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Stefania Chessa, blogger e scrittrice genovese. Il suo blog si chiama "Zollette di Yogurt", ha partecipato alla rubrica Videoscrittori con un racconto intitolato "300 sigarette"
Stefania Chessa, blogger e scrittrice genovese. Il suo blog si chiama “Zollette di Yogurt“, ha partecipato alla rubrica Videoscrittori e ci è venuta a trovare in redazione.
Dal tuo racconto esce forte e nitido il tema del distacco come lacerazione e poi la rinascita…
«E il tempo che cura… Il tempo può trasformare la lacerazione in una sensazione più sana e consapevole e favorisce il distacco dalle cose fondamentale per andare avanti».
Cosa c’è in mezzo, fra ieri e domani…?
«Ci sei tu. Aggrapparsi a cose esterne può essere pericoloso. Io credo ci sia la propria forza e il lavoro che si trasformerà in futuro».
E la scrittura in questo che ruolo può avere?
«La scrittura è anche isolamento e la solitudine non è semplice, ma allo stesso tempo ti da la possibilità di vomitere il dolore che hai dentro…»
Però tu non scrivi solo per vomitare…
«No certo, scrivo anche per ironizzare su me stessa. So anche essere più leggera, ma il sottofondo di riflessione non manca anche quando si affrontano temi come evasione e divertimento».
a cura di Marcello Cantoni
The objects in the mirror are closer than they appear.
Gli oggetti nello specchietto sono più vicini di quanto appaiano.
Sono in macchina da un’ora, ho fumato trecento sigarette e ancora non so dove sto andando, sto girando su me stessa materialmente, ricopiando con queste quattro ruote scassate le traiettorie imprevedibili dei miei pensieri.
E’ tornato ed io sono scappata via come una bambina impaurita.
Prima però sono andata in bagno a vomitare la cena di ieri sera.
Uno dovrebbe annunciarsi prima di arrivare così, almeno io — come dice la volpe ne “Il piccolo principe” — io mi sarei preparata il cuore o, per meglio dire, il cuore e lo stomaco.
Invece non ero pronta e ho vomitato l’anima.
Il passato quando si avvicina fa scattare meccanismi che mi proiettano paradossalmente nel futuro, così ho cominciato a chiedermi: “E ora, che ne sarà di me? Cosa farò? Cosa faremo?”
Poi sono scattate anche tutte le altre mie serrature, prima di tutto quella dell’autodifesa e quella dell’autoconservazione, perché chi torna a volte, torna solo per finire il lavoro che ha lasciato a metà. E se quel lavoro era distruggerti, bè non c’è da rallegrarsi.
Così me ne sono stata chiusa nel mio bagno, seduta in terra con la testa appoggiata alla tazza, ad aspettare che lui se ne andasse, incurante delle sue parole che cercavano di convincermi di uscire dal mio rifugio. Quella voce non era più quella che ricordavo, e non poteva essere soltanto perché l’ascoltavo filtrata da una porta di legno chiusa a doppia mandata, ma perché non la riconoscevo più, così radicata in un passato che non mi assomigliava più. Ma, come mi ricorda anche la mia povera, scassatissima automobile, “the objects in the mirror are closer than they appear”.
Finché vivevo nel passato, sospesa nel ricordo di cui sentivo ancora l’odore e i sapori, non riuscivo a sopportare le pugnalate prese ascoltando le sue assurde spiegazioni sul perché lasciava la nostra casa. Quando poi ho scoperto che quelle costruzioni demenziali altro non erano che il suo modo di nascondere il più banale e scontato dei motivi, un tradimento, il dolore ha cambiato traiettoria, passando da un picco acuto ad una curva bassa, silenziosa, scemando fino a diventare piccolo piccolo col passare dei mesi.
Il potere del tempo che passa svela la mediocrità delle cose accadute e i due concetti insieme rendono più facile il guardare avanti.
Ridendo e scherzando mi sono buttata in autostrada, e ancora non so dove sto andando. A casa rientrerò più tardi, faccio passare un po’ di tempo sperando che lui, prima o poi si stufi di stare seduto da solo sul mio divano ad aspettarmi — è lì che l’ho lasciato — e che decida di tornare dalla sua donna, o da quello da cui vorrà tornare. Io di sicuro non tornerò da lui.
Guardo nello specchietto retrovisore, metto la freccia a sinistra e accelero che qui c’è tanta strada da fare.