La nostra rubrica "Nuovi Genovesi" ci porta a conoscere Maria Del Rosario Morla Crespin, revisore contabile con una dote innata per la scrittura creativa, tanto da aver vinto un premio a Cantù per il suo, al momento, unico racconto ufficiale, di stampo autobiografico
La nuova genovese che abbiamo incontrato questa volta è Maria Del Rosario Morla Crespin, nata in Ecuador nel 1970 e arrivata in Italia dal 1999 con in tasca una laurea in economia e commercio e la qualifica di revisore contabile. Attualmente lavora in un centro di elaborazione dati e ricopre il ruolo di tesoriera del Coordinamento Ligure Donne Latinoamericane (Colidolat).
Nella sua storia abbiamo trovato alcuni aspetti che la accomunano ad altre persone, la difficoltà per ottenere il riconoscimento dei titoli accademici e professionali acquisiti nel paese di origine, una lunga esperienza di lavoro nelle case come assistente familiare, e un incontro, inaspettato e felice, con la scrittura creativa.
E’ una storia esemplare di come quella che viene definita “migrazione economica” abbia la possibilità non solo di andare a buon fine, ma anche, in qualche caso, liberare delle potenzialità inespresse delle persone.
Maria Del Rosario Morla Crespin è l’autrice di un racconto vincitore di un concorso letterario del 2013, il “Premio Città di Cantù Suor Rita Borghi” riservato a persone di origine straniera che scrivono in lingua italiana. Il suo racconto “Per non saper cucinare….” in parte ispirato alla sua esperienza di lavoro nelle case come assistente familiare, è un delicato affresco dello spaesamento di Solidad, una donna immigrata che si trova quotidianamente di fronte a piccole incomprensioni linguistiche e culturali, dagli errori della lista della spesa alla “misteriosa” differenza fra basilico D.O.P. e basilico normale, alla relazione professionale con un uomo relativamente anziano in stato depressivo, una situazione per lei completamente nuova.
Nel racconto emerge lo scambio reciproco di sensazioni ed esperienze tra Solidad e la persona che è incaricata di assistere, che proprio dall’incapacità di Solidad nella cucina trarrà la forza per intervenire in prima persona nella preparazione dei piatti e cercare in seguito di riprendere in mano la propria vita.
Il racconto di Maria ci introduce quindi nell’interessante mondo della cosiddetta letteratura della migrazione.
Per letteratura della migrazione si intende la produzione degli autori stranieri che scelgono la lingua del paese di arrivo come canale di espressione letteraria, caratterizzata in genere da numerosi spunti autobiografici legati all’esperienza migratoria. Le prime opere sono comparse in Italia nel 1990 con l’uscita di libri e racconti scritti a volte a quattro mani da immigrati e giornalisti o scrittori italiani: Immigrato di Mario Fortunato e Salah Methnani e Io venditore di elefanti di Pap Khouma. La letteratura della migrazione nel corso degli anni si è ritagliata un’interessante nicchia di mercato, con le sue case editrici e i suoi festival, e ha raccontato con grazia, fantasia e autoironia i temi del viaggio, della partenza e del distacco, lo spaesamento del migrante, le grandi e piccole forme di conflittualità “interculturale”, la dimensione quotidiana della vita delle persone di origine straniera che vivono nelle nostre città.
Molti dei contenuti caratteristici di queste opere, in realtà sono temi e archetipi da sempre presenti nella produzione letteraria.
Alcuni degli autori, infatti, criticano la definizione di letteratura della migrazione (e scrittore migrante) ritenendo che sia ghettizzante, che comporti un’attenzione prevalente sulla biografia dell’autore piuttosto che sui contenuti e lo stile del testo e che la sua diffusione sia attualmente determinata soprattutto da ragioni di marketing.
L’obiezione non è infondata: è così scontato che uno scrittore di origine straniera debba produrre per forza “letteratura della migrazione”? La sua opera non può essere considerata letteratura tout court? In realtà si può individuare una differenza tra una produzione iniziale, dove prevalevano gli elementi autobiografici, di denuncia o testimonianza e una attuale dove prevalgono gli aspetti creativi e personali della scrittura. Il genere letterario di per sé è una costrizione, come ogni classificazione, ma in realtà molte opere considerate di genere pur rispettandone i canoni formali lo trascendono esprimendo estetiche, idee e contenuti più personali. Un caso da manuale è l’utilizzo che molti autori fanno del genere giallo o poliziesco, uno dei più fortunati sul mercato letterario, nel quale delitti e indagini possono facilmente diventare metafore per raccontare anche altro. Lo stesso fenomeno può accadere con la letteratura della migrazione, nella quale gli autori possono scompaginare le carte e raccontare la nostra società, quella del paese di arrivo, con uno sguardo nuovo, con uno salutare straniamento che ci può aiutare a metterne in luce le contraddizioni interne senza per questo fare necessariamente autobiografia. Gli scrittori di origine straniera che scrivono in lingua italiana non necessariamente quindi devono essere definiti “scrittori migranti” o parlare solo della propria esperienza. E’ però innegabile che quasi tutte queste opere, oltre ad avere in sé valenze squisitamente letterarie ed estetiche, risultino preziose per leggere le trasformazioni della società italiana negli ultimi 20-25 anni e il suo controverso rapporto con i nuovi cittadini. La produzione in una lingua diversa dalla lingua madre determina inoltre la scrittura in un italiano non standard, vitale e creativo, contaminato con altre esperienze linguistiche.
Gli autori di origine straniera che scrivono in italiano hanno raggiunto oggi un numero apprezzabile, in particolare in alcune regioni come Lazio, Piemonte e Lombardia. In Liguria, invece, le esperienze di autori stranieri attivi nella letteratura sono molto rare.
Dall’intervista con Maria, che è anche una forte lettrice e apprezza alcune autrici la cui opera è generalmente inscritta in questo genere, abbiamo avuto l’occasione di conoscere l’opinione di una persona che si è avvicinata alla letteratura della migrazione sia come lettrice che, per ora incidentalmente, come autrice. Il suo racconto, ricco di venature autobiografiche e incentrato sull’esperienza del lavoro nelle case, affronta diversi argomenti che si ritrovano in molti libri di scrittori italiani di madrelingua straniera.
In che anno sei arrivata in Italia? Hai iniziato subito a lavorare nel settore per il quale hai studiato in Ecuador?
«Sono nata in Ecuador, a Guayaquil. In Italia ho deciso di venire nel 1999 per la particolare situazione economica in cui versava la mia famiglia: siamo otto sorelle più molti nipoti e allora io ero una delle sorelle non sposate, anche per per questo ho deciso di emigrare in Italia, non dovevo lasciare un marito o dei figli. La prima città in cui sono stata è Torino, ero assieme a un’amica. Là non ho trovato nessun lavoro né nessuna persona che conoscevo, e così, dopo un periodo a Milano, sono venuta a Genova, dove già abitavano alcune persone conosciute in Ecuador. Per diversi anni ho lavorato nelle case, come addetta alle pulizie. In Ecuador ero laureata in Economia e Commercio (con la qualifica di revisore contabile) ed avevo anche il titolo di insegnante per bambini. Dopo qualche anno ho iniziato a frequentare corsi finanziati dall’Ue e a interessarmi per il riconoscimento della laurea».
In Italia hai dovuto riprendere anche parzialmente gli studi universitari? Com’è stato il percorso per il riconoscimento degli studi?
«Non ho dovuto rifare l’Università, ma è stata una cosa lunghissima, con fortissime difficoltà. Credo di essere stata la prima straniera – di sicuro la prima ecuadoriana – a farmi riconoscere la laurea in economia e commercio a Genova, allora non si sapeva a chi rivolgersi, quali fossero i requisiti. Mi è costato 5 anni e quasi 5000 euro! Per il riconoscimento era necessario tradurre tutti i programmi dei 5 anni del corso di studi, dovevano essere tradotti dall’ambasciata italiana in Ecuador, a Quito, che è molto lontana dalla mia città di origine. Se ne è dovuta occupare la mia famiglia, io ero qua, e ci sono stati diversi problemi per il reperimento e la spedizione dei documenti. Una volta avuto il riconoscimento, ho studiato per superare l’esame di abilitazione a Roma ed avere i requisiti per aprire uno studio da commercialista. A Genova, dove ho fatto domanda, non c’era nessun precedente di richiesta da parte di cittadini ecuadoriani».
Hai avuto delle difficoltà o delle restrizioni legate al fatto di non avere ancora la cittadinanza italiana?
«Non mi risulta che ci sia questo impedimento, almeno a me nessuno lo ha fatto presente. Io ho la cittadinanza italiana da circa un mese, quando ho fatto richiesta ero cittadina ecuadoriana. Per adesso ho rinunciato all’iscrizione, c’erano delle nuove spese e io, che già lavoravo in un centro di elaborazione dati, in quel momento non avevo idea di aprire uno studio mio».
Ci racconti il tuo incontro con la letteratura e la scrittura creativa?
«Quello con la letteratura è stato un incontro casuale. Una delle mie amiche, un’insegnante appassionata di letteratura e poesia, nel 2013 ha trovato un concorso letterario solo per stranieri che scrivevano in italiano, il premio letterario “Città di Cantù – Suor Rita Borghi”. A me piaceva molto leggere, sono associata a quasi tutte le biblioteche, ma questa era la mia prima esperienza di scrittura! Grazie anche al supporto della mia amica ho deciso di provare. In Ecuador avevo fatto alcune esperienze di scrittura di racconti brevi durante il mio percorso universitario. Il racconto che ho inviato a Cantù, in una busta chiusa e anonima, come richiedeva il concorso, si intitolava “Per non saper cucinare….” ed era liberamente ispirato al periodo in cui ho lavorato nelle case. Mi sembrava venuto bene, sapevo di essere brava a parlare e a raccontare, ma pensavo che mi mancasse un po’ di dimestichezza per scrivere in italiano. Qualche settimana dopo l’invio, la mia amica mi ha chiamato: erano usciti i nomi dei vincitori, e avevo vinto io. Per errore, la comunicazione dei risultati era stata inviata a un altro indirizzo…e così non ho potuto ritirare il premio il giorno della premiazione, l’ho ritirato in seguito».
Dopo quell’esperienza hai mai provato a ritentare a scrivere altri racconti o a partecipare ad altri premi letterari?
«Molte persone che hanno letto il racconto mi hanno detto che sono molto brava a scrivere, a costruire la situazione, anche la mia amica mi ha proposto di ritentare. Per ora non sono riuscita a riprovarci, anche perché in questo periodo sto lavorando molto e il tempo è limitato. So che sarei in grado di farlo. E’ che, quando scrivi, lasci sempre vedere una parte di te, qualcosa che è reale. Dopo aver letto questo racconto è capitato che molte persone mi fermassero per chiedermi se i personaggi descritti erano reali, o che fine aveva fatto il personaggio principale, quasi tutte lo interpretavano in senso autobiografico. Di natura io sono molto riservata e, forse, non ho ancora scritto altre cose del genere perché non volevo svelare altro di me stessa. La mia famiglia in Ecuador, tramite i molti mezzi di internet, è venuta a sapere del racconto e del premio…e così, ho tradotto per loro in spagnolo Per non saper cucinare…».
Per la tua esperienza sia di lettrice che di autrice, una persona di origine straniera che scrive in italiano in qualche modo si ispira sempre ad elementi autobiografici? La prevalenza degli aspetti autobiografici secondo te è caratteristica dei cosiddetti “scrittori migranti”?
«Credo che in ogni cosa che fa, uno scrittore metta qualcosa di suo, che sia straniero o italiano. Se scrive un’opera autobiografica, ci sarà qualcosa di più, ma credo che qualcosa ci sia anche nei personaggi di fantasia.
Il primo libro italiano che ho letto è stato “L’odore della notte” di Andrea Camilleri. Io penso che nel suo personaggio, il commissario Montalbano, lui avrà messo qualcosa di suo, anche se di certo quei libri non sono testi autobiografici. La lingua letteraria, a metà tra italiano e siciliano, che ha inventato, mi piace molto.
Fra gli autori di origine straniera che scrivono in italiano, mi hanno colpito in particolare i libri della scrittrice Silvia Campaña. Nella sua scrittura, sono riuscita a immedesimarmi, a trovare qualcosa di autobiografico. E’ come se avessi visto come sarebbe potuto diventare il mio racconto trasformato in libro. Si parla, ad esempio, dei problemi di comprensione della lingua che abbiamo noi sudamericani in Italia, con alcune parole, con le vocali doppie. Tutte queste cose, tutte le esperienze che molti di noi hanno vissuto arrivando in un paese nuovo, si ritrovano nei libri. E, in particolare, si ritrovano nei libri degli scrittori stranieri di origine che scrivono in italiano, proprio perché, scrivendo, ognuno non può fare a meno di mettere in quello che scrive qualcosa di suo, qualcosa di autobiografico».
Andrea Macciò