Genova è una città cresciuta sopra diversi rii e torrenti, la cui criticità, sottolinea il WWF, deriva dal fatto di essere stati tutti "Cementificati, canalizzati e tombati"
Il bilancio ufficiale della devastante allluvione che ieri si è abbattuta sulla nostra città conta 6 morti, 4 donne e due bambini, i cui corpi senza vita sono stati tutti ritrovati nella medesima strada, via Fereggiano.
E’ difficile il giorno dopo commentare una tragedia di queste dimensioni ma è necessario, senza entrare in polemiche pretestuose, fare alcune considerazioni.
Eventi del genere accadono perchè concorrono almeno quattro fattori: la forza della natura, la mano dell’uomo, la responsabilità degli amministratori, il buonsenso e l’autoprotezione dei cittadini.
Il territorio italiano, per morfologia e clima è storicamente da sempre soggetto a frequenti eventi idrogeologici intensi.
La Liguria è una delle regioni più esposte: il 98% dei Comuni è infatti a rischio secondo il dossier Legambiente-Protezione Civile.
Le ragioni, spiegano i geologi, sono la particolare conformazione geomorfologica, la cementificazione selvaggia che amplifica la fragilità di fondo e la mancata cura del territorio. Ma nonostante questo, denuncia il presidente dei geologi liguri Giovanni Scottoni, la Regione Liguria non dispone di un vero servizio geologico.
Genova è una città cresciuta sopra diversi rii e torrenti, la cui criticità, sottolinea il WWF, deriva dal fatto di essere stati tutti “Cementificati, canalizzati e tombati”.
Il rio Fereggiano, che ha causato una strage di innocenti, è da tempo considerato un torrente a rischio. Almeno dal 2006, all’epoca dell’ex responsabile della Protezione Civile, Guido Bertolaso.
Nel piano provinciale di difesa idrogeologica si legge “Il rio Fereggiano presenta un’elevata criticità idraulica nel tratto terminale tombinato a causa della grave insufficienza della sezione di deflusso“.
Non si poteva intervenire di più a livello idreogeologico per evitare che straripasse ?
Il Sindaco Marta Vincenzi, visibilmente scossa, durante la conferenza stampa di ieri ha spiegato “Per il Fereggiano abbiamo inaugurato a giugno la messa in sicurezza di un primo tratto del torrente che ha comportato la demolizione di quattro edifici che sorgevano sugli argini. Interventi che hanno evitato di aggiungere tragedia a tragedia”.
Mentre per quanto riguarda il fiume Bisagno, sempre nel piano provinciale di difesa idrogeologica, si legge “La maggior criticità idraulica risulta essere il tratto compreso fra lo sbocco a mare e la confluenza con il rio Fereggiano, a causa della grave insufficienza del tratto terminale canalizzato e coperto”.
E qui si comprende bene come il problema sia la mancanza di risorse finanziarie.
Come ha spiegato il Sindaco infatti non è stata ancora realizzata un’opera fondamentale: lo scolmatore del Bisagno, una galleria di 6 Km in grado di intercettare le acque in piena e condurle fino al mare, perche la spesa da sostenere, circa 300 milioni, oggi non è disponibile.
Soldi prima stanziati e poi ritirati dal Governo. Come ha ammesso un paio di giorni fa lo stesso Ministro dell’Ambiente, Stefania Prestigiacomo.
Indubbiamente però i cambiamenti climatici hanno un peso preponderante: da alcuni anni le precipitazioni stanno assumendo un carattere “monsonico“, delle vere e proprie “bombe d’acqua”, come ormai le chiamano gli esperti, che si abbattono con un’intensità fortissima su una zona circoscritta, che purtroppo è impossibile individuare in anticipo.
Ieri il pluviometro dell’Università ha rilevato 386 millimetri d’acqua tra la mezzanotte e il tardo pomeriggio, ma in gran parte concentrati tra le 10 e le 15.
Non un record assoluto per l’area genovese (nell’ottobre del 1970 furono 948 millimetri in 24 ore; nel settembre del 1992 se ne rilevarono 429), ma pur sempre un fenomeno di una violenza impressionante.
Su “La Stampa” Luca Mercalli, presidente della Società Meteorologica Italiana, oggi scrive “Se quantità d’acqua di questo tipo si riversano in poche ore su una città fatta come Genova, collocata alla base di versanti apenninici da cui l’acqua si riversa improvvisa senza dare tempo di mettere in pratica efficaci piani di evacuazione in corso di evento, i disastri sono pressochè inevitabili“.
Ma è stato fatto davvero tutto il possibile ?
Marta Vincenzi ha dichiarato “E’ stato come uno tsunami, non potevamo fare di più“.
E ha ricordato come tra le ore 12:00 e le ore 12:17 il livello del rio Fereggiano ha raggiunto i tre metri d’altezza arrivando così ad esondare prepotentemente gli argini.
Poi ha aggiunto “Siamo di fronte a una modificazione del clima che non si era mai vista in precedenza (…) precipitazioni che ci devono far ripensare a tutto quello che sappiamo anche a livello di prevenzione. Comincio a credere che anche gli stessi piani di bacino siano da rivedere: dovremo ripensare a tutto, a cosa fare in caso di allerta, a come valutare le portate dei fiumi e le conseguenze di precipitazioni di una violenza impensabile fino a pochi anni fa“.
Ma bisogna ribadire che non è da ieri che si verificano sul territorio italiano precipitazioni circoscritte di questa intensità.
Probabilmente è un’urgenza non rinviabile mettere al più presto mano ai piani di bacino e occuparsi della manutenzione costante e puntuale dei corsi d’acqua cittadini.
Perchè la soluzione per salvare vite umane dai cataclismi della natura, nell’anno 2011, non può essere solo la coscienza dei singoli cittadini, l’autoprotezione e un livello di allerta massimo che imponga il coprifuoco a una città intera.
Matteo Quadrone