare da vicino le opere immense di questi pittori che da sempre mi appassionavano. Ma dopo la full immersion parigina, ho aperto gli occhi e ho avvertito che l’impressionismo, pur amandolo alla follia, non rappresentava quello che volevo esprimere con i miei quadri, non era la tecnica adatta a me. Da lì in poi ho iniziato a sperimentare cercando un mio percorso artistico e la mia ispirazione, fino ad arrivare alla tecnica pittorica attuale, molto legata alla materia e più vicina all’essenzialismo. Utilizzo dei colori acrilici e nei miei quadri inserisco materiali differenti, spesso di recupero, stucco, plastica, legno, metalli, grazie alla tecnica dell’alto rilievo».
Osservando le tue opere, che tu inviti a ‘toccare’, non ci si accorge quasi della presenza di materiali non convenzionali, la loro percezione ad una prima vista è minima…
«Inizialmente utilizzavo più materiali, erano molto invasivi ed erano sempre molto evidenti anche a un primo sguardo. Dopo varie sperimentazioni però, ho deciso di prendere un’altra direzione, di rendere i quadri sempre più essenziali, utilizzandoli per dare prospettive particolari o evidenziare alcune caratteristiche dell’opera. Ho sperimentato molti materiali, poi ho trovato uno stucco capace di regalare allo sguardo quella tridimensionalità e quella prospettiva che cercavo da tempo. L’obiettivo è proprio quello di coinvolgere e incuriosire l’osservatore dell’opera, attrarlo e toccare il quadro per capire da dove provengono quelle proporzioni. Proprio per questo consiglio sempre di toccare i miei quadri».
Sono i materiali a ispirare le tue opere o li scegli solo dopo aver trovato l’idea giusta per il quadro?
«Non c’è uno schema preciso, dipende dalle situazioni. È capitato in più occasioni di trovare un materiale particolarmente ispiratore e di costruirci attorno un quadro. Ma capita anche spesso che le idee per le mie nuove opere arrivino prima dei materiali, grazie a una percezione personale, una fotografia, un quadro, un paesaggio o un panorama a cui ispirarmi».
I tuoi quadri sono essenziali, l’inquadratura è centrale, i colori sono quasi sempre tenui e regna un certo ordine. Inoltre si nota la mancanza del soggetto umano…
«Mi piacciono i paesaggi essenziali, nei miei quadri preferisco che emerga l’essere non l’avere. L’essenzialità deve essere il punto di partenza per osservare le cose. I colori che utilizzo sono tenui, qualcuno mi fa notare che le mie opere sono spesso cupe e trasmettono un certo pessimismo, ma io non mi ritrovo in questa veste, anzi, molte mie opere possono essere lette anche con una visione ottimistica. D’altronde tutte le esperienze negative della mia vita mi hanno portata a creare qualcosa di artistico e sono servite. La figura umana invece è assente per una scelta precisa, sono delusa dal genere umano, non mi interessa rappresentarlo nei miei quadri. Preferisco lasciare degli indizi sul passaggio dell’uomo, piccoli particolari che rivelano una presenza umana passata poco prima del ‘fermo immagine’ del mio quadro».
Manuela Stella e Marco Brancato