Il mega evento di Costa Crociere è stato un rituale di dissociazione psicopatologica collettiva
Le immagini di sabato scorso galleggeranno per molto tempo nelle acque inquiete della memoria contemporanea di Genova: migliaia di persone in coda ore per compiere il rituale collettivo di partecipare ad un evento unico e forse irripetibile. Poco importa se di per sé il tutto non era all’altezza delle aspettative, la cosa che ha funzionato egregiamente è stato lo “specchietto”. E questo evidentemente bastava.
L’evento pop ha riempito Genova, dissociandola da se stessa, o per lo meno con una parte di città che da anni si riempie la testa e la bocca di parole come decoro, lotta al degrado, ordine e pulizia. Perché quello che si è visto in piazza sabato era la cosa più lontana dal decoro nel comune senso “social” del termine.
Gente ammassata sotto il sole, organizzatori che svuotano bottigliette d’acqua sulla testa di bambini assolati, decine di svenimenti. E poi gente che fa il bagno nel fontanone, bidoni stracarichi di spazzatura, resti di cibo ovunque, e ovunque persone che bivaccano. Senza dimenticare il rumore fino a tarda notte, i cori, l’alcool che scorreva a fiumi, grazie anche alla sospensione ad hoc dell’ordinanza. Insomma materiale che in altre circostanze riempirebbe le bacheche di gruppi social e i consigli comunali.
Ma l’evento di per sé ha messo in moto meccanismi “normali”, per la dimensione che ha assunto, come molti altri eventi del genere: certo, l’organizzazione era tutt’altro che perfetta, e soprattutto l’attrazione principale, cioè lo scivolone, era un “pacco colossale”, visto che dei 340 metri di percorso, solo i primi 30 metri erano “scivolabili”, poi tutti a piedi. Se si va ad un qualunque concerto di una certa dimensione, ad una sagra, una notte bianca si vedono le stesse dinamiche. Nulla di nuovo.
E quindi dove sta il problema? Nella testa dei genovesi e nei colori delle cose. E anche nel valore economico, o meglio, nel volume “del grano” degli attori in commedia. Il “barbone” che si lava nella fontanella è degrado, gli idranti a De Ferrari per rinfrescare la folla è divertimento e marketing territoriale
E quindi dove sta il problema? Nella testa dei genovesi e nei colori delle cose. E anche nel valore economico, o meglio, nel volume “del grano” degli attori in commedia. Il “barbone” che si lava nella fontanella è degrado, gli idranti a De Ferrari per rinfrescare la folla è divertimento e marketing territoriale. Il povero fa brutto, e lo straniero dalla pelle scura pure (e spesso le cose vanno insieme), il popolo in coda per il “circo” offerto sua grazia dal mega sponsor di turno fa “finalmente succede qualcosa a Genova”.
Vero, a Genova sta sicuramente succedendo qualcosa, ed è la distrazione epigenetica dei genovesi: in nome della difesa di una città certamente in difficoltà, meccanismi e valori direttamente collegabili al razzismo e alla discriminazione sono diventati pane quotidiano del dibattito pubblico, travisati come soluzione per una realtà avvilente per molti.
Il problema è che è sbagliato l’obiettivo: mentre mettiamo i dissuasori anti seduta, come si fa con i piccioni, i “soliti noti” si spartiscono gli spazi produttivi della nostra città, facendo cadere la giusta quantità di briciole per giustificare le necessità pubblica di scelte la cui finalità non è il benessere di lungo periodo della città. Ma il loro, come ovvio che sia, e come è sempre stato.
In questo la discontinuità politica non si vede affatto. Lo scivolo culturale ed economico su cui è Genova funziona benissimo. L’atterraggio non sarà morbido.
Nicola Giordanella